Quando una disgrazia ha colpito altri e ha risparmiato noi stessi e i nostri cari, vorremmo tanto poterla interpretare come attestazione di un indice di maggiore giustizia e bontà da parte nostra. Se la sorte non si e accanita su di noi o almeno ci ha risparmiato, una ragione certo ci sarà: siamo migliori o almeno non siamo peggiori degli altri. La risposta del Signore è netta: «No, io vi dico, ma se non vi convertirete, perirete lutti alto stesso Rodo» (Le 13,3.5). II «modo› cui fa riferimento il Signora Gesù è quello che egli stesso dovrà assumere fino a subire nel mistero della sua passione. La sua morte in croce sarà ritenuta dalla stragrande maggioranza di quanti seguiranno gli ultimi passi del suo esodo la giusta punizione per la sua iniquità religiosa: farsi figlio di Dio. Per quanti invece non hanno preoccupazioni religiose, ma interessi e privilegi da difendere, la sua parola sembrerà una minaccia politica.

Annunciare come fa il Signore Gesù un nuovo modo di relazionarsi superando la logica del potere, rappresenta un vero pericolo per chi fonda la propria sicurezza sulla vulnerabilità altrui

Il cammino di conversione che il Signore Gesù ci chiede di affrontare e quello di superare la tentazione della mormorazione che e un modo sottile, ma efficace di ritenersi superiori e migliori degli altri e perfino di saperne più di Dio. Mormorare è proprio di quanti desiderano sempre e accuratamente evitare che un Pilato qua-unque mescoli il loro stesso sangue «con quello dei loro sacrifici» (Lc 13,1). Sono coloro che amano rimanere spettatori della storia e possibilmente al riparo dai pericoli sempre in diritto di dire e ridire, ma mai in dovere di esporsi e di fare qualcosa. Diverso è l’atteggiamento di Mose net deserto del Sinai davanti al roveto. Diverso è l'atteggiamento del padrone e del vignaiolo nei confronti del fico.

Mosè si avvicina al roveto che brucia con il rischio di scottarsi, e infatti la sua vita cambia!

Nella parabola evangelica padrone e fattore si avvicinano al fico con il rischio di rimanere delusi per la mancanza di frutti. Ma il fatto di avvicinarsi e di vedere da vicino non permette più semplicemente di mormorare o di riportare perché esige la compromissione.

L’Altissimo ricorda a Mosè che non si può rimanere spettatori della sofferenza: «Il luogo sul quale stai, è suolo santo!» (Es 3,5). Ogni roveto che brucia, ogni fico che lotta per dare frutto, la storia di ogni storia è qualcosa di santo e non, come si giudicherebbe a distanza e per sentito dire, di peccato: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei?› (Le 13,1). II Dio che si rivela a Mosè è un Dio personale che conosce Ie persone di cui segue la storia unica e irripetibile fino ad accettare di identificarsi e compromettersi: lo SONO il Dio di tuo padre… il Dio di Abramo, il Dio di lsacco, il Dio di Giacobbe… ho osservato… ho udito… sono sceso... questo è il mio nome per sempre› (Es 3,6-8).

In tal modo l’inavvicinabile santità di Dio si trasforma mirabilmente nella sua compromissione con la storia dell'uomo. E se Dio rivela la sua santità non più nella distanza, ma nella compassione, come discepoli non abbiamo altra possibilità se non questa imitazione.

L’antidoto alla tentazione che attanaglia continuamente il nostro cuore e contamina la nostra sensibilità rendendoci estranei alla logica del Vangelo, la troviamo nella parabola che Gesù racconta e nella quale possiamo riconoscere la sua stessa presenza nelle vesti del «vignaiolo» (13,7). In questa veste il Maestro si oppone, con garbo e con audacia, al suo padrone «Lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e gli avrò messo il concime». (13,8) Con questa proposta in cui è personalmente coinvolto, il vignaiolo si distanzia dalla decisività del suo padrone: tagliare è un’operazione drastica e per certi aspetti faticosa al momento, ma senza strascichi. Il vignaiolo, invece, prende tempo e, soprattutto, si assume tutta la responsabilità: zappare e concimare per un anno intero. Con questa risoluzione, indirettamente ma coraggiosamente, egli riconosce che forse, non ha fatto tutto il necessario perché l’albero producesse frutto. Forse di non averlo fatto, fino a quel momento, con sufficiente cura e attenzione.

In una parola il vignaiolo sente che la mancanza di frutti di quel fico, è anche un suo personale fallimento.

L’audacia non si ferma qui perché, se per quanto riguarda il lavoro di cura dell’albero egli non si impegna in prima persona, non fa altrettanto per ciò che concerne l’eventuale soluzione drastica da cui si dissocia radicalmente: «se no, lo taglierai» (13,9). Sembra dire al suo padrone, con cui ha già osato tanto, con il rischio di accendere la sua collera: «Se le cose andranno per il peggio, lo taglierai tu, non io!». È un trucco della divina pazienza e del suo amore infinito. Gli ascoltatori di Gesù sanno che del fico non ci si prende cura… rimane per certi aspetti un albero selvatico e capriccioso e, per questo, i suoi dolci frutti sono ancora più dolci. Eppure, l’amore e la misericordia sono capaci di sfidare la situazione, fino a ottimizzare, persino, le immutabili leggi della natura. Possiamo riprendere a questo punto la parola dell’apostolo: da una parte egli dice che tutto ciò è un «esempio per noi» (1Cor 10.10) e, dall’altra, che essa rimane per noi come «ammonimento» (10,11).

Di tutto ciò l’esperienza di Mosè al Sinai è un’altra possente parabola.

II «roveto» (Es 3,3) continua a bruciare nelle parole e nei gesti del Signora che si oppone risolutamene a ogni interpretazione disumanizzante della Parola di Dio.

Quando si disumanizza la Parola di Dio si è già caduti nell’idolatria. La croce, che presto sarà innalzata sul Golgota, sarà un roveto in cui si rivelerà, ancora una volta il Nome di un Dio che osserva «la miseria» e assume ogni «grido» (Es 3,7). Sulla croce Dio non si rivela net fuoco della sua collera, ma del suo infinito amore che continua a bruciare per illuminate ogni storia... tutte le storie... ognuna delle nostre vite senza consumarsi e senza mai bruciare la speranza di ogni uomo, di ogni donna.

Di Fratel MichaelDavide Semeraro, in Rivista La vita in Cristo e nella Chiesa – marzo 2019