La Spezia, gennaio 2022 – Proposta pastorale 2021-22 per le comunità: AMATI E CHIAMATI “Renditi umile, forte e robusto” – “Forza del Carisma”, Quarta Lectio: Lc 1,26-38 – Nel testo non appare in modo esplicito il termine “carisma”, ma se la parola carisma deriva da charis (grazia) e viene usata nel Nuovo Testamento per designare un dono di Dio, in particolare dello Spirito Santo, abbiamo in Maria, «piena di grazia» (v.28), «adombrata dalla potenza dell’Altissimo» (v.35), una donna carismatica in modo supremo. Il racconto evangelico su Maria, infatti, si apre con la piccola borgata di Nazaret e si chiude con la città di Gerusalemme. Tutti e due i luoghi sono come uno spiraglio dove la terra si apre al cielo, come un trampolino di lancio dove la casa spalanca la porta ad un cammino. In tutti e due irrompe la forza dello Spirito, nella prima silenziosamente come «ombra che copre» (Lc 1,35), nella seconda attraverso un «fragore di vento impetuoso» (At 2,1). C’è una specie di “inclusione pnematologica” meravigliosa. Da un luogo all’altro si sviluppa la grande avventura non solo di Maria, ma di tutta l’umanità che cammina all’incontro di un Dio sorprendente. Ora focalizziamo l’attenzione sull’evento di Nazaret.

CONTESTO.

Leggere i primi due capitoli del Vangelo di Luca è come vedere un film, tanto è vivace e coinvolgente il racconto. Le scene si susseguono incalzanti da un luogo all’altro, da un personaggio all’altro: il disegno misterioso di Dio si dipana tra contrasti e sviluppi graduali. Con il movimento tipico di una macchina da presa, il racconto parte dall’infinito del cielo e poi restringe il campo fino a mettere a fuoco il tempio di Gerusalemme. L’angelo Gabriele, mandato da Dio, appare «ritto alla destra dell’altare dell’incenso» (1,11), mentre il sacerdote Zaccaria è tutto immerso nel rito dell’offerta. Zaccaria è sposo di Elisabetta. Ambedue in età avanzata, ambedue di integra condotta, osservanti della legge del Signore ed esemplari nella religiosità dell’Antico Testamento. l Signore, però, non ha concesso loro la gioia di un figlio. Ora l’angelo reca a Zaccaria un lieto annuncio: «La tua preghiera è stata esaudita e tua moglie Elisabetta ti darà un figlio, che chiamerai Giovanni» (1.13). Zaccaria, confuso e sbalordito, stenta a credere ad una notizia così sorprendente e inverosimile. La conclusione è che Zaccaria esce dal tempio muto, incapace di comunicare, perché chi non crede al disegno di Dio non può nemmeno parlarne, rimane fuori dalla circolazione degli eventi meravigliosi.

Lo zoom si sposta, lascia il tempio, lascia la città santa, per posarsi su un luogo non comparabile per nulla a Gerusalemme: si tratta di «una città della Galilea, chiamata Nazaret» (1,26), un ambiente profano, ai confini con terre pagane. La Galilea è considerata «delle genti» (Is 8,23; Mt 4,14), cioè degli stranieri, poiché per la sua posizione geografica facilmente possono infiltrarsi elementi non ebrei entro il suo perimetro. Nazaret, poi, è una città completamente sconosciuta all’Antico Testamento. La domanda ironica di Natanaele – «Da Nazaret può venire qualcosa di buono?» (Gv 1,46) – non è senza fondamento.

Il punto focale è ora una casa semplice e una ragazza – Maria – che vi abita. È lo stesso angelo Gabriele che annuncia un messaggio simile al precedente: la nascita mirabile di un bambino. Mettendo a confronto Zaccaria e Maria, apparentemente sembra che tutto il peso della bilancia stia dalla parte del primo personaggio. Zaccaria, giusto, venerando, sacerdote, incontra il messaggero di Dio nel tempio, durante il culto. Uomo santo, luogo santo, tempo santo: tutto sottolinea la sacralità e la solennità dell’evento. Maria, invece, una ragazza sconosciuta, in un luogo profano, dentro la quotidianità domestica. Ma Dio capovolge le posizioni. Maria ha «trovato grazia presso Dio» (1,30): il dono divino giunge a lei gratuitamente dall’alto, non a causa della sua osservanza della legge o in risposta alla sua preghiera di domanda che parte dal basso (cf 1,13), come è nel caso di Zaccaria. Ormai la presenza di Dio non sarà più legata al tempio di Gerusalemme. Ogni angolo di questo mondo, per quanto sconosciuto e piccolo, può diventare la dimora dell’Altissimo. Cessa l’economia del tempio di pietra: ormai il cuore di ogni credente che accoglie la parola di Dio può ospitare Dio, può diventare santuario della presenza divina.

