Ecco il passaggio preciso: “Fratelli e sorelle, che il Sinodo risvegli i nostri cuori! Il presente, anche quello della Chiesa, appare carico di fatiche, di problemi, di pesi. Ma la fede ci dice che esso è anche il kairos in cui il Signore ci viene incontro per amarci e chiamarci alla pienezza della vita. Il futuro non è una minaccia da temere, ma è il tempo che il Signore ci promette perché possiamo fare esperienza della comunione con Lui, con i fratelli e con tutta la creazione. Abbiamo bisogno di ritrovare le ragioni della nostra speranza e soprattutto di trasmetterle ai giovani, che di speranza sono assetati; come ben affermava il Concilio Vaticano II: “Legittimamente si può pensare che il futuro dell’umanità sia riposto nelle mani di coloro che sono capaci di trasmettere alle generazioni di domani ragioni di vita e di speranza” (Gaudium et spes, 31). Non c’è nessun momento nella storia in sé troppo negativo da non poter essere affrontato con la forza e la tenerezza della fede. Nemmeno quello che stiamo vivendo, seppur carico di novità, complessità e grande cambiamento. Mi sono chiesto in questi ultimi mesi se nell’insieme ecclesiale siamo in grado di trasmettere ai giovani ragioni di vita e di speranza. La vita, d’altra parte, è destata solo dalla vita, e la speranza è un qualcosa che si trasmette solo per contagio. Se abbiamo vita e speranza lo possiamo però vedere attraverso dei segni. È quello più importante, a mio parere, è la laboriosità. Avere vita e speranza non ci fa stare con le mani in mano, ma ci mette decisamente in movimento. La regola che ci ha trasmesso san Paolo – «Chi non vuol lavorare neppure mangi» (2Ts 3,10) – vale anche per noi oggi! Vale per coloro che camminano quotidianamente con i giovani. C’è una buona laboriosità da risvegliare: spirituale, culturale, educativa e pastorale. Senza questa tensione pratica il Sinodo non decollerà nei nostri ambienti. Rimbocchiamoci le maniche! Non basta pensare per i giovani, non basta nemmeno pregare per e con loro. Bisogna mettersi in movimento, aprire cantieri per loro e con loro. Di don Bosco si racconta che alla domanda di come avrebbero dovuto vestirsi i suoi figli spirituali, la risposta fu chiara: “In maniche di camicia”! Gente che lavora per i giovani, non semplicemente che parla dei giovani! I giovani ci chiedono questo: prossimità, creatività e concretezza! Se il nostro cuore si è risvegliato, di certo la nostra intelligenza si è rimessa in moto e quindi anche le nostre mani devono agire con decisione. Vorrei a questo proposito nominare alcuni cantieri di rinnovamento cha a mio parere si sono aperti dal Sinodo e che meriterebbero quindi di essere presi sul serio. Li chiamo “nuclei tematici generativi” e li raccolgo in alcune “costellazioni di senso”. Sono gli argomenti e le questioni che al Sinodo hanno dato corpo al dialogo, al confronto, alle proposte. Certamente c’è dell’altro, ma mi pare che in questi quindici punti distinti in cinque costellazioni ci sono le cose che maggiormente ci possono aiutare ad avere uno sguardo d’insieme abbastanza completo. Tutto si richiama vicendevolmente ed è legato in varia maniera. Ognuno di questi punti meriterebbe di essere ampiamente sviluppato. Questi sono solo accenni puntuali con dei riferimenti per poter entrare nei cardini sinodali con una certa attenzione alle sfide che sono emerse. Le indicazioni offerte partono dall’Instrumentum laboris (IL) e dal Documento finale (DF), che rimangono testi sinodali per noi fondamentali.

  1. La costellazione dell’“apertura all’ascolto”

La prima costellazione gira intorno all’ascolto. Ovvero ha a che fare con la nostra capacità di aprirci interiormente e spiritualmente per comprendere la situazione dell’altro, che nel caso del Sinodo era l’altro giovane. Di mettersi davvero dalla parte dell’altro, di entrare nel suo modo di vedere il mondo e vivere in esso.

