Gesù è ancora a tavola con i suoi discepoli dopo la lavanda dei piedi (cf. Gv 13,1-20) e pronuncia parole di addio, perché è “venuta l’ora di passare da questo mondo al Padre” (Gv 13,1). Sono parole che la chiesa giovannea ha custodito, meditato, interpretato e finalmente messo per iscritto, con un linguaggio e uno stile diversi da quelli delle parole uscite dalla bocca di Gesù. Potremmo dire che il discepolo amato e la sua chiesa hanno fatto “risorgere” le parole di Gesù e qui nel vangelo le ritroviamo nella loro verità, ma pronunciate dal Risorto glorioso, il Kýrios, e indirizzate ai discepoli radunati nelle chiese di ogni tempo.

Sappiamo dai vangeli sinottici che Gesù aveva parlato dello Spirito santo, disceso su di lui nel battesimo (cf. Mc 1,10 e par.), e lo aveva promesso come dono ai discepoli, in particolare per l’ora della persecuzione (cf. Mc 13,11 e par.), quando lo Spirito sarà la loro autentica difesa, “parlando in loro” e “insegnando loro ciò che occorre dire”. Ed ecco la stessa promessa nel vangelo secondo Giovanni (cf. Gv 14,26-27): quando verrà il Parákletos – il chiamato accanto come avvocato difensore, soccorritore e consolatore, lo Spirito di verità che Gesù, salito al Padre, invierà –, allora lo Spirito darà testimonianza a Gesù, e così faranno i discepoli stessi, hanno condiviso la vita con lui fin dall’inizio della sua missione, fin dal battesimo ricevuto da Giovanni. Ma anche i discepoli futuri di Gesù non potranno essere tali e dare testimonianza a lui se non accolgono il Vangelo dal suo inizio, cioè quella buona notizia di un Gesù uomo nato da donna, vissuto come “carne fragile”, crocifisso e risorto da morte: un Gesù che è stato sárx, carne, umanità, e che ora è vivente in Dio nella gloria, quale suo Figlio per sempre.

L’alito di Dio, la ruach che figurativamente indica la vita di Dio che procede dall’intimo del suo essere; l’alito di Dio che è la forza creatrice con cui egli ha creato il cosmo (cf. Gen 1,2); quel soffio che è sceso in una donna per permettere alla Parola di diventare “carne” (cf. Gv 1,14), Gesù quale Signore vivente lo soffierà sui discepoli dopo la sua resurrezione. La vita stessa di Dio che è la vita di Gesù risorto, sarà vita anche nei discepoli e li abiliterà a essere suoi testimoni. Avverrà così una sinergia tra la testimonianza dello Spirito e quella del discepolo riguardo a Cristo: anche quando gli uomini sentiranno estranei i cristiani, anche nelle persecuzioni e nelle ostilità subite da parte del mondo, nella potenza dello Spirito i cristiani continueranno a rendere testimonianza a Gesù. Questa è la funzione decisiva dello Spirito santo che, come fu “compagno inseparabile di Gesù” (Basilio di Cesarea), dopo che Gesù lo ha inviato dalla sua gloria presso il Padre, è il “compagno inseparabile” di ogni cristiano. La parola del discepolo di Gesù sarà voce dello Spirito santo (cf. Gv 3,8), sarà parola profetica rivolta al mondo come testimonianza piena di forza, pur nella debolezza e nella fragilità della condizione dei discepoli.

Riguardo a questo soffio divino Gesù dice ancora qualche parola (cf. Gv 16,12-15). Egli è consapevole di aver narrato, spiegato (exeghésato: Gv 1,18) Dio ai discepoli per alcuni anni con il suo comportamento e le sue parole, soprattutto amando i suoi fino alla fine (cf. Gv 13,1), ma sa anche che avrebbe potuto dire molte cose in più. Gesù sa che c’è una progressiva iniziazione alla conoscenza di Dio, una crescita di questa stessa conoscenza, che non può essere data una volta per tutte. Il discepolo impara a conoscere il Signore ogni giorno della sua vita, “di inizio in inizio, per inizi che non hanno mai fine” (Gregorio di Nissa). La vita del discepolo deve essere vissuta per una comprensione sempre più grande, e tutto ciò che una persona vive (incontri, realtà, ecc.), attraverso l’energia dello Spirito santo apre una via, approfondisce la conoscenza, rivela un senso.

Ognuno di noi lo sperimenta: più andiamo avanti nella vita personale e nella risposta alla chiamata del Signore nella storia, più lo conosciamo! Il Vangelo è sempre lo stesso, “Gesù Cristo è lo stesso ieri e oggi e per sempre” (Eb 13,8), non cambia, ma noi lo conosciamo meglio proprio vivendo la nostra storia e la storia del mondo. D’altronde, proprio il vangelo secondo Giovanni testimonia che i discepoli comprendono alcuni gesti di Gesù soltanto più tardi, dopo la sua morte e la sua resurrezione: erano restati incapaci di interpretarli nel loro accadere (cf. Gv 2,22; 12,16), ma nella luce della fede nel Risorto si era aperta per loro la possibilità della comprensione.

Per questo Gesù confessa di non aver detto tutto: ha detto l’essenziale riguardo a Dio, quello che basta alla salvezza, ma la conoscenza è infinita. Ora Gesù è nel Regno con il Padre, ma lo Spirito santo che egli invia ai discepoli ricorda loro le sue parole (cf. Gv 14,26), le approfondisce, rende comprensibile ciò che essi non hanno compreso su di lui in precedenza. E nuovi eventi e realtà della storia sono illuminati e compresi proprio grazie alla presenza dello Spirito santo, che fa conoscere non una nuova rivelazione, non necessaria dopo Gesù, ma rischiara e approfondisce il mistero di Dio e del Figlio suo inviato nel mondo, morto e risorto. Si faccia però attenzione: a Cristo non succede lo Spirito santo, all’età del Figlio non succede quella dello Spirito, perché lo Spirito che procede dal Padre è anche lo Spirito del Figlio (questo significa l’affermazione: “Tutto quello che il Padre possiede è mio”), inviato da lui e suo compagno inseparabile. Dove c’è Cristo c’è lo Spirito e dove c’è lo Spirito c’è Cristo! E la parola di Dio è sempre la stessa: in Mosè, nei profeti e nei salmi (cf. Lc 24,44) c’è una stessa parola di Dio, uscita dalla sua bocca insieme al suo soffio e diventata “carne” in Gesù. Leggendo la Pentecoste alla luce di queste parole di Gesù del quarto vangelo, oggi confessiamo che l’alito, il soffio di vita di Dio è il soffio di Cristo, è lo Spirito santo ed è il nostro soffio di cristiani: un soffio che scende su di noi e in noi costantemente e che, soprattutto nell’eucaristia, ci rinnova, donandoci la remissione di tutti i nostri peccati, abilitandoci all’evangelizzazione, che è sempre testimonianza resa a Gesù Cristo (cf. Lc 24,48; At 1,8), e rafforzandoci nelle persecuzioni e nelle prove.

Fonte: Monastero di Bose