Infatti, come nei Vangeli i racconti dell’ultima cena – istituzione dell’Eucaristia nei Sinottici e racconto della lavanda dei piedi in Giovanni – hanno la funzione di essere profezia e annuncio della morte di Gesù̀ in croce, così la celebrazione del Giovedì̀ santo diventa chiave interpretativa degli eventi di passione, morte e risurrezione che saranno celebrati nei tre giorni pasquali. Come la cena nei vangeli diventa interpretazione del senso della morte del Signore, così la messa in coena Domini apre il Triduo anticipandone il senso, a partire dal pane spezzato, dal calice condiviso e dal gesto di Gesù̀ di lavare i piedi ai suoi discepoli. La liturgia della Parola di questa celebrazione è caratterizzata dalla proclamazione del racconto della lavanda dei piedi secondo il Vangelo di Giovanni (Vangelo) e dal racconto dell’Eucaristia che Paolo riporta nella Prima Lettera ai Corinzi (II lettura). Entrambi i testi hanno la funzione di introdurci nel mistero pasquale rivelando il senso più̀ vero dei fatti ambigui e contraddittori che accompagneranno la passione, morte e risurrezione di Gesù̀. In particolare, questi due gesti simbolici compiuti da Gesù̀ prima della sua passione rivelano la sua libertà nel donare la vita. I fatti che seguiranno potrebbero essere letti, infatti, come se Gesù̀ non fosse altro che una vittima in balia degli uomini. I racconti della cena ci svelano invece che il senso di quei fatti è una vita donata per amore e nella libertà. Il brano dell’Esodo (I lettura) crea un collegamento tra l’inizio del Triduo pasquale e la Pasqua ebraica. In questo modo gli eventi della morte e risurrezione di Gesù̀ ricevono un’ulteriore interpretazione e possono essere letti in continuità̀ con l’agire di Dio che nella storia si manifesta come salvezza e liberazione.

Riflessione. Come guida alla nostra riflessione per entrare nel mistero che celebriamo il Giovedì̀ santo prendiamo il testo di Giovanni (Vangelo) e quello di Paolo (II lettura). Queste due pericopi bibliche ci mostrano, ognuna in una prospettiva differente, come accostarci alla celebrazione dell’intero Triduo.

Li amò sino alla fine. La lavanda dei piedi, nel racconto giovanneo, ha la funzione di introdurre nei racconti della passione di Gesù̀, proprio come la narrazione dell’ultima cena nei vangeli sinottici. Gesù̀ la sera prima del suo arresto compie un gesto che lascia i suoi discepoli sbalorditi: un maestro che depone le sue vesti e si mette a lavare i piedi dei discepoli. Con quale chiave possiamo leggere questo brano evangelico nel contesto del Triduo pasquale? Che cosa vuole dire ai suoi discepoli Gesù̀ compiendo questo gesto così sorprendente? Ci sono state molte proposte di interpretazione del gesto di Gesù̀. Alcuni hanno pensato ad un gesto di servizio, altri ad un gesto di ospitalità̀ e accoglienza. In realtà̀, ciò̀ che Gesù̀ compie, senza peraltro escludere le altre sfumature che il gesto della lavanda può̀ portare con sé, ha un senso principalmente pasquale e rivela la logica della sua vita e quella dei suoi discepoli. Questa lettura del testo la troviamo leggendo con attenzione il dialogo tra Gesù̀ e Pietro. Quando Gesù̀, che sta passando ad uno ad uno i suoi discepoli per lavare loro i piedi, arriva a Pietro, il primo dei Dodici ha una reazione che ci sorprende. Infatti egli a Gesù̀ che si avvicina a lui dice: «Signore, tu lavi i piedi a me?» (Gv 13,6). E ancora aggiunge: «Tu non mi laverai i piedi in eterno» (Gv 13,8). C’è una ferma chiusura di Pietro nei confronti del gesto incomprensibile del maestro. Gesù̀ allora aggiunge: Se non ti laverò̀, non avrai parte con me» (Gv 13,8) Solo a questo punto Pietro si lascia lavare i piedi da Gesù̀ e afferma: «Non solo i piedi, ma anche le mani e il capo» (Gv 13,9). A questo punto troviamo una frase di Gesù̀ decisiva per la comprensione del testo: «Chi fa il bagno, ha da lavarsi solo i piedi, è completamente puro. E voi siete puri, ma non tutti!» (Gv 13,10). Pietro, come quando Gesù̀ annunciò per la prima volta la sua passione nei Sinottici, fa fatica a comprendere fino in fondo la logica di Gesù̀. Nel suo dialogo con il maestro emerge che nel gesto della lavanda dei piedi sta il senso più̀ vero e profondo della vita di Gesù̀, che i suoi discepoli devono saper accogliere per avere parte con lui. I discepoli che hanno seguito il maestro, hanno visto le sue opere e ascoltato il suo insegnamento, devono fare un ultimo passo per comprendere veramente chi è per essi quel personaggio al quale hanno già̀ in qualche modo cominciato ad affidare la loro vita. Il passo che manca è quello di accettare Gesù̀ fino in fondo, fino al dono della sua vita negli eventi della passione. Per questo Gesù̀ a Pietro dice: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo» (Gv 13,7). Infatti solo dopo gli eventi della passione i discepoli potranno veramente comprendere il senso della lavanda dei piedi che Gesù̀ compie per loro. Nel bagno rituale ebraico, per poter essere ammessi al culto e quindi alla comunione con Dio, prima ci si lavava il corpo interamente e poi, dopo aver risalito le scale della vasca rituale, ci si lavava i piedi per eliminare le ultime tracce di impurità̀.