Infine, Luca si sofferma a marcare la conclusione dei due racconti. Zaccaria esce smarrito, incapace di comunicare, chiuso e isolato nel suo mutismo. Maria, invece, esce dalla sua casa trasformata lei stessa in tempio vivo, arca della nuova alleanza, trasparenza della presenza divina fra gli uomini. La cinepresa di Luca continua a seguirla nel suo mettersi in fretta in viaggio verso le montagna a visitare Elisabetta (1, 39-56) e poi a Betlemme (2,1- 20), a Gerusalemme (2,21-50) e di nuovo a Nazaret (2,50-52). Il cammino e le vicende di questa giovane donna tracciano l’inizio di un nuovo progetto d’amore di Dio verso l’umanità.

Approfondimento

Maria fa la sua prima comparsa nel Vangelo in un contesto di ferialità, in uno spazio accogliente, in un atteggiamento di ascolto, di silenzio, come un campo buono aperto e disposto all’arrivo del seme. Il brano ha il suo estremo iniziale nel v. 26 «l’angelo […] entrando da lei» e quello conclusivo nel v. 38: «E l’angelo si allontanò da lei». Maria è al centro: l’angelo entra «da lei» e si allontana «da lei». L’avvenimento sembra astrarsi da una localizzazione. Ormai è Maria il nuovo “luogo”, l’incontro tra Dio e l’umanità.

Il racconto centrale è articolato in tre interventi dell’angelo a cui corrispondono tre reazioni di Maria. Questa struttura richiama i formulari anticotestamentari tipici dei riti d’alleanza fra Dio e il suo popolo, che hanno in generale il seguente schema:

Il discorso del mediatore: (Mosè, un profeta, un sacerdote, un capo del popolo): annuncia la volontà di Dio e la sua proposta d’alleanza.

La risposta del popolo: la dichiarazione unanime dell’assenso (Al Sinai, per es. il popolo risponde: «Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo» Es 19,8).

Sulla falsariga di questo schema può essere compreso il racconto dell’annunciazione: il mediatore è l’angelo Gabriele, inviato da Dio. Maria, da creatura libera, sapiente e forte nella fede, dopo un breve dialogo, pronuncia il suo “fiat”. Non è più il popolo d’Israele, ma una persona individua, figlia di questo popolo, ad accogliere la nuova iniziativa di salvezza, la nuova ed eterna alleanza tra Dio e l’umanità.

  1. a) Il primo intervento dell’angelo e il «turbamento» di Maria

«Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te»: Nell’invito di gioire (cháre) si percepisce l’eco degli inviti profetici rivolti al popolo eletto: «Rallegrati, figlia di Sion, grida di gioia, Israele, esulta e acclama con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme» (Sof 3,14; cf Zc 9,9; Gl 2,21). Ora è Maria che deve gioire: è ricolma di grazia, pervasa d’amore di Dio. A queste parole Maria resta «molto turbata» e si domanda che cosa significhi questo saluto. L’irrompere del divino nell’umano provoca un impatto sconvolgente. La reazione di Maria è tipica di chi è consapevole di trovarsi di fronte a qualcosa che lo trascende infinitamente, ad una sorpresa insospettata di cui non riesce a cogliere immediatamente il senso.

  1. b) Il secondo intervento dell’angelo e la domanda di Maria

«Non temere, Maria». Con questa rassicurazione, spesso ricorrente nella Bibbia per introdurre una missione che Dio affida ad alcune persone, l’angelo prepara la rivelazione del grande mistero che il saluto lasciava presagire: Maria sarà la madre del messia atteso e annunciato nella storia d’Israele. La risposta di Maria non scatta in modo istantaneo ed irriflesso. Ella intuisce la missione suprema, ma non vede se stessa adeguata ad essere parte di questo progetto divino. «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?» (1,34): La domanda che pone non è sulla potenza di Dio. Maria chiede piuttosto un’illuminazione sul “come” possa lei adempiere la vocazione che Dio intende assegnarle. Ella implora luce per poter accogliere il mistero e obbedire alla volontà divina. È una domanda scaturita dal senso di stupore di fronte alla sproporzione tra la grandezza della proposta e la limitatezza effettiva della capacità di realizzazione. È l’atteggiamento dell’umile e del riflessivo, di chi, cioè, è cosciente della propria piccolezza e si avvicina al mistero con timidezza e discrezione, attento a penetrarne il senso.

