È indispensabile sfruttare questa occasione invitando il maggior numero di ragazzi a rispondere al questionario: poiché, trattando vari argomenti, non solo strettamente collegati alla vita di fede, esso lascia spazio a perplessità e suggerimenti su come oggi la Chiesa riesce a raggiungere tutti i giovani, aiutandoli a scoprire la bellezza della fede in un mondo che propone sicuramente molte alternative appetibili, anche se non capaci davvero di colmare quella sete di verità che parte dall’intimo del cuore di ognuno.

I giovani sembrano desiderare una Chiesa che non escluda nessuno, in cui tutti siano in cammino e che riconosca come unica cartina di tornasole il Vangelo: una Chiesa che vada incontro alla persona così com’è, perché nella piena libertà possa incontrare Gesù.

Una Chiesa che aiuti a essere e volersi umani davanti a Dio e con Lui camminare anche con chi ha una strada diversa.

I giovani vogliono una comunità ecclesiale che confidi solo in Dio e sia gioiosa perché è Lui che le dona la gioia, una comunità cristiana che si assuma con passione il compito di educarli, guidarli e accompagnarli verso una religione che non sia lettera morta, bensì fonte di speranza nella vita di tutti i giorni.

Sul piano pratico, questo significa per gli educatori vivere una presenza quotidiana e costante accanto a loro, attraverso forme di aggregazione culturali e religiose che li aiutino a sognare e a impegnarsi in modo autentico e fecondo. 

Stare con loro e aiutarli a riacquistare fiducia, entrando in un processo di miglioramento delle proprie condizioni e di rigenerazione del proprio quartiere, città, paese.

Occorre avere il coraggio di una nuova missione verso il mondo giovanile, in cui i ragazzi siano chiamati a “compromettersi” per Gesù nei luoghi della loro vita: scuola, università, lavoro, luoghi di svago. In questo senso, va colto l’invito di Papa Francesco a dare un «maggiore protagonismo» ai giovani (Evangelii gaudium, 106).

È necessario chiederci: come possiamo concretizzare quest’invito del Papa nel nostro territorio e nei nostri ambienti educativi? Un dato è certo: quando la comunità ecclesiale riesce a condividere la vita dei suoi giovani, è allora che acquisisce l’autorevolezza per dire loro sia le parole più facili da accogliere, sia le parole “scomode” che l’obbedienza al Vangelo chiede di annunciare. Una Chiesa incarnata ha il compito di far crescere la comunione con e fra i giovani cristiani, perché a loro volta essi siano segno e strumento di un modo diverso di impostare le relazioni tanto all’interno della comunità ecclesiale, quanto nella vita sociale.

Essi non si accontentano delle mezze misure e sognano una Chiesa radicalmente cristiana, che non solo dica «questo non si deve fare», ma spieghi loro il perché, mostrando con l’eloquenza della vita ciò che va fatto, una Chiesa amica, che non viva solo di tradizioni, anche se è nelle tradizioni più autentiche che si trova il miglior collante tra passato e futuro.

È nella complessità di questo quadro che dovremo sognare e vivere il nostro essere Chiesa dei giovani e per i giovani: quali scelte compiere in tal senso? Quali passi suggerire?