Dal Sinodo dei giovani alla GMG di Panama.

Abbiamo cominciato il cammino con l’annuncio del tema sinodale esattamente il 6 ottobre 2016: “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”. Da allora è incominciato un dialogo ininterrotto che ci ha portato fino alla celebrazione della GMG di Panama nella seconda parte del gennaio 2019. Tanti sono i frutti maturati durante questo lungo e articolato cammino di Chiesa: si è partiti con il Documento preparatorio, si è passati per il Questionario on line e per la Riunione presinodale con i giovani, si è arrivati alla sintesi dell’ascolto nell’instrumentum laboris. Nel frattempo tante Conferenze Episcopali e molte Chiese locali si sono messe in movimento: incontri, dibattiti, iniziative di ascolto e di dialogo. Per noi italiani spicca il pellegrinaggio estivo dell’agosto 2018 – “Per mille strade” – che ha raccolto giovani provenienti da tutte le regioni d’Italia intorno al Santo Padre e ai Vescovi italiani al Circo Massimo e in piazza san Pietro (11-12 agosto). E poi il grande momento dell’assemblea sinodale, centro e cuore del cammino della Chiesa universale (3-28 ottobre 2018): un’esperienza spirituale, ecclesiale e pastorale di grandissimo rilievo. Un tempo di comunione che ha prodotto, oltre che l’entusiasmo e la soddisfazione di tutti i partecipanti, un Documento finale organico di grande qualità che rende conto della freschezza e della profondità del lavoro dei Padri sinodali per riconoscere la situazione dei giovani, interpretarla alla luce della fede e per scegliere con coraggio orientamenti di stile, di metodo e di contenuto. Infine è arrivata la Giornata Mondiale della Gioventù di Panama. Al centro del continente americano, in un luogo naturale di incontro e di passaggio tra popoli, la Chiesa si è data appuntamento per vivere un’esperienza di famiglia e di comunità. È bello sentirsi Chiesa che fa comunità, che vive la fraternità, che incontra e integra le differenze, che riconosce i doni che vengono da ciascuno ed è in grado di metterli in comunione. Non si è incontrata una fantomatica “Chiesa dei giovani”, parallela e alternativa ad una altrettanto ridicola “Chiesa degli adulti”, ma la Chiesa intera si è simbolicamente radunata. Chiesa che cammina nella storia e che è chiamata ad essere la giovinezza del mondo. Fin dalle prime parole rivolte ai giovani durante la cerimonia di apertura il 24 gennaio papa Francesco ha espresso chiaramente questo pensiero: Oggi sono contento di dirvi: Pietro è con voi per celebrare e rinnovare la fede e la speranza. Pietro e la Chiesa camminano con voi e vogliamo dirvi di non avere paura, di andare avanti con questa energia rinnovatrice e questo desiderio costante che ci aiuta e ci sprona ad essere più gioiosi, più disponibili, più “testimoni del Vangelo”. Andare avanti non per creare una Chiesa parallela un po’ più “divertente” o “cool” in un evento per giovani, con un po’ di elementi decorativi, come se questo potesse lasciarvi contenti. Pensare così sarebbe mancare di rispetto a voi e a tutto quello che lo Spirito attraverso di voi ci sta dicendo. Al contrario! Vogliamo trovare e risvegliare insieme a voi la continua novità e giovinezza della Chiesa aprendoci sempre a questa grazia dello Spirito Santo che tante volte opera una nuova Pentecoste (cfr. Sinodo dedicato ai giovani, Documento finale, 60). È importante essere parte della Chiesa, sentirsi un corpo solo con essa, percepire che ognuno di noi, ogni giovane è Chiesa. E questo è dono e impegno. Non esperienza passeggera, ma vocazione originaria di cui essere riconoscenti e da onorare adeguatamente attraverso un impegno concreto e condiviso.

