La Spezia, aprile 2022 – Proposta pastorale 2021-22 per le comunità: AMATI E CHIAMATI “Renditi umile, forte e robusto” – “Affetti e legami”, Settima Lectio Mc 7,14-23 – pp. 137-143

Contesto

Conosciamo il Gesù «mite e umile di cuore» (Mt 11,29), che ha sentimenti delicati, parole affettuose e gesti di molta tenerezza, che esulta di commozione poetica di fronte all’amore del Padre, che gode della gioia della festa, che condivide il dolore di chi soffre, che incoraggia, insegna, consola, guarisce, perdona; ma non ignoriamo l’altro aspetto: la sua esigenza nel confronto dei discepoli, la sua severità nel denunciare il male, il suo rigore nel rimproverare gli oppositori. La parola di Dio, infatti, è dolce e amara allo stesso tempo (cf Ez 3,3; Ap 10,10), può essere forte, dura, come «il martello che spacca la roccia», (Ger 23,29), «più tagliente di ogni spada a doppio taglio» (Eb 4,12). Il cap. 7 di Marco far parte delle parole dure, inflessibili, pungenti, taglienti.

Nel piano geografico-letterario-teologico dell’evangelista Gesù si trova verso la fine della sua predicazione in Galilea. Già nella sezione 2.1-3,6 Gesù aveva avuto cinque controversie con gli scribi e i farisei, oppositori di lui e del suo operato; entrato in Gerusalemme ne avrà altre con persone della stessa categoria, che punteranno il dito su di lui, criticandolo e sollevando domande sulla sua identità, sul suo comportamento, sulla sua autorità, sul suo insegnamento (cf capp. 11-12). Ora, nel cap. 7, abbiamo una disputa di Gesù provocata sempre dagli scribi e dai farisei. È l’ultima che avviene in Galilea, prima che Gesù inizi il viaggio verso Gerusalemme.

Dal punto di vista del contenuto il discorso si articola in 4 parti:

I vv. 1-8 riportano la denuncia di Gesù nei confronti di farisei e scribi di una religiosità esteriore in cui la legge, degradata a legalismo, è ridotta a tradizione umana: «Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini» (v.8).

I vv. 9-13 ne danno un’esemplificazione evidente.

I vv. 14-19 dichiarano che tutto il creato è buono, perché fatto per l’uomo. Non hanno, quindi, nessun senso i tabù che distinguono rigidamente le cose pure da quelle impure.

I vv. 20-23 mostrano il vero principio del male: il cuore dell’uomo, quando egli non usa le cose create per amare i fratelli.

La nostra riflessione si concentra sui vv. 14-23, che comprendono una parola all’aperto rivolta alla folla (v. 15) e un ulteriore approfondimento in casa riservato ai discepoli (v. 18-23). Gesù è particolarmente interessato a questo gruppo di persone che ha chiamato a seguirlo più da vicino, desidera che abbiano una comprensione più piena di questo messaggio centrale: nel rapporto tra Dio e l’uomo ciò che importa è il cuore.

Approfondimento

  1. a) Dentro-fuori. Nelle parole di Gesù emergono questi binomi: dentro – fuori, entrare – uscire, puro – impuro. Mentre per gli oppositori è ciò che dal di fuori entra nell’uomo, come il cibo, a rendere l’uomo puro o impuro, per Gesù, invece, determinante è ciò che esce dal di dentro dell’uomo. Il cibo che l’uomo assume con la bocca non raggiunge il cuore, per questo non può rendere impuro l’uomo. Ciò che viene chiarito per il cibo vale per ogni cosa “esterna”: abluzioni, condizioni fisiche, contatti con i lebbrosi ed i pagani ecc. Tutto ciò non può rendere impuri e non incide per niente sulla relazione dell’uomo con Dio. Questo insegnamento è anticipato dai gesti stessi che Gesù finora ha compiuto: ha toccato i lebbrosi (1,41), ha mangiato con i pubblicani e i peccatori (2,15-17), si è recato in un paese pagano (5,1-20), si è lasciato toccare senza protestare dalla donna emorroissa (5,25-34).

