È stato prodotto un Documento finale ampio e articolato. Un testo che nessun operatore di pastorale giovanile può lasciar passare con superficialità, perché lì sono contenute riflessioni, profezie e linee di azione per una rinnovata pratica pastorale con e per i giovani. Deve diventare per tutti oggetto di studio, riflessione, approfondimento. Soprattutto nessuno deve pensare che il Sinodo sia finito. Esso è un processo di conversione pastorale e missionaria che continua nella Chiesa. Sono stati individuati nuovi orizzonti, primo fra tutti quello della “Sinodalità”, che in poche parole invita la Chiesa a camminare insieme con i giovani: tale acquisizione si radica nella certezza che ogni battezzato ha qualcosa da dare e qualcosa da dire a tutti gli altri. Sinodalità è il nome ecclesiale della partecipazione: non è democraticismo né parlamentarismo, perché la verità non si mette ai voti e non si decide per alzata di mano. In un tempo di crisi delle democrazie a tutti i livelli, non siamo chiamati ad essere nella Chiesa dei “cittadini”, ma invece dei battezzati unti dello Spirito di verità e testimonianza, parte viva di un corpo che siamo chiamati ad animare in comunione con le altre membra. Siamo Chiesa nel momento in cui ci mettiamo insieme in ascolto dello Spirito: tutti noi siamo chiamati a ricevere e fare nostri gli appelli del Signore, presente e operante nella storia. È un processo di grande umiltà questo, è il processo spirituale che ha caratterizzato i lavori sinodali e che deve continuare in un discernimento in grado di diventare la forma ordinaria della Chiesa. Nel mese di ottobre si è lavorato così, secondo il metodo del discernimento spirituale fatto di tre tappe (riconoscere, interpretare, scegliere): non è più un optional questo modo di camminare, ma deve diventare habitus di ogni comunità cristiana, di ogni comunità religiosa, di ogni Diocesi e di ogni Conferenza Episcopale. Ogni battezzato è un “luogo teologico”, in particolare lo sono i piccoli e poveri. Non per nulla i giovani sono stati riconosciuti fin dall’inizio una realtà da cui Dio parla, da cui Dio lancia i suoi appelli alla conversione: «Crediamo infatti che anche oggi Dio parla alla Chiesa e al mondo attraverso i giovani, la loro creatività e il loro impegno, come pure le loro sofferenze e le loro richieste di aiuto. Con loro possiamo leggere più profeticamente la nostra epoca e riconoscere i segni dei tempi; per questo i giovani sono uno dei “luoghi teologici” in cui il Signore ci fa conoscere alcune delle sue attese e sfide per costruire il domani» (Documento finale, n. 64). Ecco perché il Sinodo è un processo che continua. Il Santo Padre, alla fine dell’Assemblea sinodale, ha detto che il Documento finale deve entrare nel nostro cuore, deve farci del bene, deve metterci in movimento. Non è il documento che conta, ma quello che potrà produrre nel nostro cuore, nella nostra mente e nelle nostre mani.

I giovani, veri protagonisti in una Chiesa sinodale. La sinodalità vissuta ha messo al centro i giovani come protagonisti del cambiamento. Il cammino in atto ci ha insegnato che non ci sono oggetti e soggetti della pastorale, ma che si cammina insieme. I Padri sinodali hanno scelto a larghissima maggioranza la narrazione di Emmaus come referente privilegiato di ciò che la Chiesa intende fare con i giovani: all’inizio della prima, della seconda e della terza parte sempre si comincia con una pennellata significativa di questo brano. Lì nessuno è semplicemente passivo, nessuno deve solo ricevere senza dare: i due viandanti sono attivati da Gesù fin dall’inizio, raccontando che cosa sta passando nel loro cuore; sono toccati dalle parole del Signore nel momento in cui li apriva all’intelligenza delle Scritture e spezzava loro il pane; infine senza indugio riprendono la via di Gerusalemme riattivati dallo Spirito che infiamma i loro cuori, donando loro forza e vigore per il cammino. Due altri testi biblici, che completano il nostro sguardo, appaiono strategici per comprendere quanto sia importante il protagonismo giovanile nel nostro tempo. Sono due racconti di risurrezione. Prima di tutto la corsa verso il sepolcro di Pietro e Giovanni. Parlando della sana inquietudine che caratterizza la vita dei giovani, al n. 66 del Documento finale si dice che «i giovani, per certi aspetti, possono essere più avanti dei pastori» e spiega anche come e perché è necessario rafforzare quelle alleanze intergenerazionali che permettono alla Chiesa di rinnovarsi: «Il mattino di Pasqua il giovane Discepolo Amato è arrivato per primo al sepolcro, precedendo nella sua corsa Pietro appesantito dall’età e dal tradimento (cfr. Gv 20,1-10); allo stesso modo nella comunità cristiana il dinamismo giovanile è un’energia rinnovatrice per la Chiesa, perché la aiuta a scrollarsi di dosso pesantezze e lentezze e ad aprirsi al Risorto. Allo stesso tempo, l’atteggiamento del Discepolo Amato indica che è importante restare collegati con l’esperienza degli anziani, riconoscere il ruolo dei pastori e non andare avanti da soli. Si avrà così quella sinfonia di voci che è frutto dello Spirito». Per andare ancora più avanti con temerità l’inizio della terza parte incomincia con la corsa della Maddalena verso gli apostoli. Anche qui si vede molto bene che, utilizzando questa icona biblica, i Padri sinodali hanno affermato che gli apostoli sono raggiunti da un annuncio che li precede e li sorprende. Quello della Maddalena, immagine ancora una volta dei giovani che anticipano i pastori e gli anziani, è il primo annuncio e la tradizione della Chiesa definisce questa donna “apostola degli apostoli”. Lasciamo la parola al Documento finale (n. 115): «In continuità con l’ispirazione pasquale di Emmaus, l’icona di Maria Maddalena (cfr. Gv 20,1-18) illumina il cammino che la Chiesa vuole compiere con e per i giovani come frutto di questo Sinodo: un cammino di risurrezione che conduce all’annuncio e alla missione. Abitata da un profondo desiderio del Signore, sfidando il buio della notte la Maddalena corre da Pietro e dall’altro discepolo; il suo movimento innesca il loro, la sua dedizione femminile anticipa il cammino degli apostoli e apre loro la strada. All’alba di quel giorno, il primo della settimana, giunge la sorpresa dell’incontro: Maria ha cercato perché amava, ma trova perché è amata. Il Risorto si fa riconoscere chiamandola per nome e le chiede di non trattenerlo, perché il suo Corpo risorto non è un tesoro da imprigionare, ma un Mistero da condividere. Così ella diventa la prima discepola missionaria, l’apostola degli apostoli. Guarita dalle sue ferite (cfr. Lc 8,2) e testimone della risurrezione, è l’immagine della Chiesa giovane che sogniamo».