  1. Arriviamo alla nostra Chiesa particolare.

Per questo il Dossier del mese è dedicato a ciò che si potrebbe fare – e che in alcune Diocesi italiane è già stato fatto – per prendere sul serio il cammino che la Chiesa nel suo insieme ha compiuto. Dedicare un “Sinodo diocesano” ai giovani è un atto di grande responsabilità ecclesiale verso le giovani generazioni. È un segno ecclesiale di riconoscimento di quanto i giovani possono essere nella Chiesa oggi protagonisti di una nuova stagione che tutti desideriamo. È un modo per attestare che la Chiesa tutta è chiamata a mettersi in discussione per essere adeguata a vivere in Vangelo nel nostro tempo. In che cosa potrebbe aiutarci un “Sinodo diocesano” dedicato ai giovani? Che cosa potrebbe risvegliare in noi? In che modo si potrebbe organizzare? Con quali finalità? Con quali metodologie? Sono tutte domande importanti, che nel Dossier trovano posto a partire da alcune esperienze realizzate in questi ultimi anni e dalla freschezza della voce di tanti protagonisti. Ringrazio a nome di tutti i lettori di NPG don Paolo Arienti, incaricato della pastorale giovanile della Diocesi di Cremona e nostro grande amico e collaboratore, per aver messo a nostra disposizione la sua competenza e dedizione per aiutarci a pensare come nella nostra Chiesa particolare si può risvegliare un autentico e duraturo interesse per le giovani generazioni. Non possiamo infatti nasconderci che nelle nostre Chiese locali a volte c’è stanchezza del cuore e perdita di speranza. Il Santo Padre a Panama ha intercettato con acutezza di questo sentire a volte troppo comune, quando ha parlato della necessità di ritrovarci insieme davanti a “un pozzo da cui ripartire”. Nell’omelia tenuta sabato 26 gennaio nella rinnovata Cattedrale di S. Maria la Antigua egli, riferendosi all’incontro tra Gesù e la samaritana, ci ha consegnato alcune riflessioni davvero preziose. Non ha parlato della stanchezza che viene dallo spendersi senza riserve nella missione, ma di quell’altra stanchezza, quella che nasce di fronte al futuro quando la realtà “prende a schiaffi” e mette in dubbio le forze, le risorse e la praticabilità della missione in questo mondo che tanto cambia e mette in discussione. È una stanchezza paralizzante. Nasce dal guardare avanti e non sapere come reagire di fronte all’intensità e all’incertezza dei cambiamenti che come società stiamo attraversando. Questi cambiamenti sembrerebbero non solo mettere in discussione le nostre modalità di espressione e di impegno, le nostre abitudini e i nostri atteggiamenti di fronte alla realtà, ma porre in dubbio, in molti casi, la praticabilità stessa della vita religiosa nel mondo di oggi. E anche la velocità di questi cambiamenti può portare a immobilizzare ogni scelta e opinione, e ciò che poteva essere significativo e importante in altri tempi, sembra non avere più spazio. È proprio di fronte a questa paralisi che ci vuole il coraggio di mettersi in discussione, attraverso un autentico discernimento spirituale, pastorale e missionario. E un Sinodo diocesano non è altro che un momento in cui la Chiesa nel suo insieme si dà del tempo per riconoscere la condizione esistenziale del suo cammino, per interpretare alla luce della fede la sua missione e per scegliere insieme le migliori vie per continuare il cammino. Perché, purtroppo, la convinzione dell’impraticabilità della fede nel mondo contemporaneo può diventare un paradigma ecclesiale insormontabile, quasi un immaginario ecclesiale condiviso che ci blocca: E così possiamo abituarci a vivere con una speranza stanca davanti al futuro incerto e sconosciuto, e questo fa sì che trovi posto un grigio pragmatismo nel cuore delle nostre comunità. Tutto apparentemente sembra procedere normalmente, ma in realtà la fede si consuma, si rovina. Comunità e presbiteri sfiduciati verso una realtà che non comprendiamo o in cui crediamo non ci sia più spazio per la nostra proposta, possiamo dare “cittadinanza” a una delle peggiori eresie possibili nella nostra epoca: pensare che il Signore e le nostre comunità non hanno più nulla da dire né da dare in questo nuovo mondo in gestazione (cfr. Evangelii gaudium, 83). E allora succede che ciò che un giorno è nato per essere sale e luce del mondo, finisce per offrire la propria versione peggiore.

