La Spezia, maggio 2022 – Proposta pastorale 2021-22 per le comunità: AMATI E CHIAMATI “Renditi umile, forte e robusto” – “Chiamati per mano”, Ottava Lectio At 2,42-48 p. 157-162

Contesto

Nel suo secondo libro, gli Atti degli apostoli – che mostra una continuità letteraria, storica e teologica con il primo, il terzo Vangelo – Luca intende ricostruire la storia della chiesa nascente e della missione cristiana per mostrare come si compia il piano salvifico di Dio dopo il suo ritorno al Padre. Il racconto dell’ascensione di Gesù, che chiude il Vangelo e apre gli Atti, funge da ponte di collegamento tra i due scritti e tra le due tappe di un cammino: la prima parte del cammino (dalla Galilea a Gerusalemme) ha come protagonista Gesù, mentre nella seconda parte (da Gerusalemme a Roma e a tutto il mondo) la protagonista è la Chiesa, in quanto prolungamento della presenza di Gesù nella storia e nel mondo. Con gli Atti sembra che Luca voglia rispondere alle tacite domande dei suoi lettori: dopo la morte, risurrezione e ascensione di Gesù, i suoi discepoli percepiscono ancora la sua presenza viva in mezzo a loro? In che modo continuano ad alimentare la loro unione con Gesù e la consapevolezza d’essere sostenuti da lui? Come sviluppano la missione ricevuto da lui? E come è la relazione tra i primi cristiani all’interno della comunità? Come affrontano insieme le sfide e le difficoltà provenienti dall’esterno? Luca raccoglie i fatti collocandoli nel loro contesto spazio-temporale concreto e rispettando i loro tratti individuali, ma imprimendo, allo stesso tempo, una prospettiva teologica precisa. Conseguentemente molti racconti, senza perdere il loro radicamento nelle storia, assurgono a “tipo” con valore paradigmatico e diventano un punto perenne di riferimento per l’esperienza cristiana di sempre. Questo vale in particolare per la prima sezione degli Atti (Capp. 1-5) focalizzata sulla vita della comunità in Gerusalemme. Ha ragione F. Montagnini quando scrive che le notizie degli Atti sono come un arcipelago, punte emergenti di un continente le cui linee di collegamento corrono sotto la superficie. Potremmo anche paragonare la lettura di questo testo a quella dello sfogliare un album di fotografie, le cui tipologie sono moltissime: in posa, ufficiali, solenni, istantanee, foto di gruppo o di personaggi in primo piano, foto della quotidianità o con date e circostanze precise. Nei Capp. 1-5 degli Atti Luca offre ai lettori dei quadri riassuntivi – che gli studiosi chiamano “sommari” della vita comunitaria di Gerusalemme – nell’andamento della narrazione. Dal punto di vista della composizione letteraria essi svolgono la funzione di collegamento tra unità narrative autonome, aiutano a fare il punto della situazione dopo alcuni avvenimenti decisivi e preparano i lettori agli sviluppi successivi. Sono fotografie della quotidianità che non captano avvenimenti singoli determinati, ma che fanno emergere le costanti, i lineamenti ideali della comunità e, quindi, le caratteristiche che tutte le comunità cristiane in ogni luogo e tempo dovranno avere. Questi “sommari” non dicono solo come la comunità vive, o come deve vivere, ma offrono indicazioni sul come diventare comunità. I primi due “sommari” (2,42-48; 4,32-35), in particolare, trasmettono l’immagine di cristiani radicati nella fede in Cristo e strettamente uniti tra loro in una comunione ricca e articolata.

Approfondimento

At 2, 42-48 è il primo dei “sommari”. Questo testo sintetico unisce il racconto della Pentecoste (2,1-41) a quello dell’attività di Pietro e di Giovanni a Gerusalemme. Luca concentra qui i tratti caratteristici e ideali della comunità cristiana. Sono soprattutto quattro gli elementi che costituiscono la fisionomia interna della comunità: l’ascolto della Parola, la comunione, la frazione del pane e la preghiera. Ciò che qualifica l’atteggiamento di fondo è l’essere “perseveranti” (v. 42.46), la fedeltà o la dedizione costante e impegnata. Il verbo proskarterein, usato qui da Luca, suggerisce l’idea di decisione, fermezza e assiduità. Attraverso questa perseveranza i cristiani rafforzano il loro essere radicati in Cristo ed esprimono la volontà di rimanere sempre in lui.

