Ma le letture della Messa di Natale avevano una solennità che la festività odierna sembra perdere.

La prima lettura, infatti, sembra un codice domestico di buon senso: un invito reiterato a voler bene e a fare del bene ai propri genitori, in qualunque situazione si trovino, anche se dovessero perdere il senno, anche in situazione di bisogno dovuta alla vecchiaia. Sembra che non ci sia neppure bisogno che la Scrittura insista su un bene, quello della solidarietà tra le generazioni, che dovrebbe essere inscritto nel DNA di ogni uomo.

Eppure la cronaca ci dice che spesso anche l’ovvio ha bisogno di essere ripetuto e riconfermato solennemente, perché, soprattutto nella nostra società liquida, tendiamo a perdere il senso delle radici, la riconoscenza verso coloro a cui dobbiamo la nostra esistenza. Dio ci ha creati, ma i nostri genitori ci hanno pro-creati, collaborando attivamente e scientemente all’opera di Dio per noi.

Anche il Salmo responsoriale ci offre un quadro di intimità domestica molto significativo: “La tua sposa come vite feconda nell’intimità della tua casa; i tuoi figli come virgulti d’ulivo intorno alla tua mensa” (Sal 127). Questo è il segno di una benedizione divina riservata all’uomo che teme Dio. Certo, ci può sembrare un po’ idealizzato. Non sempre genitori timorati di Dio vedono prosperare le relazioni familiari in un quadro così idilliaco: quante volte genitori credenti penano per la lontananza dei figli rispetto ai valori religiosi che pure sono stati trasmessi loro! Ma non bisogna mai disperare: Dio sa e ha i suoi tempi per poter ristabilire le cose.

La seconda lettura è invece un elenco di virtù cristiane, che non è ristretto alle sole relazioni familiari, anche se nel finale viene specificamente applicato ai rapporti mogli/mariti e genitori/figli. In fondo la famiglia è la cellula base di ogni società, è la prima società naturale, per cui le relazioni interpersonali non sono che lo specchio delle virtù apprese nell’ambiente domestico: la tenerezza, la bontà, l’umiltà, la mansuetudine, la generosità, la sopportazione vicendevole e il perdono reciproco, e soprattutto la carità, sono virtù che ogni cristiano è chiamato a vivere verso ogni fratello nella fede e verso ogni altro uomo. Ma sono virtù che si apprendono nell’ambito della famiglia, anche perché la comunità cristiana non è che una grande famiglia, la famiglia dei figli di Dio.

Il Vangelo non solo ci mantiene in questo quadro di semplicità domestica, ma rispetto all’esplosione di gioia della liturgia di questi giorni, ci dà un velo di tristezza, perché ci mostra il neonato Gesù alle prese con la prima minaccia alla sua vita: quella che proviene da Erode il Grande e dalla sua ossessione per il potere. Anche senza voler dire, con l’Imitazione di Cristo, che tutta la vita di Gesù fu croce e martirio, di certo il Vangelo non ci nasconde che la venuta del Figlio di Dio nel mondo non ha conosciuto solo la gioia dei pastori e dei Magi, la gioia umile di Maria e Giuseppe, ma anche, e fin da subito, il rifiuto e la minaccia. Ma il Vangelo ci comunica anche che Dio veglia sulle traversie della S. Famiglia, così come su quelle di ogni famiglia. Anche dietro la persecuzione cui va incontro il Figlio di Dio, esiste un piano provvidenziale di adempimento delle Scritture e di realizzazione della storia della salvezza. L’invito anche per noi, allora, è quello di non scoraggiarci mai di fronte alle difficoltà che incontriamo come singoli e come famiglie. In un tempo in cui la società civile e la cultura sembrano fare a meno della famiglia naturale, e persino la avversano equiparandola a forme di convivenza alquanto fluttuanti e volatili, la testimonianza della famiglia cristiana è quanto mai necessaria e oggi ci è offerto come modello la Famiglia stessa che il Figlio di Dio ha fatto propria nella sua incarnazione.