In maniera particolare il quarto principio ci aiuta ad avere uno “sguardo plenario”, capace di abbracciare ogni cosa e di metterla al posto giusto, entrando nel ritmo sinfonico della verità, che è sempre da pensarsi nell’ottica di tanti aspetti diversi che vivono in comunione armonica tra loro. Abbiamo sempre la necessità di allargare e integrare il nostro cuore, la nostra mente, le nostre mani: Il tutto è più della parte, ed è anche più della loro semplice somma. Dunque, non si dev’essere troppo ossessionati da questioni limitate e particolari. Bisogna sempre allargare lo sguardo per riconoscere un bene più grande che porterà benefici a tutti noi. […] Si lavora nel piccolo, con ciò che è vicino, però con una prospettiva più ampia. […] Il modello non è la sfera, che non è superiore alle parti, dove ogni punto è equidistante dal centro e non vi sono differenze tra un punto e l’altro. Il modello è il poliedro, che riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità. Sia l’azione pastorale sia l’azione politica cercano di raccogliere in tale poliedro il meglio di ciascuno. […] Il Vangelo possiede un criterio di totalità che gli è intrinseco: non cessa di essere Buona Notizia finché non è annunciato a tutti, finché non feconda e risana tutte le dimensioni dell’uomo, e finché non unisce tutti gli uomini nella mensa del Regno.

Ci può venire incontro anche la metafora del mosaico, dove ogni piccola pietruzza concorre a dare forma ad un disegno complessivo che non è mai riducibile alle singole pietruzze. Risulta importante che ogni singolo tassello si lasci mettere nel posto giusto e nella giusta relazione con gli altri in modo che il risultato complessivo sia proporzionato, armonico, bello e amabile.

Partendo dal principio che “il tutto è superiore alla parte”, emerge sempre di più come la pastorale giovanile ha necessità di avere un orizzonte ampio e articolato, che si distende almeno su cinque ambiti comunicanti: quello della promozione umana, che si specifica in ottica educativa; quello dell’annuncio esplicito e della crescita nella fede, che si apre alle scienze catechetiche; quello della formazione morale della coscienza, che tocca direttamente la teologia morale; quello della corresponsabilità apostolica, che entra nella dinamica pastorale concreta; infine quello dell’accompagnamento spirituale in ottica vocazionale, che affonda le sue radici nella teologia spirituale e nell’artigianato del discernimento vocazionale.

Nessuno di questi ambiti può essere emarginato e nessuno può semplicemente sopraffare gli altri, nella consapevolezza che a seconda delle diverse sottolineature dell’uno o dell’altro aspetto nascono diversi progetti di pastorale giovanile. Essi dipendono dai diversi contesti giovanili e dalle diverse condizioni culturali nelle quali l’evangelo deve di nuovo prendere la sua rinnovata forma viva, vivente e vivibile.

Nel Dossier di questo numero, curato dal prof. Marcello Scarpa, salesiano e giovane catecheta presso la Università Pontificia Salesiana di Roma, viene approfondito il tema della generazione e del nutrimento della fede dei giovani, quindi il secondo dei cinque ambiti elencati. Esso ci offre prima di tutto un ampio scenario per poter inserire la catechesi in un quadro storico e nella cornice contestuale dei giovani d’oggi, concludendo con alcuni criteri adeguati per poter pensare ad una “catechesi con i giovani”. In una successiva rubrica egli ci offrirà degli spunti concreti e analizzerà alcune esperienze in atto.

Certamente l’annuncio del Vangelo ai giovani, che in alcune occasioni diventa un vero e proprio “primo annuncio” (qualcuno lo chiama anche “secondo annuncio” o “rinnovato annuncio”, sottolineando aspetti diversi della questione), è un dovere ineludibile di una Chiesa che sempre più e sempre meglio è chiamata ad assumere un volto missionario. La Chiesa, in quanto soggetto di pastorale giovanile, è chiamata anche a nutrire la fede dei giovani che sono già presenti nella comunità dei credenti, aiutandoli a vivere un’esperienza più profonda di contatto con il mistero del Dio vivente.