  1. a) L’insegnamento degli apostoli. Gli “apostoli” costituiscono il gruppo di quelli che sono stati testimoni diretti della vita e del messaggio di Gesù. Essi custodiscono e trasmettono la memoria di Gesù nella storia e nel mondo. Il termine “insegnamento” (didaché) collegato alla perseveranza sta ad indicare che si tratta di un ascolto ripetuto, approfondito, sistematico, assiduo, non frammentario. È un ascolto che fa seguito all’adesione di fede iniziale suggellata dal battesimo. Il punto di partenza di una comunità cristiana è l’ascolto della Parola, una Parola che si basa sulla testimonianza autentica. La comunità che si nutre e si lascia formare dalla stessa Parola realizza una sintonia collettiva con il divino. Si impara insieme a conoscere il cuore di Dio, a «pensare secondo Dio» (Mt 16,23), ad «avere il pensiero di Cristo» (1Cor 2,16) e ad «avere gli stessi sentimenti che furono in Cristo» (Fil 2,1); si fa esperienza viva della “comunione dei santi” animata dalla Parola. Tra i membri di tale comunità nasce di conseguenza una sensibilità spirituale comune, che facilita la comunicazione, il discernimento comunitario e l’armonia di mente e di cuore.
  2. b) La comunione. La comunione fraterna è un tratto distintivo della comunità cristiana ideale particolarmente rimarcato dall’autore degli Atti. Il termine “comunione” (koinonia) usato qui non indica la semplice unità, ma un modo di pensare, di partecipare e di vivere che scaturisce dall’unità di fede. In 4,32 questa comunione è espressa con la frase suggestiva: «erano un cuor solo e un’anima sola». Si tratta di convergere verso uno stesso modo di vivere e di sentire, di avere una stessa mentalità, gli stessi sentimenti, lo stesso ideale e lo stesso atteggiamento interiore. Una conseguenza concreta e operativa della comunione e della concordia è la condivisione dei beni: «avevano ogni cosa in comune» (2,44). I beni materiali sono messi liberamente a disposizione della comunione spirituale. Lo scopo della condivisione del bene è dato da questa dichiarazione: «Nessuno era tra loro bisognoso». Questa frase ricalca il testo di Dt 15,4: «non vi sarà alcun bisognoso in mezzo a voi». La comunità cristiana, che ha la coscienza di essere il nuovo popolo di Dio, si considera destinataria delle benedizioni riservate al popolo della prima alleanza. La comunione e la solidarietà fraterna generano serenità e pace. E questo stile di vita rende testimonianza alla bellezza del vangelo e conferisce allo stesso tempo un fascino alla comunità.
  3. c) Lo spezzare il pane. Lo «spezzare frazione del pane» evoca nell’ambiente giudaico il gesto rituale dell’inizio del pasto comune: il capofamiglia prende tra le mani il pane, rende grazie a Dio, lo spezza e lo distribuisce ai presenti. L’espressione qui può indicare un semplice pasto conviviale, simbolo della fraternità, oppure può richiamare in senso specifico il banchetto eucaristico. I due elementi, memoria dell’ultima cena del Signore e solidarietà fraterna, non si escludono; anzi, per Luca e per la comunità primitiva sono inscindibili, fusi in un’unica celebrazione. La comunione con Cristo e con i fratelli fa parte della stessa dinamica dell’amore. Celebrare l’eucaristia è sedersi a mensa con Cristo insieme a tutti i fratelli. Una preghiera riportata nella Didaché illustra questa idea: «Come questo pane spezzato, che un tempo era sparso sui colli, è raccolto ed è diventato una sola cosa, così la tua Chiesa si raccolga dai confini della terra nel tuo regno!». Luca sottolinea che la frazione del pane viene fatta «nelle case» e «con letizia e semplicità di cuore» (v. 46). L’eucaristia è celebrata in un clima familiare, domestico, quotidiano; si inserisce nella vita a la permea di sé; ed è tutta connotata di gioia e di semplicità.
  4. d) La preghiera. I momenti di preghiera ritmano il cammino della Chiesa e segnano le svolte più importanti della missione cristiana. Si tratta sempre di una preghiera vitale, non distillata da regole di correttezza, ma nata dall’amore e dalla fiducia sincera. Una preghiera simile a quella del Salterio a cui abbondantemente attinge. La comunità prega con Maria nell’attesa della venuta dello Spirito (1,14), prega nelle scelte più importanti: nell’elezione di Mattia (1,24); nella scelta dei “sette” (6,6), nell’invio di Barnaba e Saulo in missione (13,3), nella costituzione dei presbiteri nelle nuove comunità cristiane (14,23). La comunità si mette a pregare e invoca aiuto nei momenti di difficoltà, prega di fronte all’ostilità dei giudei (4,23-30), dopo l’uccisione di Giacomo e mentre Pietro è rinchiuso in carcere (12,5.12), quando Paolo va a Gerusalemme con il presentimento della persecuzione imminente (21,5). Preghiere di lode e di ringraziamento vengono innalzate a Dio nei momenti di gioia e di accoglienza dei suoi doni come, per esempio, nella missione in Samaria (8,15), alla conversione di Cornelio (10,9.30; 11,5), ecc. Più avanti nel racconto, quando con l’espansione della Chiesa e l’aumento del lavoro sorge il bisogno di istituire il gruppo dei “sette” per il “servizio delle mense”, Pietro dirà di sé e degli altri apostoli: «noi invece ci dedicheremo alla preghiera e al servizio della parola» (6,4). Come si vede, gli apostoli sapevano fuggire fin dall’inizio il pericolo dell’attivismo che svuota la vita e in modo creativo – istituendo un nuovo ministero – hanno cercato di salvaguardare il primato e lo spazio che la preghiera doveva avere nella loro vita.

