Perciò, se è importante che le famiglie trovino un loro ruolo all’interno della comunità ecclesiale e che quest’ultima riservi per le famiglie una cura particolare, è ugualmente opportuno individuare schemi che aiutino i genitori a trasmettere con un linguaggio efficace e coinvolgente i valori della fede ai più piccoli.

La trasmissione della fede non può che avvenire con il linguaggio proprio della famiglia. È lo stesso Papa Francesco che ci ricorda l’importanza di questo: «La trasmissione della fede si può fare soltanto in «dialetto», nel dialetto della famiglia, nel dialetto di papà e mamma, di nonno e nonna» (FRANCESCO, Omelia, 7.01.2018).

Per comunicare la fede ai più piccoli, è necessario incastonare il messaggio evangelico nella quotidianità della vita familiare e del piccolo; intrecciare cioè i valori fondanti della fede nella fitta rete di consuetudini, rituali, relazioni già perfettamente presenti nella vita del bambino. In questo modo l’educazione alla fede non diventa una delle tante attività presenti nella vita di tutti, ma si amalgama fondendosi indissolubilmente con il vissuto quotidiano.

Nella quotidianità il cristiano è chiamato a essere santo: «Per essere santi non è necessario essere vescovi, sacerdoti, religiose o religiosi. Molte volte abbiamo la tentazione di pensare che la santità sia riservata a coloro che hanno la possibilità di mantenere le distanze dalle occupazioni ordinarie, per dedicare molto tempo alla preghiera. Non è così. Tutti siamo chiamati ad essere santi vivendo con amore e offrendo ciascuno la propria testimonianza nelle occupazioni di ogni giorno, lì dove si trova. […] Sei genitore o nonna o nonno? Sii santo insegnando con pazienza ai bambini a seguire Gesù» (FRANCESCO Gaudete et exsultate n.14).

La famiglia è non solo il luogo della nascita, ma è lo spazio nel quale ciascuno viene riconosciuto persona, dove si riceve un volto e un valore. La famiglia ha la grande capacità di umanizzare: ogni figlio per il proprio genitore è unico e speciale indipendentemente dai limiti che lo caratterizzano; ogni genitore è per il figlio un modello, una guida, una sicurezza e il figlio ha bisogno di bussole sicure per costruire il suo futuro, ha bisogno di sapere chi è e con chi sta viaggiando, ma nel contempo il genitore è per il figlio il depositario della memoria di famiglia. Possedere tale patrimonio valoriale permette non solo di conoscere il proprio sé ma anche di costruirsi un bagaglio utile per la crescita.

Non si possono riconoscere un uomo e una donna come genitori dal fatto di «avere, possedere» un figlio, ma l’essere genitori è strettamente legato all’azione educativa, Amoris Laetitia mette in luce la necessità di assumere una genitorialità responsabile, indispensabile per una cura educativa. Questo fa sì che la coppia che mette in atto una cura educativa interpreti l’educazione non tanto come controllo, quanto come generazione di processi: «Quello che interessa principalmente è generare nel figlio, con molto amore, processi di maturazione della sua libertà, di preparazione, di crescita integrale, di coltivazione dell’autentica autonomia» (FRANCESCO Amoris Laetitia Amoris 261).

Questo processo educativo ha come obiettivo quello di far crescere integralmente la persona perché sappia utilizzare la libertà donata in modo responsabile. In questo modo, il figlio, impara ad assumere le conseguenze delle proprie scelte e a confrontarsi con il limite.

Attraverso gli oratori, le scuole dell’infanzia, della primaria e della secondaria, incontriamo e ci poniamo in relazione con numerosi genitori, famiglie; si sente l’urgenza di camminare insieme per poter dischiudere alle nuove generazioni la speranza di un futuro migliore. Un cammino non facile ma sempre più decisivo, che richiede sospensione del giudizio, ascolto, rispetto e dialogo perché ogni famiglia possa nella comunità educante chiarificare il proprio progetto di vita e consolidarlo.