Nessuno è all’origine di se stesso: già a partire dall’evento nascita risulta evidente come siamo legati gli uni agli altri e, come nessuno può darsi la vita, così nessuno può, da solo, diventare un adulto equilibrato e consapevole. Nella costruzione della propria identità è sempre presente il confronto con l’altro.

Il dialogo tra le generazioni oggi soffre certamente delle fragilità del nostro tempo, in cui passato e futuro sembrano svanire sotto il peso di un presente paralizzante. La sensazione di non avere più nulla da ereditare dal passato e da costruire nel futuro colpisce i legami tra nuove e vecchie generazioni, generando un radicato e alienante senso di inconsistenza, quindi di frammentazione identitaria.

Oggi le nuove generazioni sembrano creare legami con facilità, basta un clic per essere “amico” di qualcuno che non abbiamo mai incontrato, con cui non abbiamo mai vissuto esperienze significative, qualcuno che in realtà non conosciamo in quanto persona ma solo come profilo. Sono legami facili che altrettanto facilmente si rompono e non permettono di sentirci comunità. Questo stride con l’innato bisogno di sentire che apparteniamo a un progetto comune e siamo frutto di un percorso che ci precede.

La situazione attuale a poco a poco sta facendo crescere nella vita di tutti noi, e specialmente nelle famiglie, l’esperienza di sentirci “sradicati”. A poco a poco i legami si sfilacciano e svanisce quel tessuto vitale così importante per sentirci parte gli uni degli altri, partecipi con gli altri di un progetto comune.

È essenziale ricominciare dalla relazione tra le generazioni come tesoro da custodire, in cui investire speranze e energie per un integrale processo di crescita umana che apra conseguentemente la persona alla libertà. Perché questo avvenga però è necessaria una reale reciprocità in cui le generazioni costruiscano una comunicazione efficace, che formi un’interdipendenza positiva in un contesto mutevole e spesso dominato dall’individualismo, infatti «il legame virtuoso tra le generazioni è garanzia di futuro ed è garanzia di una storia davvero umana».

La saggezza popolare ci ricorda come i “fatti” abbiano più valore delle “parole”; ma anche la parola intesa come espressione dialogica che conduce alla relazione riveste un ruolo centrale nell’ambito delle dinamiche educative.

Un corretto dialogo è un dialogo cosiddetto “costruttivo”, non quindi a senso unico come lo sono i monologhi: un protagonista che tiene stretto per sé il diritto di parola non contemplando la possibilità di replica non costruisce un dialogo proficuo. Questo fa sì che i partecipanti restino chiusi staticamente nelle loro posizioni, non vi è scambio, non vi è crescita. Quando invece due individui iniziano un dialogo reale si incontrano e si riconoscono come persone.

Insegna Papa Francesco: “Il dialogo permette alle persone di conoscersi e di comprendere le esigenze gli uni degli altri. Anzitutto, esso è un segno di grande rispetto, perché pone le persone in atteggiamento di ascolto e nella condizione di recepire gli aspetti migliori dell’interlocutore. In secondo luogo, il dialogo è espressione di carità, perché, pur non ignorando le differenze, può aiutare a ricercare e condividere il bene comune. Inoltre, il dialogo ci invita a porci dinanzi all’altro vedendolo come un dono di Dio, che ci interpella e ci chiede di essere riconosciuto”.