Approfon…DIRE, marzo 2023 – a cura di Mara Borsi fma – Giovanni Paolo II, nel 2001, parlando ai giovani della diocesi di Roma invitava a “rilanciare gli oratori, adeguandoli alle esigenze dei tempi, come ponti tra la Chiesa e la strada".

L’immagine del ponte è molto evocativa e la preposizione “tra” può rappresentare, in estrema sintesi, la definizione del ruolo e del lavoro dell’educatore, dell’educatrice in oratorio.

Quali sono i tratti essenziali e gli elementi costitutivi dell’educatore “ponte”?

Quale stile e quali aspetti originali porta in campo educativo?

Innanzitutto l’educatore ponte concentra la sua attenzione su avvenimenti ritenuti marginali e periferici rispetto a quelli che il contesto attuale riconosce come prioritari: si interessa dei fenomeni che stanno in mezzo, non pone l’attenzione solo sul risultato, sugli obiettivi da raggiungere ma su quello che succede mentre si cammina verso questi traguardi.

La strada, il percorso, diventa allora il luogo del suo operare. L’attesa e la sosta diventano i tempi privilegiati da valorizzare per far crescere la relazione.

La rielaborazione e la “decantazione” di quanto vissuto gli permettono di fare memoria dei percorsi, per trasformare le esperienze, in consapevolezza, competenze personali e comunitarie e per ridefinire costantemente orizzonti di senso e percorsi possibili.

Il ponte è luogo di transito, di passaggio, non è luogo di stabilità dove fermarsi a lungo, dove mettere su casa.

L’educatore, l’educatrice “ponte” sa che è di passaggio e il suo apporto alla crescita delle persone che incontra è tanto più incisivo quanto più lui/lei riesce a diventare marginale nella loro vita. Il ponte evoca ancora l’equilibrio tra le due sponde che unisce.

L’educatore, l’educatrice è dunque questo tramite e l’essere tra realtà differenti richiede la capacità di non perdere mai di vista le sponde da unire, il sapersi cioè arricchire costantemente degli sguardi e dei punti di vista, ascoltare, mettersi “nei panni di” per non rischiare di diventare isola.

Essere “tra” infine, rende l’educatore, l’educatrice stesso confine, punto d’incontro e di passaggio di persone, di mondi e di generazioni e caratterizza fortemente il suo approccio, lo stile e lo sguardo.

Il ruolo dell’educatore si gioca nella tessitura del mondo attraverso l’intenzionalità, le relazioni, i metodi, i sistemi di pensiero che mette in campo, in una sorta di filtro tra le nuove generazioni ed il mondo. Educare è aiutare la persona in crescita a tessere una trama di relazioni, che significa saper utilizzare i linguaggi della cultura che abitano, vivere l’affettività all’interno di rapporti interpersonali autentici, elaborare un personale orientamento esistenziale di fondo in grado di unificare tutte le relazioni in un insieme ordinato, coerente e dotato di significato. Il processo educativo ha infatti la finalità di aiutare le nuove generazioni a dare un senso e uno scopo costruttivo al proprio desiderio di vita. Questo ruolo richiede che l’educatore sia adulto nel senso pieno della parola, il che implica che la persona dopo aver completato la conquista dell’io nell’adolescenza, sia sempre più consapevole del percorso della riconquista del noi.

La conquista dell’io, si conclude nell’adolescenza e si basa sull’accentuazione della diversità, dell’opposizione della persona a tutti quei legami che la omologano al tutto costituito dalla natura e dalla società, invece la conquista del noi si basa sull’accentuazione dei legami di solidarietà con la realtà tutta.

Questo senza perdere, ma anzi rinforzando i confini della propria individualità.

La riconquista del noi è legata all’esercizio della responsabilità e questa non è che la forma adulta della solidarietà.

Il processo educativo è uno dei luoghi privilegiati in cui l’adulto può vivere questa forma di solidarietà profonda e divenire, quindi, maggiormente adulto.