Nella notte in cui veniva tradito. Il racconto dell’ultima cena, che forse noi ci aspetteremo nel vangelo in questo giorno, viene riportato nella versione di Paolo. Questo fatto ci aiuta a fare un passo ulteriore, in continuità̀ con ciò̀ che abbiamo già̀ affermato in riferimento al brano di Giovanni. Il racconto della cena nella Prima Lettera ai Corinzi ha un tono particolare rispetto alle versioni sinottiche: infatti, per il fatto di essere inserito in una lettera, ha un carattere occasionale, legato alla vita concreta della comunità̀ di Corinto e ai problemi che in essi si vivevano. Paolo tramanda il racconto della cena, che lui stesso ha ricevuto, come “antidoto” contro le divisioni della comunità̀ di Corinto. In questo brano quindi emerge in modo molto evidente il rapporto tra Eucaristia e Chiesa. Non abbiamo quindi unicamente la “cronaca” di ciò̀ che Gesù̀ fece nell’ultima cena con i suoi discepoli, ma anche il senso della ripetizione dei suoi gesti e delle sue parole per i credenti di ogni generazione: «Ogni volta che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga» (1Cor 11,26). Ripetere i gesti e le parole di Gesù̀ celebrando l’Eucaristia, per i suoi discepoli significa annunciare la sua morte e quindi renderla feconda di vita e di comunione per la vita della Chiesa.

Fate questo in memoria di me. I tre testi che compongono la liturgia della Parola del Giovedì̀ santo sono tutti caratterizzati da un comando di ripetizione. Nel brano dell’Esodo Mosè afferma: «questo giorno sarà̀ per voi un memoriale... di generazione in generazione lo celebrerete come un rito perenne» (Es 12,14). Nel brano paolino troviamo per due volte il comando del Signore «Fate questo in memoria di me!» (1Cor 11,24.25). Infine, dopo aver lavato i piedi ai discepoli, Gesù̀ afferma: «vi ho dato l’esempio, perché́ voi facciate come ho fatto io» (Gv 13, 15). In questi comandi di ripetizione possiamo scorgere un aspetto significativo della celebrazione del Giovedì̀ santo. Essa infatti pone la celebrazione annuale della Pasqua in quest’ottica “sacramentale”, nella quale è l’oggi dei credenti a essere coinvolto negli eventi di salvezza accaduti una volta per tutte in un passato lontano. Grazie all’obbedienza al comando di ripetizione, i credenti possono sperimentare oggi nella loro vita quella salvezza e liberazione di Dio che nella Pasqua si è manifestata. Per i discepoli questa immagine significa che per essere veramente seguaci di Gesù̀ dovranno fare un ultimo passo, quello di lasciarsi lavare i piedi, cioè̀ di accettare Gesù̀ nei giorni della sua passione. La lavanda dei piedi ci dice che nei giorni della passione si manifesta l’amore fino alla fine (Gv 13,1) di Gesù̀ per l’umanità̀, ma anche ci annuncia che per essere veramente suoi discepoli anche noi dobbiamo accettare che egli ci lavi i piedi, cioè̀ accoglierlo nel momento in cui per noi dona la vita nella morte di croce.