  1. Per ritornare al nostro “primo amore”.

Durante quell’omelia è stata accennata varie volte la necessità di ritornare a quel “primo amore”, ovvero a quella grata memoria che ci riporta all’esperienza personale ed ecclesiale dell’incontro fresco e tonificante con il Signore della vita e della speranza. È l’esperienza dell’incontro che ci ha cambiato, che ci ha trasformato, che ci ha fatto innamorare. Evento che ci ha riempito di gioia. Un incontro da cui siamo chiamati sempre a ripartire: Apriamo la porta della nostra stanca speranza per tornare senza paura al pozzo fondante del primo amore, quando Gesù è passato per la nostra strada, ci ha guardato con misericordia, ci ha scelto e ci ha chiesto di seguirlo; nel dirlo, recuperiamo la memoria di quel momento in cui i suoi occhi hanno incrociato i nostri, il momento in cui ci ha fatto sentire che ci amava, che mi amava, e non solo in modo personale, anche come comunità. Un Sinodo diocesano dedicato ai giovani e che vede i giovani come protagonisti di una Chiesa in uscita è un’esperienza che dovrebbe riportare tutti al “primo amore” della fede. Non senza i giovani, ma attraverso di loro e per mezzo della loro presenza tonificante e rigenerante. Davvero i giovani ci possono aiutare in maniera decisiva in tutto ciò, come ha ben affermato l’ultimo numero del Documento finale del Sinodo (n. 167), dove vi è stato un chiaro riconoscimento che la santità dei giovani ci può letteralmente trascinare verso il nostro “primo amore”: È stato chiaro fin dall’inizio del percorso sinodale che i giovani sono parte integrante della Chiesa. Lo è quindi anche la loro santità, che in questi ultimi decenni ha prodotto una multiforme fioritura in tutte le parti del mondo: contemplare e meditare durante il Sinodo il coraggio di tanti giovani che hanno rinunciato alla loro vita pur di mantenersi fedeli al Vangelo è stato per noi commovente; ascoltare le testimonianze dei giovani presenti al Sinodo che nel mezzo di persecuzioni hanno scelto di condividere la passione del Signore Gesù è stato rigenerante. Attraverso la santità dei giovani la Chiesa può rinnovare il suo ardore spirituale e il suo vigore apostolico. Il balsamo della santità generata dalla vita buona di tanti giovani può curare le ferite della Chiesa e del mondo, riportandoci a quella pienezza dell’amore a cui da sempre siamo stati chiamati: i giovani santi ci spingono a ritornare al nostro primo amore (cfr. Ap 2,4).

  1. Attingere con abbondanza “acqua viva”.

Ma, per tornare all’immagine del “pozzo da cui ripartire”, che cosa possiamo tirare su da un Sinodo diocesano dedicato ai giovani? Penso più o meno le stesse cose che, come Chiesa universale, abbiamo tirato su dal pozzo dell’assemblea sinodale a Roma dal 3 al 28 ottobre 2018, che però avrà il suo naturale e desiderato compimento solo se sarà recepita nelle Chiese particolari. Penso almeno a sei piste di lavoro, sei chiamate o spinte o inviti. O se vogliamo, sei semi da piantare con cura nella nostra Chiesa locale. Oppure ancora si può pensare a sei secchi pieni di “acqua viva” per il rinnovamento ecclesiale.

La chiamata a ritrovare entusiasmo. Il Sinodo della Chiesa prima di tutto ci chiama a ritrovare entusiasmo. Ascoltare i Padri sinodali provenienti da contesti di minoranza e di persecuzione parlare con gioia della loro fedeltà a Cristo è stato per molti commovente. Soprattutto quando in genere noi europei viviamo in un clima ecclesiale a volte pessimistico, poco speranzoso, a volte rivendicativo e perfino triste. Un cristianesimo senza gioia è devitalizzato, un cristianesimo senza speranza è incolore, un cristianesimo senza ardore è destinato al fallimento. Anche i giovani presenti non hanno mancato di dircelo con verità e rispetto. Abbiamo bisogno di una parola che ci scaldi il cuore, perché solo un cuore abitato davvero dal fuoco vivo della fede può illuminare l’intelligenza e far muovere le nostre mani. Così anche un Sinodo diocesano ha bisogno di essere e diventare un’esperienza entusiasmante, coinvolgente, avvolgente. Un vero e proprio risveglio! Un momento per cercare i tanti punti accessibili al bene presenti nelle nuove generazioni, un momento per non piangersi addosso, ma per ripartire con entusiasmo.

L’invito a camminare insieme. Poi ancora siamo invitati a camminare insieme. L’esperienza sinodale ci ha restituito il grande desidero di essere Chiesa, i giovani ci hanno detto a gran voce che non vogliono camminare per conto loro, ma essere parte viva della comunità ecclesiale. Non è possibile ringiovanire la Chiesa senza la presenza dei giovani in essa! Non è possibile essere credibili senza vivere insieme la profezia e la mistica della fraternità. I giovani, insomma, sono stati per noi la chiave per riscoprire la “sinodalità missionaria” nella Chiesa, dove tutti in virtù del battesimo sono abitati dallo Spirito e quindi sono soggetti attivi e responsabili della missione. Un Sinodo diocesano che coinvolge i giovani continua ad essere un Sinodo della Chiesa, e non un’esperienza elitaria, escludente, parallela. I giovani sono sempre nella Chiesa, parte viva di un tutto organico! Hanno una vocazione e una missione a nome di tutti e a beneficio di tutti. Hanno qualcosa da dire e da dare che nessun altro può dire e dare al loro posto.

