Le giornate sono trascorse tra ascolto di brillanti relatori, condivisione in gruppo, momenti di fraternità e culturali, tempo di preghiera con una liturgia molto ben preparata e ricerca insieme nel laboratori dedicati a: Diversità e conflitti; Comunicazione efficace; Intercultura e carisma; Potere e sinodalità.

Condividiamo le conclusioni presentate da don Beppe Roggia con la sua incredibile capacità di sintesi: “Solitario e alto nel cielo rosso, il gabbiano bianco cala ogni sera nel giardino vicino al mare della vecchia casa del signor Kucic, dove generazioni di figli e nipoti si sono alternate nel corso degli anni. Ogni sera lo aspettano frattaglie e sardoni lasciati per lui; lo aspetta un amico, Zivil, il cane pastore-del Carso, che ha capito che il gabbiano non è uno di quegli animali da fare scappare. Gali Gali è un gabbiano reale, dalla grande apertura di ali, il corpo e la testa bianchi. Gali Gali è altero, sicuro della sua bellezza, molto diversa dai volgari gabbiani grigi, che volano basso e frugano nei rifiuti. Non mescolarsi con loro, essere cosciente della propria superiorità è per Gali Gali una scelta di prim’ordine comportamentale. Ma anche per i più fortunati può arrivare, imprevista, la tempesta. Così un giorno Gali Gali, colto dalla bufera, sbattuto dal vento nero su una spiaggia mai vista, incontra una gabbiana grigia, anche lei sbattuta su quel lido, arruffata, impaurita come lui e, in fin dei conti, non così diversa da lui. Stretti in un abbraccio alato, le differenze si annullano e la bellezza e il mood della propria superiorità si scioglie nel non senso. Così lo scrittore Claudio Magris nel suo ultimo libro in bancherella da neppure un mese: Storia di Gali Gali. Piccola storia del gabbiano che imparo dalla tempesta.

Mi sembra possa essere una parabola di quanto è successo in questi anni nella Vita Consacrata e che abbiamo in certo modo voluto condensare nei giorni del nostro Convegno. In 176 (141 consacrate e 35 consacrati) ci siamo trovati all’appuntamento di Collevalenza a prendere atto che la grande tempesta del cambio epocale ha strappato ormai la Vita Consacrata, insieme con tutta la Chiesa, dalla roccaforte di sicurezze esteriori ed interne, su cui ha giocato per secoli il suo senso di superiorità rispetto al resto del popolo di Dio e l’ha posizionata su una linea di frontiera tra generazioni e culture diverse, luogo dell’imprevisto, dell’inedito, della novità al di là delle consuetudini tramandate.

La straneità e il disorientamento sono diventati ormai un processo che ci abita e ci rende fragili. Ma è appunto in questa fragilità della Chiesa e della Vita Consacrata che siamo chiamati a edificare un mondo più umano nella faticosa ricerca della verità (Salvarani).

Il caos della torre di Babele con le tante paure che attanagliano ciascuno di fronte a Dio e di fronte agli altri ci chiude ancora nell’illusione di farci un nome, invece di dare un nome alla realtà. Ma Dio, che rischia per ogni bimbo che nasce sulla terra, scende per aiutarci a fare verità e rilancia il suo progetto con una nuova storia (Anghinoni). Una storia che Gesù riprende, rifondando il nuovo popolo dell’alleanza con i dodici apostoli. Un gruppo di discepoli così diversi per cultura, provenienza, carattere, impostazione di vita. Con loro imposta un cammino sofferto per giungere ad accettarsi reciprocamente ed essere cosi disponibili alla missione del Vangelo fino ai confini del mondo (Michelini); nella Pentecoste, con la forza dello Spirito, c’è finalmente la possibilità di aprirsi vicendevolmente con la lingua dell’amore e scatta così la bellezza della relazione (Anghinoni).

Anche per noi è proprio grazie alla tempesta di questi anni che siamo spinti ad abbracciare insieme generazioni diverse e culture altre e a sciogliere nel non senso ogni senso di superiorità e di privilegio in termini di diaconia e di servizio. Siamo posizionati su questa linea inedita ma ci è ancora difficile cambiare mentalità, anche perché non abbiamo ancora chiara la distinzione tra multiculturalità di fatto e interculturalità da costruire. Ci vuole un nuovo stile, ci vuole la costruzione di una identità nuova, definita e trasformata dalla storia, centrata su un grande e accogliente spazio di inclusione, dove le diversità, invece che essere temute o emarginate, sono accolte e riconciliate nella ricerca continua di una nuova armonia carismatica pur nella forte trasformazione in atto (Pandolfi). Questo richiede anche di scoprire cosa significa potere e come si deve esercitare. La tentazione dell’idolo del potere, che si centra sul ruolo dell’autorità e, perlopiù controlla e schiavizza, deve cedere il passo al modello portato da Gesù di un potere che serve la gioia e la salvezza dei fratelli e sorelle e si trasforma in sinodalità e custodia. È questo il potere generativo dell’amore, custodendo Dio in noi, custodendo noi stessi, custodendo i fratelli e le sorelle, custodendo la nostra storia e il carisma attraverso un innesto nella ferita della croce e della complementarità vicendevole (Zaltron).

Tutto ciò postula che la nostra libertà oggi vesta l’abito della più grande responsabilità: responsabilità dei nostri giovani in formazione; ma prima di tutto responsabilità delle animatrici/tori vocazionali, dei formatori/trici oltre che dei superiori ai vari livelli. Responsabilità giocata in un dialogo fruttuoso e in un patto serio fra generazioni e culture. Nessuna comunità umana e tanto meno di Vita Consacrata, sia essa comunità di vita o comunità di pratica o entrambi, può esistere e progredire se si spezza la catena della fiducia, della trasmissione dell’esperienza e della propria storia e della speranza di pensare e realizzare insieme un futuro migliore con grande lungimiranza (Pandolfi), perché esistiamo in un processo di diversità, in cui accogliamo altro dentro di noi con una vita in relazione, per la relazione, di relazioni, che ci porta a ripensare insieme il progetto carismatico di Istituto con autoconsapevolezza, decentramento, decostruzione, dialogo. Certo, dobbiamo costatare che siamo chiamati a vivere di fatto in questa Terra di mezzo della complessità di questo cambio di epoca contemporaneo. Una Vita Consacrata con tanti colori multiculturali e si spera interculturali. Ma Dio non è daltonico; piuttosto si rallegra per questo caleidoscopio, preludio e annuncio di un nuovo futuro ricco di promesse (Cattaneo). Lo attendiamo perciò con fiducia.”

Vedi: http://www.usminazionale.net/?p=10596

Per la nostra ispettoria ha partecipato sr. Cristina Festa