Non dobbiamo, in questo frangente storico, dimenticare il fatto che la fede è fonte di conoscenza e di formazione della personalità. Sappiamo che i dati riguardanti la conoscenza della fede sono assai allarmanti, e ci dicono con chiarezza che il patrimonio del sapere cristiano è assai sconosciuto alle giovani generazioni. Cresciuti nel mondo della cosiddetta post-verità, che rende incerta, superficiale e fugace ogni conoscenza, i giovani faticano a discernere il vero e il falso, il buono e il cattivo, il giusto e l’ingiusto. Ne deriva una dittatura dell’emozione, dove il criterio valutativo dominante è quello del “piacevole” e dello “spiacevole”.

Un caro amico, che da decenni lavora con passione e competenza in mezzo ai giovani, mi faceva notare che molti di loro non sono semplicemente “analfabeti” nelle questioni di fede, ma mancano di consapevolezza che vi possa essere un linguaggio della fede e un alfabeto religioso! Nell’approccio con molti ragazzi effettivamente nulla va dato più per scontato, perché molti di loro sono semplicemente “estranei” alle dinamiche di fede.

Ecco allora ben chiara l’importanza di offrire alle giovani generazioni una solida proposta di fede: capace di non separare l’approccio umanistico dai grandi cardini della fede; in grado di tenere insieme un cuore che vuole bene ai giovani con la determinazione di volere il bene dei giovani; che mai disgiunge la dimensione intellettuale della fede con il suo approccio esperienziale; che unisce in forte sinergia la vita concreta dei giovani con la prassi della comunità ecclesiale; che cerca di creare sinergia tra la necessaria trasmissione della fede e l’ineludibile compito di accompagnamento; che supera l’idea di una catechesi per i giovani per giungere ad una “catechesi con i giovani”, dove il loro protagonismo e la messa in campo dei loro talenti diventa decisivo ai fini della loro maturazione. Perché è evidente che ogni volta che diamo fiducia ai giovani restiamo sorpresi positivamente dalla loro intraprendenza e dalla loro creatività!

Il prossimo Sinodo si dovrà occupare anche di questo, perché la fede va generata e nutrita. Generata da un incontro vivente con il Signore Gesù e nutrita dalla frequentazione di Lui, che si fa presente e agente in una molteplicità di modi: nella liturgia e in maniera somma nel mistero eucaristico; nella Parola di Dio scritta e nella vita della comunità dei credenti; nel volto dei poveri, degli emarginati e dei sofferenti; nell’azione silenziosa di tanti uomini e donne di buona volontà.

Molte volte ci chiediamo che cosa sta dietro alla crisi di generatività della comunità cristiana in tante parti del mondo e in particolare nelle nostre terre europee. E forse la risposta più coerente sembra essere questa: la Chiesa ha perso generatività perché non ha nutrito la fede che ha ricevuto in dono, perché non si è messa in movimento per far maturare il piccolo seme della fede, perché a volte si è comportata come il pigro amministratore che ha posto sotto terra il talento che gli era stato dato.

È evidente che non è possibile annunciare il Vangelo ai giovani a prescindere dal fatto che la comunità cristiana sia una comunità che si lascia continuamente evangelizzare dalla presenza e dall’azione del Dio vivente e dagli appelli che gli vengono dai giovani stessi.

Per questo il Sinodo dovrà certo mettere a fuoco i giovani e le sfide che riguardano la loro esistenza nel nostro tempo. Ma per farlo dovrà andare a vedere sia la realtà del mondo in cui essi vivono che verificare la passione educativa delle comunità cristiane in cui essi crescono.

Da http://www.notedipastoralegiovanile.it/index.php?option=com_content&view=article&id=13332:generare-e-nutrire-la-fede&catid=499:npg-annata2018&Itemid=209