La spinta a riattivare il pensiero. In terzo luogo ci spinge a riattivare il pensiero. Ci siamo accorti che molti giovani si sono allontanati dalla Chiesa perché essa non è in grado di portare ragioni alla sua speranza in un mutato contesto culturale e sociale. I grandi cambiamenti in atto sono una pressante richiesta di rielaborare la proposta cristiana in modo adeguato, a vivere una rinnovata inculturazione della fede nel nostro tempo. In fondo si tratta del compito che ci ha affidato il Concilio Vaticano II, che ha nutrito il desiderio di inserire la Chiesa nel cuore del mondo contemporaneo, così da esserne sale, luce e lievito. Per fare questo non bastano buone intenzioni o una generica animazione, ma è necessaria una riflessione profonda a partire dalla verità del Vangelo, che sempre è al servizio della vita piena e abbondante degli uomini concretamente esistenti in un determinato tempo e spazio. Un Sinodo diocesano ci deve aiutare ad essere una Chiesa particolare che si mette in discernimento, che riattiva la sua capacità di incontrare la cultura in cui vive e cresce, che non ha paura di affrontare le sfide che vengono dal mondo contemporaneo ed in particolare dai diversi mondi giovanili presenti nel suo territorio. La fede davvero suppone la cultura e si incarna in essa.

La necessità di abitare il mondo in modo nuovo. È quindi logico che il Sinodo sui giovani è una chiamata ad abitare il mondo in modo nuovo. È stato interessante che nella discussione sinodale alcuni padri proponevano come icona biblica fondamentale del Documento finale quella del “giovane ricco”, insistendo sul fatto che i giovani hanno bisogno di “istruzione” su come entrare nella vita eterna. La stragrande maggioranza dei padri ha invece proposto l’icona dei discepoli di Emmaus, insistendo sul fatto che è necessario, prima di “istruire” i giovani, “camminare” con loro. L’opzione è stata chiara ed è poi stata accolta da tutti: prima che “parlare ai giovani”, bisogna “parlare con i giovani”, dando un primato alla conversazione, alla condivisione, alla familiarità e alla confidenza. Partendo quindi da una chiara e decisa prossimità. La Chiesa è “madre e maestra”: non più essere maestra se prima non è madre! Un Sinodo diocesano deve farsi delle domande circa il suo stile di vita e di incontro con le giovani generazioni. Non possiamo andare avanti con modalità superate di abitare il mondo reale con le sue caratteristiche: globale e interconnesso, ad alta mobilità e bombardato da immagini, digitale e tendenzialmente presentista. È il nostro mondo, l’unico che abbiamo a disposizione.

Un appello a verificarci con umiltà. In quinto luogo il percorso sinodale nel suo insieme è un appello a verificarci con umiltà. Una delle cose che mi ha positivamente colpito dei lavori sinodali è stata la piattaforma generale di umiltà che si è creata. In linea di massima nessuno dei Padri sinodali è arrivato con la “ricetta pronta” o con la “soluzione preconfezionata” alle questioni sollevate dall’instrumentum laboris, che tra l’altro è stato sostanzialmente apprezzato come fotografia realistica della situazione culturale, sociale ed ecclesiale odierna. Nessuno ha cercato di imporre con arroganza il proprio punto di vista, ma tutti hanno fatto opera di discernimento. Hanno riconosciuto ciò che non va, hanno offerto elementi di riflessione, hanno proposto dei cammini e condiviso delle buone pratiche. Hanno soprattutto chiesto una verifica ecclesiale, certi che molte volte il problema non sono i giovani, ma l’incapacità della Chiesa nel suo insieme di essere una presenza profetica nel mondo contemporaneo. Così un Sinodo diocesano dovrebbe aiutarci a confrontarci con umiltà, certi che in un così rivoluzionario “cambiamento d’epoca” solo insieme possiamo impegnarci per trovare soluzioni adeguate, condivise e praticabili. In questo senso i giovani sono una delle risorse migliori per incarnare il Vangelo oggi: la loro esperienza è assolutamente necessaria per avere concretezza e realismo pastorale.