L’uomo diventa, o meglio, si manifesta impuro per ciò che esce dal suo interno, per ciò che ha origine nel cuore. Gesù elenca una serie di mali morali contro Dio e contro il prossimo, mali che hanno radici nel cuore e si rivelano nella vita (7, 21-23). La lista dei mali culmina nella stoltezza, proprio di chi è ottuso, opaco di mente, di cuore e nella coscienza, di chi non distingue il bene dal male, di chi è irrigidito, insensibile, indifferente.

In conclusione: importante è il “dentro”, il cuore. Chi ha il cuore buono e lo apre alla volontà di Dio e all’amore dei fratelli questi è puro, piace a Dio e ha un forte legame con Lui.

  1. b) Il cuore. Il cuore è un organo umano nascosto nel profondo, centrale e vitale. In molte culture è considerato la sede degli affetti, dei sentimenti e delle emozioni; nell’antropologia biblica, invece, il cuore assume una valenza simbolica molta vasta. È una realtà preziosa, indispensabile per la vita, ma anche complessa e misteriosa: «un baratro è l’uomo e il suo cuore un abisso» (Sal 63,7). La Bibbia parla di «pensieri del cuore», «decisione del cuore», di «cuore integro», «cuore docile», «cuore sapiente», «cuore saldo», «cuore irreprensibile», «cuore nuovo», di «amare Dio con tutto il cuore»; o, al contrario, di «cuore perverso», di «cuore stolto» o «durezza di cuore» ecc. Il cuore che cambia è la persona che cambia, per questo il Signore invita alla «conversione del cuore», o «circoncisione del cuore»: «Circoncidete dunque il vostro cuore ostinato e non indurite più la vostra cervice» (Dt 10,16), «Laceratevi il cuore e non le vesti, ritornate al Signore, vostro Dio» (Gl 2,3).

Il cuore rappresenta l’“io profondo”, il nucleo più intimo e più autentico dell’uomo, la sorgente da cui scaturisce ogni dinamismo spirituale, l’identità costitutiva dove l’uomo s’incontra con Dio ed imposta tutta la sua esistenza, il luogo dove fiorisce l’amore e cresce la sapienza, il terreno del discernimento e della maturazione della coscienza. Impossibile non ricordarci alcuni passi: «L’uomo guarda l’apparenza, il Signore guarda il cuore» (1Sam 16,7); il rimprovero di Dio: «Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore e lontano da me» (Is 29,13). È in questo senso che Gesù afferma: «Dov’è il tuo tesoro, là è il tuo cuore» (Mt 6,21), «La bocca parla dalla pienezza del cuore» (Mt 12,34), «L’uomo buono dal suo buon tesoro trae cose buone, l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae cose cattive» (Mt 12,26). È anche in questo senso ampio e totalizzante che egli parla del proprio cuore: «sono mite e umile di cuore» (Mt 11,29).

Nella parabola del seminatore Gesù rileva che il cuore è il terreno dove il seme della Parola cresce. Geremia accoglie la Parola di Dio come «un fuoco ardente nel cuore» (Ger 20,9). Si pensi a Lidia, la prima battezzata in Europa, a lei «il Signore aprì il cuore per aderire alle parole di Paolo» (At 16,14). Nell’incontro con i due discepoli di Emmaus Gesù li rimprovera: «Sciocchi e tardi di cuore nel credere alle parole dei profeti» (Lc 24,25). E dopo aver riconosciuto Gesù nello spezzare del pane, ripensando all’esperienza del cammino fatto con il Maestro in incognita i due esclamano con meraviglia: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli … ci apriva le Scritture?» (Lc 24,32).