L’ascolto empatico dei giovani. Il dibattito sinodale, fin dall’inizio, ha preso coscienza che il percorso di preparazione ha denunciato una Chiesa “in debito di ascolto”. Lo affermava papa Francesco già nel suo discorso iniziale al Sinodo: “Il cammino di preparazione a questo momento ha evidenziato una Chiesa “in debito di ascolto” anche nei confronti dei giovani, che spesso dalla Chiesa si sentono non compresi nella loro originalità e quindi non accolti per quello che sono veramente, e talvolta persino respinti”. La questione dell’ascolto è più radicale di quanto si possa pensare: viene da lontano, cioè da un’incapacità di dare ascolto a Dio e al suo Spirito che continuamente parlano e agiscono nella storia. È frutto di quella “superficialità spirituale” e di quella “voragine spirituale” di una Chiesa che parla troppo: abbastanza arrogante per poter imparare qualcosa da qualcuno; assai superba nel pensarsi unica depositaria della verità. Molti passaggi dell’IL e del DF finale fanno riferimento all’ascolto: basta dare un occhio al quinto capitolo della prima parte dell’IL (64-72) e al primo capitolo della prima parte del DF (6-9) per rendersene conto. L’ascolto «è la forma in cui Dio stesso si rapporta al suo popolo» (DF 6) e ha quindi una valenza teologica, prima che pedagogica e pastorale! Molti interventi hanno ribadito che siamo chiamati a riguadagnare, attraverso l’ascolto, quella capacità empatica in grado di abbandonare il proprio punto di vista per entrare letteralmente nel punto di vista dell’altro, vedendo e sentendo le cose a partire dal cuore dell’altro.

Prendere coscienza delle sfide antropologiche e culturali. Insuperato resta il quarto capitolo dell’IL (51-63) nel descrivere le sei sfide antropologiche e culturali che siamo chiamati ad affrontare nel nostro tempo: corpo, affettività e sessualità; nuovi paradigmi conoscitivi e ricerca della verità; gli effetti antropologici del mondo digitale; la delusione istituzionale e le nuove forme di partecipazione; la paralisi decisionale nella sovrabbondanza delle proposte; oltre la secolarizzazione. Nel DF tutte queste sfide vengono riprese e affrontate in diversi momenti in maniera non sistematica, ma abbastanza sparsa e spalmata. Si ritrovano tutte le sei sfide, con diverse sottolineature e approfondimenti. Emergono in maniera particolare i numeri dedicati alla “rivoluzione digitale” in atto, che segna davvero un momento di cambio epocale (cfr. DF 21-23.145-146) e quelli legati alla sessualità (cfr. DF 37-39.149-150): due ambiti davvero strategici e di grande attualità. Tutti e sei ci inseriscono nel “cambio d’epoca” che viviamo. Per noi è chiaro che si tratta delle condizioni reali di esercizio della missione ecclesiale oggi: queste sfide vanno approfondite in ogni nostro contesto. Chi si occupa dei giovani è chiamato a tematizzarle e ad averle ben chiare. Ci vogliono convegni, studio, approfondimento per non restare fuori dal tempo e dalla storia!

L’attenzione privilegiata ai giovani poveri e abbandonati. Sia in fase di ascolto (cfr. IL 41-50: Nella cultura dello scarto; IL 166-171: Vicinanza e sostegno nel disagio e nell’emarginazione) che nella fase dell’Assemblea sinodale è stata messa in primo piano l’esigenza di dare di più a chi ha avuto di meno. È una sottolineatura molto nostra, che ci ha fatto molto piacere. Basta andare a vedere alcuni numeri del DF per rendersene conto: i migranti (25-28 e 147), gli abusi (29-31), le varie forme di vulnerabilità (40-44), i giovani feriti (67). In che modo questa attenzione trova spazio nelle proposte e nelle iniziative pastorali delle nostre realtà? In che modo possiamo meglio concentrarci su questi “destinatari naturali” di una Chiesa che davvero si prende cura delle povertà del nostro tempo? In che modo oggi siamo “segni e portatori dell’amore di Dio” a questi giovani più poveri? Pensiamo solo ai giovani migranti, o ai minori non accompagnati.

