Questo bacio tenerissimo svela il segreto del cuore di quest’uomo, padre di due figli così diversi da fare così tanta fatica a essere fratelli. Resistiamo alla tentazione di soffermarci sulle ragioni dell’uno e dell'altro... rischieremmo di tradire il senso proprio della parabola al cui centro non sta il modo di essere figli e fratelli, non to saremo mai abbastanza, ma il modo di essere padre del Padre e che ci rende figli e fratelli: «Era Dio intatti che riconciliava a sé il mondo in Cristo» (2 Cor 5,19).

Un grande pittore come Rembrandt, dipingendo questo episodio evangelico, ci fa scorgere il giovane appena rientrato come totalmente abbandonato net grembo paterno quasi ansioso di poter esservi rigenerato come «nuova creatura» (2 Cor 5,17). II suo ritorno è custodito, quasi facilitato e accompagnato, da due mani così diverse nella loro fattezza da far ravvisare una mano materna proprio in quella che e pin prossima al cuore di questo figlio. Un figlio perduto che dopo aver trovato il coraggio di farsi ritrovare ha bisogno di essere rincuorato.

Vengono in mente alcuni versi di san Giovanni della Croce: «Morbida mano, tocco delicato che sa di eterna vita» (Viva Fiamma, 2).

Davanti a questa figura stupenda si fa fatica a pensare di imitarla, si può facilmente ammirarla ma la domanda rimane nel profondo di noi stessi: «un padre deve proprio comportarsi così?». Possiamo rispondere solo con le parole di Paolo «Tutto questo pero viene da Dio› (2 Cor 5,18) o, più precisamente, questo è Dio, il nostro Dio rivelatosi «in Cristo› (17).

In questa quarta domenica di Quaresima il viola dei paramenti si attutisce in un rosaceo che conforta non solo l’occhio, ma, soprattutto, il cuore. Quale il motivo di tutta questa gioia cui il salmista sembra invitarci con una certa urgenza: «Magnificate con me il Signora, esaltiamo insieme il suo nome. Ho cercato il Signore, mi ha risposto e da ogni paura mi ha liberate› (Sal 33,4-5)?

La risposta ci viene data attraverso le letture di questa domenica, là dove siamo rapiti dalla parabola con cui il Signore ci fa sentire la gioia inenarrabile e piena di ritrovarsi in un'alleanza restaurata e, per molti aspetti, migliorata: l'anello, il vitello, la veste sono i simboli che dicono come e quanto siamo stati «riconciliati» (2 Cor 5,18). Tutte le nostre lontananze possono trasformarsi in ritorno. Ogni nostra esperienza di fame può essere l’occasione per sperimentare la gioia di poterci nutrire di un nuovo cibo.

La prima lettura, facendo memoria dell’ingresso nella Terra, se da un lato ricorda che se ne mangiano i frutti, rammenta pure che la «manna› (Gs 5,12) smette di cadere dal cielo. Per il popolo e per ciascun credente l'ingresso nella Terra della promessa non è altro che l’esperienza dell'abbraccio del Padre misericordioso e coincide con una nuova tappa della vita.

La parabola non ci parla solo del ritorno del figlio più giovane, ma mette il dito nella piaga di tanti ritorni mancati e di tante conversioni rimandate o semplicemente snobbate.

Le parole del Signore Gesù sono rivolte a quegli «scribi e farisei» (Lc 15,1) che sono solo intenti a giudicare e a crogiolarsi nella loro presunta e presuntuosa giustizia. Tra costoro non sarà difficile trovare anche una parte di noi stessi.

La liturgia, preparandoci alla Pasqua, ci chiede una grande conversione del cuore e della mente. Infatti, mentre noi, normalmente non ci poniamo delle domande su Dio e non ci interroghiamo su ciò che Dio e per noi, la parola del Signore oggi ci invita a chiederci ciò che noi siamo agli occhi di Dio. L’apostolo Paolo lo dice con limpida e illuminante chiarezza: noi siamo «nuova creature› (2 Cor 5,17) net senso che agli occhi del nostro Dio siamo sempre bisognosi di essere accolti e continuamente accompagnati per la crescita.

L’autonomia alimentare di cui fa esperienza il popolo passando il Giordano ed entrando nella terra della libertà, è segno di un'autonomia interiore che e una grande responsabilità. Non dobbiamo dimenticare che Dio ci fa crescere per darci la possibilità di essere persone libere, persino quando questa libertà comporta qualche piccolo o grande rischio. Quando noi disperiamo di noi stessi, il Signore continua a sperare che la nostra libertà ci aiuti a fare memoria che essa e un dono che fa tutt'uno con il mistero della vita. Che non ci capiti di reagire come il figlio maggiore. In realtà sotto la maschera della sua fedele irresponsabilità si nasconde l’incapacità a vivere in una vera libertà. Il padre misericordioso accoglie anche lui con tutta la sua fatica come accoglie il figlio minore.

La speranza del ritorno per il figlio minore diventa la speranza che il figlio maggiore riconosca che il suo grande lavorare è sempre una possibilità che la grazia misericordiosa del padre gli concede. In ambedue i casi, il padre coprendo la diversa paura dei suoi due figli von il morbidissimo manto di un silenzio comprensivo e amoroso.

Non sappiamo come alla fine, reagirà il figlio maggiore… la parabola rimane aperta, ma ci viene narrato il percorso del figlio minore che ogni figlio maggiore, a suo modo, è chiamato a seguire.

Così si interroga san Pietro Crisologo pensando al giovane che medita e decide il ritorno a casa: «Da dove viene questa speranza, questa franchezza, questa fiducia? Dal fatto che si tratta proprio di suo padre. Ho perso, dice dentro di sé, la mia condizione di figlio; ma lui non ha perso la sua condizione di padre; non c’è bisogno di un estraneo per intercedere presso un padre: il suo affetto interviene e supplica nel più profondo del cuore. Le sue viscere paterne lo spingono a generare di nuovo il figlio per mezzo del perdono» e aggiunge «Il padre non svela il peccato del suo figlio, non sciupa suo figlio, ma cura le sue ferite in modo che non lascino nessuna cicatrice, nessun disonore» (Pietro Crisologo, Discorsi, 2 – PL 52,188-189).

A metà quaresima il Padre ci onora con la sua misericordia e si aspetta da noi di essere più capaci di compassione o almeno di un po’ più di silenzio.

Di Fratel MichaelDavide Semeraro, in Rivista La vita in Cristo e nella Chiesa – marzo 2019