Il deserto è lo stato normale della nostra vita. Sotto questo simbolo, cui ci rimanda ogni anno l’inizio della Quaresima, è significato lo spazio in cui sempre di più siamo messi a confronto con la nostra essenza di creature non solo viventi, ma anche consapevoli. Questo nostro carattere di umanità ci obbliga a misurarci con la nostra solitudine. La fame di cui maggiormente noi tutti soffriamo non ha, di certo, quella che attanaglia il nostro stomaco, bensì quella che soffoca il nostro cuore affamato di amore, di condivisione, di presenza e, soprattutto, di senso.

Il deserto dell’assenza che mette a contatto con lo spettro della morte, è il luogo in cui remotamente il Signore Gesù, nella solitudine e nella preghiera, prepara anzitempo la moltiplicazione del pane (Mt 14,13-15) della speranza. In tal senso il deserto, se luogo di isolamento, può diventare l’occasione di un affinamento della capacita di incontrare |’altro per quello che è in verità: solo perché unico; unico e quindi solo. Come scriveva Rilke a un giovane in crisi di identità un secolo fa: «Non dovete lasciarvi sviare dalla vostra solitudine: è bene essere soli perché la solitudine è difficile» (R.M. Ritke, Lettere ad un giovane poeta, Roma 14 maggio 1904).

La conclusione del Vangelo ci lascia in sospeso e ci rimanda oltre il deserto: «Dopo aver esaurito ogni tentazione, i! diavolo si allontano da lui fino al momento fissato» (Lc 4,13). Nel deserto, il Signore Gesù non solo vince le tentazioni, ma ancor più profondamente, si mostra capace di attraversarle. Infatti, il «tempo» fissato è proprio quello della sua crocifissione quando, dall’alto della sua offerta pasquale, ritroverà la stessa tentazione in forma di insulto. Essa fiorirà amaramente sulla bocca di quanti passeranno sotto la croce del suo dolore e salirà persino alle labbra di uno dei due ladroni che condivideva con lui lo stesso dolore. Siamo alle solite: «Se è lui il Cristo di Dio...» (23,35), «Se tu sei il re dei Giudei» (23,37) e ancora «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi» (23,40). Nel deserto il Signore oppone, al diavolo che lo tenta, il ricorso alla Parola di Dio nella quale ha annegato le suggestioni di successo che gli vengono proposte. Sulla croce la reazione Sara di perfetto abbandono in una silenziosa consegna. Il perfetto abbandono della croce non si improvvisa neppure per Gesù, ma va preparato. Per questo nel deserto il Figlio, appena riconosciuto tale nel momento del suo battesimo, non accetta di dialogare con il male. Al contrario continua a coltivare la relazione intima con il Padre che «vede nel segreto» (Mt 6,6). Nella fatica della Solitudine assunta e non subita né fuggita, il Signore assume le conseguenze del suo essere Figlio di quel «Padre» affidabile per il quale sarà il suo ultimo umano respiro: «Nelle tue mani consegno il mio spirito» (23,46).

Il cammino di Gesù nel deserto prepara il suo mistero pasquale ed è per questo che la Chiesa, in questa prima domenica di Quaresima, ci fa Seguire il Signore in questo luogo di prova e al contempo di rara intimità. A tal fine Luca annota che «era guidato dallo Spirito nel deserto» (4,1).

Lo stesso percorso viene proposto a ciascuno di noi inoltrandoci ancora una volta in questo tempo che è l’'appuntamento annuale del nostro rimetterci in marcia guidati, sospinti e animati dallo Spirito. Ci incamminiamo per dare un nome a quanto, nella nostra vita, e ancora segnato dall’egoismo e dalla falsa idolatria di noi stessi e aprirci, cosi, all’esperienza di una salvezza che viene proprio dalla relazione intima e forte con il Signore. L’apostolo Paolo ci incoraggia e, in un certo senso, ci dà una spinta perché non ci lasciamo sopraffare dal timore: «Vicino a te è la Parola, sulla tua bocca e nel tuo cuore» (Rm 10,8). In questo senso il deserto della nostra vita si ritrova a essere un giardino perché non siamo soli € non abbiamo bisogno della compagnia delle illusioni messe in scena cosi potentemente dal nemico delle nostre anime, dal nemico di sempre.

Sembra proprio che ogni volta che riprendiamo la strada del cuore il serpente antico non sia per nulla contento ed ecco che, approfittando della nostra fame e della nostra stanchezza, inocula il veleno del «se». Il suo linguaggio è tanto ipotetico quanto suggestive «Se tu sei... se ti prostrerai... se tu sei...». E il Signore Gesù risponde al «se» con un netto «sta scritto». Un modo per dire che là, nel suo inesorabile darsi, è l’unica via alla verità, la strada maestra per la santità. Sulla cesta del cuore non possiamo ricamare o dissimulare all’infinito, possiamo solo guardare e offrire. Nel gesto di questa offerta le stesse cose assumono un senso e una forza del tutto nuove e insperate.

Se al Giordano Gesù è rivelato come Figlio, nel deserto sceglie di essere Figlio. L’itinerario quaresimale, soprattutto sotto la guida del Vangelo di Luca, e questo cammino verso il recupero della nostra coscienza e della nostra identità di figli «del Padre del Figlio». Di fronte al tentatore che crede di sapere tutto e pretende di dominare ogni cosa, il Figlio di Dio, invece di entrare in concorrenza, mostrandosi più capace e potente, decide di rimanere nella stretta dipendenza dal Padre suo.

Questa sospensione dura fino al «tempo» della grande prova in cui invocherà il suo nome come «fortezza» (Sal 90,7) contro ogni attentato all’Amore. E esattamente questa debole ma sicura consapevolezza che possiamo mettere nella «cesta» (Dt 26,4) del nostro cuore per presentarla davanti a Dio. Essa è memoria del fatto che egli sempre ha camminato con noi, anche quando ci sembrava e ci doleva di essere così soli senza renderci conto che stavamo affinando la nostra umanità.

Di Fratel MichaelDavide Semeraro, in Rivista La vita in Cristo e nella Chiesa – marzo 2019