  1. La costellazione della “comunità in discernimento”

Una seconda costellazione di senso fa perno sulla comunità cristiana e sulle sue dinamiche. Soprattutto nel nostro contesto sembra quasi che, a livello di immaginario ecclesiale, la comunità e il vivere insieme sia passato in second’ordine. I giovani ci hanno detto al Sinodo che la comunione e la fraternità rimangono la radice ultima e il primo frutto dell’evangelizzazione. Riappropriarsi di un rinnovato dinamismo giovanile. Il primo capitolo della seconda parte sia dell’IL (74-84) che del DF (63-76) affrontano la questione della singolarità della giovinezza come età della vita: in particolare l’IL da punto di vista biblico – molto ripreso in fase di discussione sinodale – e il DF dal punto di vista cristologico, antropologico e pedagogico. Questi due capitoli, letti insieme, ci aiutano a scoprire che il Sinodo è davvero un appello rivolto alla Chiesa perché riscopra al suo interno e nella sua azione un rinnovato dinamismo giovanile e la sua stessa giovinezza! Anche questo è davvero un “nucleo tematico generativo” di grande interesse, soprattutto in Europa dove ultimamente siamo assai depressi dal punto di vista sociale, ecclesiale e pastorale! Tanto umiliati ma poco umili! Non dimentichiamoci che i santi che hanno lavorato con i giovani hanno modellato il proprio stile proprio partendo da qui. Per esempio don Bosco in tante occasioni afferma che il suo modo di agire in mezzo ai giovani era caratterizzato da un vero e proprio “dinamismo giovanile”. Cioè don Bosco ha imparato dai dinamismi della giovinezza lo stile per accompagnare i giovani!

Il rapporto tra il livello comunitario e quello personale. Accompagnamento e discernimento sono gli approfondimenti del terzo e del quarto capitolo della seconda parte del DF (91-113), che trovano nuova luce rispetto all’IL (106-136), perché al centro è stata posta la Chiesa come casa dell’accompagnamento e ambiente del discernimento. È infatti interessante notare il doppio spostamento nell’ordine esterno e interno di questi due capitoli rispetto all’IL: in quest’ultimo si parlava prima di discernimento e poi di accompagnamento, mentre nel DF diviene chiaro che si accompagna per discernere, e che quindi l’obiettivo dell’accompagnamento è il discernimento; poi ancora nell’IL era proposta una lettura prima personale e poi comunitaria sia dell’accompagnamento che del discernimento, mentre l’Assemblea sinodale ha rovesciato la prospettiva, inserendo il personale nell’ambito comunitario. L’esito del confronto sinodale ha proposto con chiarezza tre cerchi concentrici uno dentro l’altro: prima l’accompagnamento di ambiente, poi di gruppo e infine personale. È importante recuperare questo ordine nei nostri ambienti, mantenendo la presenza di questi tre livelli di animazione.

Creare ambienti adeguati al discernimento. Il cammino sinodale è partito dall’idea che bisogna accompagnare i giovani nel loro cammino di discernimento vocazionale ed è arrivato pian piano a prendere coscienza che la Chiesa stessa ha bisogno di entrare nel ritmo del discernimento vocazionale per comprendere nell’oggi la sua missione nella storia. Questo significa che la Chiesa stessa è chiamata ad assumere l’habitus del discernimento nel suo modo di pensare, progettare e realizzare la sua missione. Si possono vedere a questo proposito i nn. 1-2,4,73,137-139 dell’IL. Come pure i nn. 62,104-105,110-113 del DF. Mi permetto di citare per intero il DF 124, che è molto specifico su questo, perché tocca l’esercizio dell’autorità come servizio al discernimento comunitario: l’esperienza di “camminare insieme” come Popolo di Dio aiuta a comprendere sempre meglio il senso dell’autorità in ottica di servizio. Ai pastori è richiesta la capacità di far crescere la collaborazione nella testimonianza e nella missione, e di accompagnare processi di discernimento comunitario per interpretare i segni dei tempi alla luce della fede e sotto la guida dello Spirito, con il contributo di tutti i membri della comunità, a partire da chi si trova ai margini. Responsabili ecclesiali con queste capacità hanno bisogno di una formazione specifica alla sinodalità. Pare promettente da questo punto di vista strutturare percorsi formativi comuni tra giovani laici, giovani religiosi e seminaristi, in particolare per quanto riguarda tematiche come l’esercizio dell’autorità o il lavoro in équipe.

  1. La costellazione delle “pratiche pastorali”

Durante l’Assemblea sinodale ci si è chiesti in varie occasioni: “che cosa fare?”. E anche tante cose si sono dette circa la creatività da avere per rinnovare stili, metodi e pratiche. Certamente oggi, in un vero cambiamento d’epoca, non è possibile pensare che la pastorale della “ripetizione” sia ancora in grado di intercettare le giovani generazioni. Accenno qui a tre punti che mi paiono centrali.