La richiesta di un coraggioso rilancio. Infine il Sinodo ci ha chiesto un coraggioso rilancio della pastorale con e per i giovani. Ha indicato delle vie, prima tra tutte quella di assumere ogni nostra azione pastorale, ed in particolare quella giovanile, in chiave vocazionale. Ha chiesto di non aver paura di rischiare strade nuove, perché in un tempo di “cambiamento d’epoca” fare pastorale secondo il “si è sempre fatto così” diventa irrealistico, infecondo e perfino ridicolo. Ha spinto verso una rinnovata fiducia verso le nuove generazioni, che sono portatrici di doni sempre nuovi: solo attraverso di loro sarà possibile ringiovanire la Chiesa. Ha riconosciuto il valore di quella sana inquietudine che non ci fa sedere annoiati in poltrona, ma che ci invita con coraggio ad uscire. Non per ultimo ha spinto tutti a vivere la propria vocazione in ordine alla santità, che è davvero quella chiamata universale ad essere degni dei doni che abbiamo ricevuto e a farli fruttificare per il bene di tutti. Un Sinodo diocesano con e per i giovani ha bisogno di coraggio. Coraggio di abbandonare prassi consolidate che certamente hanno fatto il loro bene, ma che forse hanno fatto il loro tempo. Ci vuole il coraggio di osare nuove strade, di tentare rinnovate pratiche, di inaugurare percorsi inediti. La forza dello Spirito è sempre innovativa, rischiosa e aperta.

  1. Ripartiamo dalla santità in chiave educativa.

Tante cose ci vengono chieste nel nostro tempo. È un’epoca impegnativa, dove dobbiamo avere i nervi saldi e la coscienza desta. Vogliamo la sintesi di tutto questo cammino che ci aspetta? Non mi viene di meglio che invocare una rinnovata santità in chiave educativa! Ci vogliono oggi santi innamorati dei giovani che si mettano a loro servizio, partendo da una chiara fiducia in loro. Cioè una santità certa della santità dei giovani! Invochiamo sulla Chiesa una rinnovata fioritura di quella particolare forma di santità dedicata alle giovani generazioni. A Panama, nella Veglia finale, il Papa ha accennato alla santità paradigmatica di don Bosco che, abitato dallo sguardo e dal cuore di Dio, lo ha saputo trovare attraverso la ricerca dei giovani più poveri e più abbandonati. Oggi abbiamo bisogno ancora di questa forma di santità, capace di trovare nell’educazione la via maestra per la vita di fede: Penso per esempio a Don Bosco [i giovani applaudono] che non se ne andò a cercare i giovani in qualche posto lontano o speciale – si vede che qui ci sono quelli che vogliono bene a Don Bosco! Don Bosco non è andato a cercare i giovani in qualche posto lontano o speciale; semplicemente imparò a guardare, a vedere tutto quello che accadeva attorno nella città e a guardarlo con gli occhi di Dio e, così, fu colpito da centinaia di bambini e di giovani abbandonati senza scuola, senza lavoro e senza la mano amica di una comunità. Molta gente viveva in quella stessa città, e molti criticavano quei giovani, però non sapevano guardarli con gli occhi di Dio. I giovani bisogna guardarli con gli occhi di Dio. Lui lo fece, Don Bosco, seppe fare il primo passo: abbracciare la vita come si presenta; e, a partire da lì, non ebbe paura di fare il secondo passo: creare con loro una comunità, una famiglia in cui con lavoro e studio si sentissero amati. Dare loro radici a cui aggrapparsi per poter arrivare al cielo. Per poter essere qualcuno nella società. Dare loro radici a cui aggrapparsi per non essere abbattuti dal primo vento che viene. Questo ha fatto Don Bosco, questo hanno fatto i santi, questo fanno le comunità che sanno guardare i giovani con gli occhi di Dio. Ve la sentite, voi grandi, di guardare i giovani con gli occhi di Dio? Cerchiamo dunque di abitare la vita dei santi, in particolare di coloro che hanno vissuto una santità in chiave educativa, cioè che si sono santificati attraverso la dedizione alle giovani generazioni. Ma anche di tutti i santi, perché la santità in quanto tale è contagiosa. Vivere accanto a un santo, frequentare la vita dei santi, chiedere l’intercessione dei santi è segno di un desiderio di vivere la propria esistenza in maniera conforme alla chiamata che ciascuno di noi ha ricevuto.

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