  1. c) Il terzo intervento dell’angelo e il «fiat» di Maria

«Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra […] nulla è impossibile a Dio» (1,35-37). Quando l’angelo le assicura che chi è all’opera è lo Spirito Santo a Maria basta, e pronuncia il suo fiat. La parola dell’angelo rievoca la scena della trasporto dell’arca nel tempio costruito da Salomone. Dopo la preghiera una nube copre tutto l’edificio e la gloria di Dio riempie il tempio, segno che Dio si compiace di prendere dimora in quel luogo, diventato santo per la sua presenza (1Re 8,9-11). Ora Maria è “adombrata” dalla potenza divina, resa nuova arca dell’alleanza, nuovo tempio del Signore, luogo dove Dio dimora tra gli uomini.

Maria accetta con piena disponibilità l’opera di Dio in lei, passando così dal quomodo fiet, “come avverrà”, al fiat, “avvenga”, da un segno interrogativo (?) ad un segno esclamativo (!). Ella varca misteriosamente la soglia, che la porta dall’esistere per se stessa e per i propri piccoli piani di vita all’esistere per Dio e per i suoi grandi disegni. Il fiat di Maria, come quello che Gesù insegnerà nel Padre nostro (Mt 6,10), è un abbandono fiducioso e un desiderio gioioso di realizzare la volontà di Dio. Con il suo fiat ella ricapitola tutta la schiera degli obbedienti nella fede nell’Antico Testamento e inaugura il nuovo popolo, pronto ad ascoltare la voce di Dio che ora parla per mezzo del suo Figlio.

Dal Testo alla vita

  1. a) “L’angelo entrò da lei” (1,28) Dio raggiunge la sua creatura a casa propria, nel suo habitat, nello spazio dove è più autentica, più vera, dove si sente a proprio agio, libera dalle diplomazie, dallo stato di allerta, di difesa, di tensione, di sospetto, d’imbarazzo, a cui spesso è costretta fuori casa. E Maria “si trova a casa” quando Dio entra. Ella viene salutata quale «piena di grazia», perché Dio, entrando in una casa, la riempie di sé, la dilata, l’abbellisce; incontrando una persona sincera, umile, raccolta in sè e allo stesso tempo aperta ed accogliente, Egli si fa ospite, prende dimora, rimane. Agostino ha un bel commento su questa realtà misteriosa dell’inabitazione di Dio nella “casa” umana. Egli si domanda: «Che cosa fa lo Spirito di Dio in noi? Ci distrugge, ci umilia, ci aliena? Oppure ci esalta, ci dilata, ci libera dalle nostre piccolezze? […] Se tu dovessi ricevere in casa tua qualche ragguardevole, ti troveresti allo stretto: non trovi più dove stare tu, dove mettergli il letto, dove mettere i tuoi figli, la tua famiglia […]. Ti domandi: “che cosa faccio, dove vado, dove debbo traslocare?». Egli continua a spiegare come questi problemi non esistano quando si accoglie Dio a casa propria: «Ricevi il ricco Spirito di Dio: sarai dilatato, non messo nell’angustia. Dirai al tuo Ospite: “Quando tu non c’eri, io mi trovavo allo stretto, ero nelle angustie. Hai riempito la mia casa e non hai messo fuori me, ma hai soltanto messo fuori la mia piccolezza, le mie angustie». Maria ha accolto Dio in casa propria e si è lasciata dilatare. Nella tradizione iconografica Maria è spesso raffigurata come la platytera (dal greco più ampia), la “più ampia dei cieli”. Colui che i cieli non possono contenere prende dimora nel suo grembo. Trasformata in dimora viva di Dio dalla potenza dello Spirito, è immagine di tutti i cristiani, i quali, in Gesù Cristo, sono «edificati per diventare dimora di Dio per mezzo dello Spirito» (Ef 2,22).
  2. b) “Nulla è impossibile a Dio” (1,37) Questa parola è stata detta ad Abramo e a Sara all’inizio della storia del popolo eletto (cf Gn 18,14); ora è rivolta a Maria. La fede di Maria si connette a quella del padre e della madre d’Israele, sostiene tutta la sua vita e si prolunga nella storia della Chiesa, di cui lei è modello e immagine perfetta. Nel sogno dei nove anni, Giovanni Bosco, di fronte alla proposta di guadagnare i suoi amici non con le percosse, ma con la mansuetudine e con la carità, rimane confuso e chiede al personaggio venerando: «Chi siete voi che mi comandate cosa impossibile?». Egli riceve per risposta: «Appunto perché tali cose ti sembrano impossibili, devi renderle possibili con l’ubbidienza e con l’acquisto della scienza». Il personaggio soggiunge: «Io ti darò la maestra, sotto la cui disciplina puoi diventare sapiente». La maestra sapiente è Maria, esperta nell’affrontare l’impossibile, specialista nella «peregrinazione della fede» (Lumen Gentium 58). È diventata Madre di Dio perché ha «creduto nell’adempimento delle parole del Signore» (Lc 1,45): questa è l’interpretazione del fiat di Maria fatta da Elisabetta, sotto l’ispirazione dello Spirito Santo. A lei fa eco Agostino quando dice: «Maria, piena di fede, concepì Cristo prima nel cuore che nel grembo». Alla pienezza di grazia da parte di Dio corrisponde la pienezza di fede da parte di Maria. Abbandonata a Dio completamente, Maria si è sintonizzata lentamente e profondamente con Dio fino ad arrivare a una forte intesa con lui, ad avere un’intuizione del pensiero di Dio, a saper discernere spontaneamente la sua volontà, a sentir palpitare dentro di sé il cuore di Dio. La vediamo così a Cana. Le sue due parole – «Non hanno più vino» (Gv 2,3) e «Fate quello che vi dirà» (Gv 2,5) – mettono in risalto questa dimensione. Maria legge in profondità la storia umana, ne individua i problemi ancora nascosti, raccoglie i gemiti non ancora verbalizzati, scorge la sofferenza ancora senza nome. Ella scopre il nodo essenziale del guazzabuglio e lo presenta al suo Figlio con fiducia e con profonda conoscenza del suo amore misericordioso e tenero. E intanto prepara i servi all’accoglienza dell’aiuto divino con un’indicazione sicura. Il «Fate quello che egli vi dirà» non è un invito teorico, astratto, ma è un’esortazione maturata dall’esperienza personale. La parola va nel cuore e nella vita dell’interlocutore solo se è scaturita dal cuore e dalla vita di chi parla. Maria, esperta nel fidarsi della parola di Dio, ora può aiutare altri a fare altrettanto. La sua fede è contagiosa: il fiat vissuto in profondità da lei diventa facite convincente rivolto ad altri.