Antoine de Saint-Exupéry ha scritto: «Non si vede bene che col cuore». La Bibbia presenta questa stessa verità applicandola non solo agli occhi, ma anche agli orecchi: si vede in profondità con gli «occhi del cuore» e si ascolta con attenzione con «gli orecchi del cuore». E, di Maria, Luca sottolinea per due volte che «custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19. 51). Il cuore di Maria è come uno scrigno di memoria e di saggezza. Il legame del cuore con la memoria e con il ricordo è testimoniato anche da alcune indicazioni lessicali. Il latino “recordari” e l’italiano “ricordare” hanno la loro origine nella parola “cuore”. In inglese imparare a memoria si dice “to learn by heart” e in francese «apprendre par coeur».

Dal testo alla vita

L’autore del Salmo 23 pone la domanda: «Chi salirà il monte del Signore, chi starà nel suo luogo santo?». Offre egli stesso la risposta: «Chi ha mani innocenti e cuore puro, chi non pronuncia menzogna, chi non giura a danno del suo prossimo». Le mani indicano l’agire, l’operare. Il significato delle «mani innocenti» è facile da intuire: agire in modo retto, compiere opere buone in modo luminoso. Un cuore puro è sincero, integro, indiviso, senza doppiezza, senza macchie o pieghe, privo di zone oscure, chiuse, equivoche. È ciò che Gesù vuol vedere nei suoi discepoli. Nelle beatitudini Gesù proclama: «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio» (Mt 5,8). I puri di cuore hanno un accesso diretto a Dio, un’intuizione, una sintonia, un’affinità con il divino. Riflettono con trasparenza l’immagine di Dio, irradiano candore e bellezza interiore, esercitano un fascino sugli altri. Il contrario della purezza del cuore è l’ipocrisia. È il male che Gesù detesta e denuncia con più frequenza e in modo più radicale; è anche il male più subdolo, più difficile da ammettere come tale. Spesso viene giustificato e camuffato sotto la copertura dell’arte della diplomazia, abbellito con il nome di “strategia di prudenza”, “male necessario”, “bugie benevoli” ecc. Può sembrare innocuo all’inizio, ma, inavvertitamente, può condurre lontano, fino alla falsità.

Fa bene rileggere il cap. 23 di Matteo con i forti rimproveri di Gesù: «Guai a voi ipocriti!”. I farisei e gli scribi, cui Gesù indirizzava queste parole taglienti, non sono una categoria storica di personaggi estinti: i loro atteggiamenti hanno vita prospera e possono sussistere anche in noi. Gesù critica gli ipocriti, perché «dicono e non fanno» (Mt 23,3), sono come «sepolcri imbiancati» (23,27), sono dei ciechi che pretendono di guidare altri. Amano l’onore e la lode, i primi posti e i privilegi, vivono in modo incoerente tra “dentro” e “fuori”, danno più importanza all’apparire che all’essere, creano e sostengono un’immagine di sé migliore di ciò che sono realmente e, per le maschere che portano e cambiano di continuo, finiscono per smarrire la propria identità. Esaltando se stessi disprezzando gli altri. Riducono la vita ad un teatro e gli altri a loro ammiratori. Cercano di fare bella figura sul palcoscenico, ma in realtà si rifugiano nella propria ambiguità e opacità. Sono ossessionati dallo scoprire i difetti reali o immaginari degli altri, puntano il dito senza riguardo, sviluppano una “doppiezza” di comportamento e di giudizio. Gesù li paragona ai serpenti e alle vipere (Mt 23,33), li rimprovera con ironia: quando fanno l’elemosina, suonano la tromba per essere ammirati, quando pregano si mettono nelle piazze per attirare l’attenzione (Mt 6), scoprono la pagliuzza nell’occhio del fratello e trascurano la trave nel proprio (7,3-5), filtrano il moscerino e ingoiano il cammello (23,24).