La qualificazione vocazionale della pastorale giovanile. Il Sinodo nel suo insieme ha avuto questo come fuoco specifico e quindi come emergenza da affrontare: passare da una pastorale giovanile dell’intrattenimento ad una pastorale giovanile in chiave vocazionale. È una prospettiva che ci inserisce in un cambio epocale! Ci vorrà tempo, pazienza, e coraggio per entrarci! I riferimenti sono molteplici: al centro ci sta il secondo capitolo della seconda parte sia dell’IL (85-105) che del DF (77-90). Ci sono troppi riferimenti e non è possibile fare un lavoro di sintesi in breve, perché l’argomento è strategico e fondamentale, sia dal punto di vista teorico che pratico: pensare la vocazione come l’espressione personalizzante della vita di fede di ogni battezzato mette in moto tutta una serie di conseguenze di lungo termine che ci porterebbero molto avanti. Basterebbe questo tema per una settimana di studio! In maniera specifica si potrebbe partire dal n. 139 (L’animazione vocazionale della pastorale) e dal 140 (Una pastorale vocazionale per i giovani) del DF, per poi raccogliere i tanti elementi che escono da entrambi i testi. Questo, propriamente, mi sembra essere il “nucleo tematico generativo” fondamentale messo in moto da tutto il movimento sinodale di questi ultimi tre anni.

Riabilitare con convinzione la liturgia. Il cammino sinodale è partito da una mancata tematizzazione del tema ad una sua forte riabilitazione. D’altra parte la liturgia è la prima forma di espressione ecclesiale! Non solo interna alla Chiesa, ma anche come modo di “presentazione” visibile per tutti. La questione non era presente in fase “istruttoria” (cioè nel Documento preparatorio). Nella fase di ascolto i giovani è ritornato spesso il tema della liturgia (cfr. IL 69). Oltre ad altri numeri dell’IL in cui si accenna alla liturgia (72, 178, 184, 192), emergono i numeri dedicati appositamente al tema (187-189). Qui sono dette cose importanti.
Il n. 51 del DF – intitolato Il desiderio di una liturgia viva – è dedicato interamente al tema liturgico. Anche nel DF, così come nell’IL, vi sono poi tre numeri consacrati direttamente e appositamente alla liturgia (134-136). Non dimentichiamoci quindi che «l’esperienza liturgica è la risorsa principale per l’identità cristiana» (DF 51) e che la liturgia per la pastorale giovanile è una risorsa insostituibile. Perché ci fa assaporare il valore del silenzio, della contemplazione, della gratuità e della preghiera. Dice il primato della grazia nella nostra vita. Non è poco!

Rinnovare l’idea e la pratica dell’oratorio a partire dal “criterio oratoriano” L’oratorio e il criterio oratoriano sono davvero una dinamica importante, perché l’oratorio e il centro giovanile sono il segno della sollecitudine della comunità cristiana per i giovani. È evidente che per noi dire oratorio significa trasformare la Chiesa in una casa per i giovani, secondo la bella affermazione del DF 138. Solo una pastorale capace di rinnovarsi a partire dalla cura delle relazioni e dalla qualità della comunità cristiana sarà significativa e attraente per i giovani. La Chiesa potrà così presentarsi a loro come una casa che accoglie, caratterizzata da un clima di famiglia fatto di fiducia e confidenza. L’anelito alla fraternità, tante volte emerso dall’ascolto sinodale dei giovani, chiede alla Chiesa di essere «madre per tutti e casa per molti» (Francesco, Evangelii gaudium, n. 287): la pastorale ha il compito di realizzare nella storia la maternità universale della Chiesa attraverso gesti concreti e profetici di accoglienza gioiosa e quotidiana che ne fanno una casa per i giovani. In questo senso, dopo aver chiarito quello che noi in gergo salesiano chiamiamo il “criterio oratoriano” (caratterizzato da quattro pilastri: casa che accoglie, parrocchia che evangelizza, scuola che avvia alla vita e cortile per incontrarsi tra amici) si parla anche dell’oratorio e del centro giovanile come luogo pastorale specifico. Lo si era fatto di sfuggita nell’IL al n. 180 e lo si fa al n. 143 del DF, chiedendo di “dinamizzare” i centri giovanili facendoli diventare strumenti privilegiati per una Chiesa in uscita. Come fare? Come pensiamo la fisionomia dell’oratorio del III millennio?

  1. La costellazione dell’“organizzazione pastorale”

Se davvero siamo comunità che vive la profezia di fraternità, questo non può che visibilizzarsi nella missione e nel modo di organizzarla e realizzarla. È una sua intrinseca conseguenza. La “sinodalità” (ovvero il nostro camminare insieme) non può che essere “missionaria”, ovvero in uscita: nel modo di essere e nel modo di fare.

