Approfon…DIRE, novembre 2023 – a cura di sr Mara Borsi – Negli anni ’80 Vasco Rossi cantava: «C’è qualcosa che non va in questo cielo», oggi possiamo dire la stessa cosa e affermare ancora con le parole del celebre cantante modenese che «c’è qualcuno che non sa più cos’è un uomo» (LP C’è chi dice no, 1987).

Guerre numerose, atrocità, devastazioni. Stiamo vivendo in un tempo in cui l’umano consciamente o inconsciamente è rifiutato… stiamo entrando in un’epoca post-umana?

Certamente questo tempo rivela che è in atto un allontanamento dall’umanità biblica, imperfetta, in ricerca ma pensata «molto buona», plasmata da Dio. Papa Francesco nella sua acuta analisi afferma: «Quella che stiamo vivendo non è semplicemente un’epoca di cambiamenti, ma è un cambiamento di epoca. Siamo, dunque, in uno di quei momenti nei quali i cambiamenti non sono più lineari, bensì epocali; costituiscono delle scelte che trasformano velocemente il modo di vivere, di relazionarsi, di comunicare ed elaborare il pensiero, di rapportarsi tra le generazioni umane e di comprendere e di vivere la fede e la scienza» (Discorso, 21 dicembre 2019).

Il Vangelo di Gesù di Nazareth ha dunque ancora qualcosa da dire a quest’umano «nella tormenta»?

Tempo fa, uno studente di scuola superiore ha detto: «Il Vangelo “spacca”!». In questa frase, così spontanea, per nulla retorica e fuori dagli schemi lessicali del linguaggio ecclesiale, è racchiusa la risposta essenziale alla domanda posta poco sopra.

Certamente Gesù ha ancora e sempre molto da dire all’umano di oggi. Solo che in molti non lo sanno; tantissime persone, giovani e adulti non sospettano nemmeno di poter trovare risorse per la propria vita e la propria felicità in Gesù, nella Scrittura e nella tradizione cristiana perché la capacità della comunità ecclesiale di parlare alla vita delle persone è stata offuscata da un approccio rigido, spesso moralistico e giudicante; l’immagine diffusa del cristianesimo è ancora “quella di un cristianesimo consolatorio legato alla valle di lacrime”, alimentata da un agire pastorale spicciolo ereditato dal tempo di quella cristianità che ora, come papa Francesco stesso ha più volte dichiarato, non esiste più. «Fratelli e sorelle, non siamo nella cristianità, non più! Oggi non siamo più gli unici che producono cultura, né i primi, né i più ascoltati. […] Non siamo più in un regime di cristianità perché la fede – specialmente in Europa, ma pure in gran parte dell’Occidente – non costituisce più un presupposto ovvio del vivere comune, anzi spesso viene perfino negata, derisa, emarginata e ridicolizzata» (Discorso, 21 dicembre 2019).

Già da tempo, da più parti e con molta urgenza viene portata l’istanza di un rinnovamento del linguaggio ecclesiale. Per «linguaggio» non si intende solo la traduzione formale dei contenuti della fede in una lingua più attuale. Il processo da avviare è soprattutto quello di un ripensamento in vista di una riappropriazione più consapevole e coinvolgente della tradizione e di una proposta di annuncio più comprensibile, e di conseguenza più desiderabile, per l’uomo e la donna di oggi.

Infatti un elemento non di poco conto è che il messaggio veicolato dal linguaggio verbale e non verbale dai credenti – la testimonianza in parole e opere – nella storia ha prodotto anche risultati controversi, nutrendo immagini di Dio molto lontane dall’Abbà narrato da Gesù. Al momento presente possiamo rilevare un analfabetismo religioso diffuso, dovuto certamente al contesto generale di indifferenza e disinteresse e al venir meno della trasmissione generazionale della fede, ma anche – e questo è il punto su cui possiamo e dobbiamo lavorare! – ad un annuncio poco curato, sciatto, frutto di rassegnazione e apatia pastorale.

Il lavoro che ci aspetta è dunque duplice: occorre da un lato decostruire e far evolvere rappresentazioni distorte, frutto di mala educazione, catechismi insufficienti anche solo a livello di socializzazione religiosa; dall’altro, è fondamentale e urgente rileggere e aggiornare alcuni snodi teologici secondo categorie di pensiero attuali e in prospettiva interdisciplinare per renderli comprensibili, desiderabili ed effettivamente portatori di quella pienezza di vita che è aspirazione di ciascuno.

Viviamo un tempo di crisi e di possibilità.

Il Vangelo, in questo contesto assai complesso, in larga parte disumanizzante, può ancora dire tanto agli uomini e alle donne che abitano il nostro oggi, anche se in molti non ne riconoscono il valore e non lo considerano un punto di riferimento per una vita buona e piena di gioia. Questo allontanamento e misconoscimento è stato causato in buona misura anche da un atteggiamento dei credenti che nel tempo hanno preferito chiudersi in difesa piuttosto che «giocare d’anticipo», alimentando rappresentazioni, narrazioni e pratiche che hanno finito col rendere l’annuncio cristiano poco significativo per la vita, poco comprensibile e quindi poco desiderabile.