Per pregare e condividere

- La dinamica interiore di Maria nel suo incontro con il messaggero divino è paradigmatica per ogni cammino vocazionale e spirituale: lo stupore nell’impatto con il mistero, il riconoscere la propria piccolezza e indegnità, la gratitudine di fronte alla gratuità di Dio. È un itinerario che passa dallo sconcerto alla domanda e al discernimento, per sfociare nella fede gioiosa. È un cammino che va dall’adesione docile del fiat all’esplosione gioiosa del Magnificat; in seguito questo fiat le darà autorità per pronunciare il facite e la sosterrà nello “stare sotto la croce in silenzio” allargando il cuore materno per accogliere tutta l’umanità. Il mio/nostro cammino spirituale assomiglia a quello di Maria?

- Al racconto dell’annunciazione segue immediatamente quello della visitazione. Visitata da Dio, Maria si rende visita di Dio per gli altri. Ricolma dello Spirito, intraprende con sollecitudine il viaggio disagiato per portare gioia e aiuto. Ambrogio scrive: «La grazia dello Spirito non ha indugi». Ormai il registro della sua vita, la forza movente di ogni sua azione è «la potenza dell’Altissimo» che l’avvolge. Sarà così anche per Gesù e per i suoi discepoli. Dopo l’effusione dello Spirito nel battesimo, Gesù viene condotto dallo Spirito nel deserto e poi, sempre mosso dallo Spirito, egli inizia la sua missione pubblica in Galilea; a partire dalla Pentecoste gli apostoli, sotto la guida dello stesso Spirito, iniziano la missione da Gerusalemme fino agli estremi confini del mondo. Lo Spirito spinge anche ciascuno/a di noi.

- Nel sogno del nove anni Gesù si autopresenta a Giovanni Bosco come «il figlio di colei, che tua madre ti insegnò di salutare tre volte al giorno». Lungo la storia della Chiesa fino ad oggi, tre volte al giorno nella preghiera dell’Angelus, preghiera popolare dei semplici, ricordiamo il mistero dell’incarnazione e il suo annuncio a Maria. Siamo consapevoli della carica di significato e di santità nascosta in questa preghiera?