La profezia di fraternità nell’organizzazione pastorale. La grande chiave di lettura offerta per il rinnovamento ecclesiale è stata quella della “sinodalità missionaria” (cfr. DF 115-127). Tale prospettiva è stata la risposta alla domanda sulla forma della Chiesa espressa nel primo capitolo della terza parte dell’IL (138-143). I giovani, con la loro presenza e la loro parola, hanno riaperto il Dossier della sinodalità nella Chiesa del terzo millennio: il n. 118 del DF è il centro prospettico per leggere tutto il Documento nel suo insieme e per comprendere il cammino che ci aspetta nel III millennio. Concretamente questo ci interpella nel modo in cui lavoriamo insieme nell’animazione della pastorale giovanile: il n. 209 dell’IL ci invitava ad andare Verso una pastorale integrata e il n. 141 del DF ci chiede di passare Dalla frammentazione all’integrazione. Nelle Diocesi, e perfino in alcune Conferenze Episcopali, queste questioni sono di una attualità drammatica. Perché la specializzazione e l’atomizzazione delle pastorali rischia di distruggere l’unità pastorale della Chiesa. Il passaggio deciso da un lavoro “per uffici” a un lavoro “per progetti” è stata auspicata da molti al Sinodo. Sappiamo che tendenzialmente l’ufficio separa e il progetto crea invece unità. Sono le grandi sfide da raccogliere per una vera e propria “conversione istituzionale” (cfr. IL 198).

Una progettazione corresponsabile e virtuosa. Il tema della progettazione pastorale non è uscito in maniera molto forte nell’Assemblea sinodale. Era molto più presente nella fase dell’ascolto delle diverse Conferenze Episcopali. L’IL ai numeri 206-208 poneva la doppia questione, fortemente sottolineata, dell’improvvisazione e dell’incompetenza pastorale da una parte, e dall’altra del rapporto non sempre facile tra eventi straordinari e vita quotidiana. Le questioni erano poste in forma molto chiara e precisa. Nel DF è stato solo affrontato il secondo tema al n. 142. Sta di fatto che il primo, a livello di Chiesa, rimane drammatico: l’incompetenza progettuale, segno dell’incapacità di fare squadra, è alla base di tanti fallimenti nella pastorale giovanile. Non siamo sempre in grado di creare un clima collaborativo e corresponsabile, e lo sostituiamo volentieri con un verticismo oramai inaccettabile dalle giovani generazioni (cfr. il “clericalismo” di cui si parla nell’IL 199, numero dedicato al “protagonismo giovanile”), che crea un clima di allontanamento e di scoraggiamento. Che i giovani in un sistema verticistico e piramidale di Chiesa non ci stiano più è emerso con grande chiarezza al Sinodo!

La necessità di lavorare in rete. La questione della “sinodalità missionaria” è centrale e crea due movimenti ben precisi: uno centripeto – cioè verso l’interno, negli ambienti ecclesiali e nella collaborazione tra noi – e uno centrifugo – che va invece verso l’esterno, capace di coinvolgere e creare collaborazione con tutti coloro che hanno a cuore i giovani. Due movimenti entrambi necessari e mai riducibili all’altro. Molte volte ci accorgiamo – con grande tristezza e vergogna – che è più facile lavorare con soggetti terzi (civili e sociali) che tra di noi (vari livelli di Chiesa, diversi uffici e vari incaricati). Effettivamente la necessità di lavorare in rete ha bisogno di virtù relazionali forti e di capacità di coinvolgimento ampia e articolata. I numeri 204-205 dell’IL ponevano con lucidità la questione. Il Sinodo ha preso coscienza poi che la Chiesa vive in un territorio con cui deve entrare in dialogo per un vero e proprio scambio di doni (DF 132) e che la preparazione di nuovi formatori deve prevedere una specifica competenza nel lavorare in rete (DF 159) e in équipe in tutti i campi (DF 103.124.163).

  1. La costellazione della “formazione per la missione”

Un’ultima costellazione, decisamente importante anch’essa, riguarda la questione della formazione, che io lego direttamente a quella della missione e anche alla necessità della conversione. Penso infatti che il legame intrinseco tra conversione, formazione e missione sia da recuperare in tutta la sua forza e pienezza.