Dal testo alla vita

Abbiamo paragonato gli Atti ad un album di fotografie; anche se è anacro­nistico, immaginiamo con un po’ di fantasia di dover sceglie delle foto per il sito web della Chiesa primitiva. Sulla pagina web le persone e le orga­nizzazioni si autopresentano nelle loro forme migliori con foto belle, volti luminosi. Ciò che presenta At 2,42 potrebbe essere una delle fotografie di scelta prioritaria: «Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiera». Abbiamo qui la bella testimonianza di una comunità che ascolta la parola di Dio, che prega insieme, che è radicata in Cristo, tesa verso la piena realizzazione del di­segno del Padre, guidata dalla forza dello Spirito, che sa dove sta il proprio centro di unione, qual è la meta del suo vivere insieme e dove attingere forza per proseguire nel cammino. È una foto affascinante: messa sul sito sarebbe aperta a tutti, avrebbe un effetto testimoniante, “missionario”, “profetico”. Pensiamo che Luca acconsentirebbe a questa scelta. Infatti, egli conclude il suo primo quadro sulla comunità cristiana con questa bella pennellata: i cristiani «godono la simpatia di tutto il popolo. Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati» (2,47). Non si può spiegare la fecondità e il dinamismo e la diffusione rapida del movimento cristiano senza uno stile di vita e un clima di intensa spiritualità caratterizzate dagli elementi descritti, dalla semplicità e dalla gioia (cf 2,46). Particolarmente attraente è la comunione fraterna nella diversità: volti diversi che esprimono la diversità di età, di carattere, di provenienza, di sfondo culturale, eppure hanno «un solo cuore e un’anima sola» (At 4,32). La comunità, che ha la stessa radice, la stessa aspirazione, la stessa forza vitale, dev’essere di conseguenza una comunità unita, concorde, armoniosa. Con questa icona sulla vita della prima comunità Luca intende dare ai cristiani di tutti i tempi un progetto ideale di vita con il quale confrontarsi. Ciò deve essere fatto particolarmente dalla vita consacrata, che mira ad essere «espressione della comunione ecclesiale», «luogo dove si diventa fratelli e sorelle» e che, fin dalla sua nascita, «si è sentita in continuità con il gruppo di coloro che seguivano Gesù» (La vita fraterna in comunità, n.10). Oggi, di fronte alle «ombre di un mondo chiuso», alle «tante tendenze che ostacolano lo sviluppo della fraternità universale» (cf Fratelli tutti cap. 1), di fronte all’asia di unità, di amicizia, di pace e di riconciliazione che percorre come un fremito l’umanità intera, la vita consacrata, grazie alla sua tipica espressione di vita comunitaria, ha un contributo decisivo da offrire. Deve dimostrare come «una profezia in atto» che l’amore fraterno voluto da Gesù è realizzabile in bellezza. «La Chiesa affida alle comunità di vita consacrata il particolare compito di far crescere la spiritualità della comunione prima di tutto al proprio interno e poi nella stessa comunità ecclesiale ed oltre i suoi confini, aprendo o riaprendo costantemente il dialogo della carità, soprattutto dove il mondo di oggi è lacerato dall’odio etnico o da follie omicide» (ivi, n.51).

Per pregare e condividere

Continuiamo a sfogliare l’album delle fotografie di famiglia nella Bibbia, nella storia della Chiesa, nel tesoro della nostra tradizione salesiana, nelle nostre comunità, nella nostra memoria personale ecc.: troveremo sicuramente fotografie belle, non tanto da incorniciare e appendere nei nostri ambienti di vita, ma da imprimere nel cuore. Vedremo che queste foto, anche se ingiallite dal tempo, nascondono germi di futuro.