Approfon…DIRE, marzo 2024 – a cura di sr Mara Borsi – Tre dimensioni per cambiare linguaggio – Oggi per avviarsi sulla strada di un cambiamento stabile e duraturo nel linguaggio dell’evangelizzazione e della Chiesa in generale occorre un ripensamento dei motivi e dei modi che portano ad annunciare il Vangelo. Mi sembra importante ricordare l’affermazione di Riccardo Tonelli: «il fine dell’evangelizzazione è aiutare le persone a vivere».

Per ridare vita al linguaggio, per riempirlo di senso, renderlo comprensibile ed efficace è necessario dunque avvicinarsi – meglio in punta di piedi – alle vite concrete delle persone e capire di cosa esse hanno bisogno, come stare loro vicino e infine scegliere le parole che nascono dall’incontro con l’altro per comunicare e annunciare.

Nel dibattito tra gli operatori di pastorale giovanile, catechisti, educatori emerge l’importanza di mettere a fuoco tre «dimensioni» che si ritengono necessarie per riuscire ad uscire da questo impasse comunicativo che blocca la strada del Vangelo. Sono dimensioni che non sono alternative o giustapposte ma sono da considerare come una modalità unica che tenga conto di tutti gli aspetti.

La prima: recuperare la narrazione come tempo e luogo di conoscenza, individuazione di senso, scambio e costruzione comune di significati. La narrazione, costitutiva dell’umano in modo originario, è una modalità che occupa tutti i campi del sapere e dell’agire umano, perché tutto ciò che viviamo è vissuto attraverso il racconto. Il raccontare dunque è un fenomenale strumento per entrare in contatto con l’interiorità, propria e altrui, per scoprire e riscoprire significati attraverso immagini e storie che avvicinano la vita a messaggi buoni. Annunciare il Vangelo attraverso il narrare può significare anche non dire esplicitamente Gesù ma essere comunque un annuncio pienamente evangelico perché aiuta a vivere. Narrare e ascoltare racconti aiuta a vivere.

La seconda: la relazione. La vita è relazione, tutto avviene nella relazione. Perciò la relazione con l’altro è la prima e fondamentale dimensione da curare, le modalità della relazione non possono essere lasciate al caso, all’improvvisazione, occorre educarsi ed educare all’intelligenza relazionale.

La terza: assumere la fragilità come elemento costitutivo, necessario e benedetto dell’umano. Solo una fragilità accolta e amata può dischiudere tutte le potenzialità di una vita. Per poter aiutare le persone ad accogliere la fragilità è essenziale riconoscere la propria e – la storia insegna – per la Chiesa questo passaggio pare essere stato difficile e in alcuni momenti fuori dal proprio orizzonte. In questo senso è richiesto davvero un grande lavoro di purificazione: il tempo presente è un momento favorevole perché nella crisi – se accolta, appunto, in umiltà – si possono scoprire quali sono gli aspetti da migliorare.

La fede in Dio e in Gesù nasce da un lungo racconto, un insieme di racconti che hanno permesso all’umanità di conoscere e riconoscere il volto di Dio nella storia. Anzi, possiamo affermare, insieme a Karl Barth che l’identità di Dio – e di Gesù – è un’identità narrativa, il Dio in cui crediamo è un Dio raccontato.

Se la Rivelazione è un racconto, possiamo affermare che è nella narrazione di fede che i credenti continuano a proporre che può trovare spazio la rivelazione continua del volto di Dio.

La dimensione narrativa in origine ha avuto un’importanza fondamentale nella trasmissione della fede, ma nello scorrere del tempo non sempre questa dimensione è stata riconosciuta e valorizzata.

Nell’annuncio di fede e, dopo il Concilio Vaticano II, nella lettura diffusa della Parola, si sono privilegiati approcci più scientifici, con l’analisi storico-critica e la ricerca della verità storica dei fatti narrati, o teologico-dogmatici, cioè una lettura del testo che piega la narrazione alla esigenza della teologia, o una lettura moraleggiante per giustificare regole e prescrizioni di comportamento.

La narrazione tiene insieme in modo organico, per sua natura altri modi di comunicare.

Abbiamo avuto il dono di apprezzare il pensiero di Riccardo Tonelli che evidenzia la relazione di collaborazione che intercorre tra modelli di comunicazione argomentativi e narrazione, fino a verificare come nella narrazione siano presenti momenti argomentativi che si intrecciano con il momento del racconto sostenendo le esigenze peculiari di una comunicazione, con l’evangelizzazione, che richiede passione e competenze diversificate.

In questo modo la narrazione diventa sempre meno «modello», concreto e pronto all’uso, e sempre di più uno «stile» globale di evangelizzazione. Essa dà all’evangelizzatore una sensibilità, una competenza e una passione mai spenta, che lo abilitano ad imitare il saggio dell’evangelo che sa ricavare dal suo tesoro «cose antiche e cose nuove» (Mt 13,51).

Siamo dunque chiamati, nel percorso di umanizzazione del linguaggio, ad attingere alla modalità narrativa fino a farne lo stile dell’annuncio, aprendo spazi e dedicando tempi per narrare e ascoltare i racconti, ricostruire e riscoprire quei significati che edificano la persona e la comunità umana.