Un’altra cosa che fa soffrire Dio è la sclerocardia (la durezza di cuore) del suo popolo. I profeti esprimono con parole e immagini toccanti il dolore, l’“impotenza” di Dio di fronte all’insensibilità dell’uomo. (Per esempio, la vigna ingrata in Is 5,1-7: «Che cosa dovevo fare ancora alla mia vigna che io non abbia fatto? ...»; il figlio ribelle in Os 11,1-6: «… più li chiamavo, più si allontanavano da me; …essi non compresero che avevo cura di loro»; il processo contro Israele in Mi 6,1-8: «Popolo mio, che cosa ti ho fatto? In che cosa ti ho stancato? Rispondimi»). Anche nel Vangelo Gesù rimprovera spesso, e con parole dure, i suoi oppositori, la folla e anche i suoi discepoli per la loro indifferenza e insensibilità all’amore (Per esempio alla folla: «Ma a chi paragonerò io questa generazione? Essa è simile a quei fanciulli seduti sulle piazze che si rivolgono agli altri compagni e dicono: Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non avete pianto…» (Mt 11,16-19); ai suoi oppositori: «…Ma io vi conosco e so che non avete in voi l’amore di Dio» (Gv 5,42); ai discepoli: «Non intendete e non capite ancora? Avete il cuore indurito? Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite? …» (Mc 8,14-21).

Per pregare e condividere

Esaminiamo il nostro cuore: è arido, duro, freddo, chiuso, inerte, stanco, triste, vuoto, insensibile, impermeabile, indifferente, ingrato all’amore? È un «cuore di pietra», indifferente? Un «cuore lento, stolto»? Lasciamo penetrare l’amore di Dio? Ci lasciamo rallegrare, sorprendere dall’amore abbondante di Dio? Ci lasciamo coinvolgere, sconvolgere «trafiggere il cuore» (At 3,37)? Abbiamo “un cuore di carne”, semplice, umile, fresco, sincero, ricco di umanità?

I salmisti chiedono con insistenza a Dio: «tieni unito il mio cuore» (86,11), «tu vuoi la sincerità del cuore… crea in me un cuore puro» (51,8.12), «sia integro il mio cuore» (119,80), «Di te ha detto il mio cuore: cercate il suo volto... » (27,8); «Insegnaci a contare i nostri giorni, e giungeremo alla sapienza del cuore” (90,12), ecc.

Paolo ammonisce con il cuore paterno il suo giovane collaboratore Timoteo: la carità «nasce da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede sincera» (1Tm 1,5): «Sta’ lontano dalle passioni della gioventù; cerca la giustizia, la fede, la carità, la pace, insieme a quelli che invocano il Signore con cuore puro» (2Tm 2,22).

Don Bosco e madre Mazzarello hanno molto in comune la semplicità del cuore e l’arte della relazione educativa. Riportiamo qui alcune parole dalle lettere di madre Mazzarello:

- Alle suore: «Ama tutti e tutte le tue sorelle, amale sempre nel Signore, ma il tuo cuore non dividerlo con nessuno, sia tutto intiero per Gesù» (L 65,3). «Fa’ in modo di essere sempre un modello di virtù, di umiltà, di carità e di obbedienza, e siccome il Signore vede il cuore, bisogna che queste virtù siano praticate proprio col cuore più ancora che cogli atti esterni» (L 19,1). «Non abbiate tanto il cuore così piccolo, ma un cuore generoso, grande e non tanti timori» (L 27,14).

- a don Bosco: «dica una di quelle efficaci parole a Maria SS. perché voglia aiutarmi a praticare ciò che debbo insegnare alle altre e possano così ricevere tutte da me quegli esempi che il mio grado m’obbliga di dar loro» (L 3,5).

- a don Cagliero chiede di pregare «perché le virtù che si vedono fiorire siano più interne che esterne» (L 7,2). «Se io darò sempre buon esempio alle mie sorelle, le cose andran sempre bene, se io amerò Gesù con tutto il cuore saprò anche farlo amare alle altre» (L 11,2).