Nelle dinamiche culturali, di cui siamo partecipi, tra secolarizzazione e ritorno del sacro, tra omogeneizzazione culturale e pluralità delle sub-culture, tre dimensioni sembrano essere “escluse”: la felicità, la reciprocità e la fraternità.

La povertà di legami sociali profondi, di amicizie durature, di rapporti che abbiano un senso sta diventando la principale povertà della società a livello mondiale.

Lo stile relazionale vissuto nel carisma salesiano dà vita ad una esistenza comunitaria aperta in cui si attua un coinvolgimento solidale nella vita di altri e porta ciascuno ad affermare: “la vita comune nelle sue diverse forme, oltre il mio essere individuale, mi sta a cuore e mi faccio carico delle sue esigenze e del suo valore” (R. Mancini 2008).

Carlo Nanni annota che in una società tradizionalista come era quella di don Bosco, a prevalente struttura rurale, artigianale o agricola, l’adulto si modellava in modo indiscusso sulla figura paterna, e gli stili educativi si rapportavano ai modelli di comportamento della famiglia patriarcale e gerarchizzata, sensibili ai valori della condivisione, della sottomissione e dell’obbedienza, più che a quelli dello spirito di iniziativa, della partecipazione democratica, della creatività personale. Tuttavia, don Bosco dà inizio ad uno stile di vita e di relazioni di «reciproco arricchimento» (P. Braido 2003). Tale modalità di rapporto si può dire che è frutto dell’amorevolezza a cui vengono orientati tutti coloro che fanno parte di quella grande famiglia educativa.

Alcuni studiosi contemporanei indicano nell’esistenza comunitaria aperta la corrente più adeguata per l’umanizzazione di persone, di comunità per formare e rigenerare il tessuto sociale. Il nucleo propulsivo di questo modo duttile e multiforme di stare nel mondo è la reciprocità, quella libera condivisione di sé in cui le persone in relazione sono presenti con l’intera loro realtà e il comunicare qualcosa di sé non è determinato dalla formalità, ma dalla creatività, dall’autenticità.

La reciprocità è simile alla tessitura, quell’intreccio per cui l’essere di ciascuno si modifica, si affina, si trasfigura, apprende nuove modalità e assume nuove forme.

Nella reciprocità brilla la scintilla della gratuità intesa come generosità, passione del donarsi e del donare. «Un donare che si attua sì nello spirito disinteressato del per nulla in cambio, ma non per nulla. In questo disinteresse vive infatti una passione profonda che non è affatto per nulla, perché invece è per l’altro, cioè per amore, per il desiderio tipico del voler bene e del volere il bene» (Mancini 2008). La reciprocità vera non è neutra, non è indifferente al bene: è radicata in esso.

Per i cristiani il bene si identifica con Dio amore. A ciascuno egli chiede di agire secondo il duplice comandamento dell’amore di Dio e del prossimo che si realizza nella ricerca del bene comune e domanda di proteggere il debole, di ridistribuire le ricchezze e le risorse per evitare disagio e povertà; di assicurare quelle condizioni della vita sociale che permettono a gruppi, come ai singoli, di raggiungere più speditamente il proprio sviluppo integrale (G. Gestori 2008).

Sì, giovani e adulti insieme, girasoli e aquiloni, perché la vita quotidiana ritrovi senso, felicità e fraternità.