Il legame strategico tra servizio generoso e discernimento vocazionale. In tutto il cammino sinodale è cresciuta sempre di più la consapevolezza del legame davvero strategico tra esperienze di servizio generoso e il discernimento vocazionale, cioè tra missione e vocazione. Questo è emerso fin dall’inizio ed è un pensiero che si è via via sempre più rafforzato. L’IL 194-195 raccoglie in sintesi molte esperienze presentate da tante Conferenze Episcopali. Se pensiamo solo alle tante esperienze di servizio e volontariato che offriamo, forse dobbiamo domandarci se siano poi riprese in sede di discernimento vocazionale. Forse qui sta uno dei nostri difetti legati all’attivismo pastorale: facciamo fare tante esperienze ma siamo frettolosi nell’accompagnarle e riprenderle in ottica vocazionale, ovvero di conversione e formazione. In questo modo non facciamo altro che alimentare in tanti giovani il “collezionismo di esperienze” tipico del nostro tempo. I giovani ci hanno chiesto invece di accompagnarli non solo nell’esperienza, ma anche e soprattutto nel discernimento, che ha bisogno di tempi adeguati, spazi adatti e clima favorevole per riprendere l’esperienza fatta dal punto di vista spirituale e vocazionale. Il tema della diakonia (DF 137) è davvero generativo per la Chiesa e per i giovani, ma va meglio articolato e come “nucleo tematico” da approfondire nelle sue radici e nelle sue conseguenze per la pastorale.

Il riscatto degli adulti e la qualificazione degli accompagnatori. Nell’ambito formativo emerge tutto il tema della qualità degli adulti, della formazione degli accompagnatori, che ha trovato nel cammino sinodale una molteplicità di denunce, espressioni e proposte. Che gli adulti siano troppe volte adultescenti e adulterati è sotto gli occhi di tutti. Che il nostro mondo canonizzi l’adolescenza e la giovinezza, dimenticando fatalmente che bisogna tendere alla maturità e alla pienezza della vita adulta, anche. Eppure i giovani ci hanno detto in molti modi di essere davvero una “generazione Telemaco”, ovvero disponibili e desiderosi di poter entrare in positiva alleanza con un mondo di autentici adulti, di cui sentono molto la mancanza da tutti i punti di vista. I riferimenti anche qui sono molti. Bastino alcuni accenni al profilo e alla formazione degli accompagnatori emersi in fase di ascolto (IL 130-132: Le qualità di coloro che accompagnano) e sostanzialmente confermati nel DF 101-103 (Accompagnatori di qualità). Tutto poi rimanda al capitolo conclusivo della terza parte (DF 157-164: Formazione integrale).

Formare i giovani formandosi con loro. Per la pastorale giovanile forse le provocazioni più grosse del Sinodo riguardano l’accompagnamento dei giovani verso una Chiesa caratterizzata da una “sinodalità missionaria” in cui tutti sono chiamati ad essere soggetti e responsabili della missione. Missione sempre affidata alla Chiesa nel suo insieme e mai ad alcuni dei suoi membri in forma esclusiva ed escludente. Tutto questo è originato dalla potente intuizione dell’introduzione e del primo capitolo della terza parte (DF 115-127). Tali premesse esigono poi una formazione specifica alla missione e alla vita adulta. In questo senso per noi è importante prendere spunto dai numeri 160 e 161 del DF per discernere che cosa siamo chiamati a proporre in vista della formazione dei giovani alla missione. Il n. 160 invita ad istituire «centri di formazione per l’evangelizzazione destinati ai giovani» e il n. 161 chiede una vera e propria mobilitazione ecclesiale capace di offrire ai giovani che lo desiderano un tempo destinato alla maturazione della vita cristiana adulta, che dovrebbe prevedere un distacco prolungato dagli ambienti e dalle relazioni abituali, ed essere costruita intorno ad almeno tre cardini indispensabili: un’esperienza di vita fraterna condivisa con educatori adulti che sia essenziale, sobria e rispettosa della casa comune; una proposta apostolica forte e significativa da vivere insieme; un’offerta di spiritualità radicata nella preghiera e nella vita sacramentale. In questo modo vi sono tutti gli ingredienti necessari perché la Chiesa possa offrire ai giovani che lo vorranno una profonda esperienza di discernimento vocazionale. Qui vengono messe in gioco le nostre comunità educativo-pastorali nella loro capacità di recuperare una prossimità reale con le giovani generazioni. Qui siamo chiamati ad essere creativi e innovativi, coinvolgendo adulti, comunità, laici e giovani in un progetto di formazione comune. Si tratta di un’utopia o di una profezia? In che modo possiamo far partire qualche “esperienza pilota”? O sostenere e rafforzare quelle esperienze che vanno già in questa direzione?