La scuola, un ambiente strategico dove non possiamo mancare. Arriviamo infine, dopo il Sinodo e i giovani, al mondo della scuola, tema del Dossier di questo numero. Come introduzione di tutto quello che seguirà, conviene risentire il n. 158 del Documento finale del Sinodo, inserito nell’ultimo capitolo rivolto alla “Formazione integrale” (nn. 157-164) e completamente dedicato al mondo della scuola: «Vi è stata durante il Sinodo una particolare insistenza sul compito decisivo e insostituibile della formazione professionale, della scuola e dell’università, anche perché si tratta dei luoghi in cui la maggior parte dei giovani passa molto del proprio tempo. In alcune parti del mondo l’educazione di base è la prima e più importante domanda che i giovani rivolgono alla Chiesa. Per la comunità cristiana è importante dunque esprimere una presenza significativa in questi ambienti con docenti qualificati, cappellanie significative e un impegno culturale adeguato. Una riflessione particolare meritano le istituzioni educative cattoliche, che esprimono la sollecitudine della Chiesa per la formazione integrale dei giovani. Si tratta di spazi preziosi per l’incontro del Vangelo con la cultura di un popolo e per lo sviluppo della ricerca. Esse sono chiamate a proporre un modello di formazione che sia capace di far dialogare la fede con le domande del mondo contemporaneo, con le diverse prospettive antropologiche, con le sfide della scienza e della tecnica, con i cambiamenti del costume sociale e con l’impegno per la giustizia. Un’attenzione particolare va riservata in questi ambienti alla promozione della creatività giovanile nei campi della scienza e dell’arte, della poesia e della letteratura, della musica e dello sport, del digitale e dei media, ecc. In tal modo i giovani potranno scoprire i loro talenti e metterli poi a disposizione della società per il bene di tutti». Vorrei sottolineare prima di tutto che noi Chiesa nel mondo della scuola abbiamo la possibilità di incontrare tutti i giovani, nessuno escluso. Non è cosa da poco: la scuola è per noi un ambiente missionario in quanto tale! Sia nel momento in cui alcuni membri della comunità cristiana vivono la loro vocazione all’insegnamento in strutture scolastiche pubbliche, sia nel momento in cui la comunità cristiana si esprime attraverso la scuola cattolica, questo luogo pastorale è davvero “cattolico”, perché è destinato a tutti e accoglie tutti. Non è un luogo di proselitismo, ma di elaborazione culturale della fede dove è possibile creare dei veri e propri laboratori di inculturazione del messaggio cristiano nell’oggi della vita dei giovani. Qui dobbiamo investire. Non possiamo perdere la scuola, perché senza di essa perdiamo il legame tra fede e cultura. Un legame che ha sempre caratterizzato la vita della Chiesa in tutte le epoche e che ha prodotto frutti immensi. Perso quel legame la fede è destinata a diventare qualcosa di parallelo alla vita dei giovani e della società. La Chiesa italiana nel suo insieme ci deve credere di più, ci deve investire di più, sia a livello formativo, sia strutturale, sia economico. E anche la pastorale giovanile così com’è deve stringere nuove alleanze nel mondo della scuola se non vuole rimanere legata ad eventi isolati che non toccano la vita quotidiana dei giovani. Per essere più efficace e graffiante in questo invito lascio volentieri la parola a un maestro del nostro tempo, che ci invita a risvegliarci in questo campo della scuola, a partire dalla necessità di avere insegnanti di qualità: «Negli ultimi tempi, noi stessi abbiamo mancato di rigore e di slancio, in contrasto con la grande tradizione europea, e anche italiana, di insegnanti cristiani di personalità solida, passione educativa e competenza impeccabile. La scuola è l’unico segmento istituzionale di iniziazione ad un umanesimo condiviso che sia rimasto. Tutto il resto è “fai da te”, peer group, media-video. È un nodo strategico e i ragazzi, sfiduciati e sfilacciati come sono, si aspettano moltissimo: non appena compare un insegnante come si deve, la polarizzazione è altissima, imprevedibile, commovente. […] Nella scuola dobbiamo mandarci i migliori che abbiamo: non venditori o rappresentanti di immaginette e slogan, ma gente che domina il sapere e ha passione per servire lo spirito. E dobbiamo sostenere questi. E sostenere questo. Non sono la predichetta furba o il giovanilismo mistico che fanno la differenza. Un insegnante, di qualsiasi disciplina, ti può cambiare la vita spiegandoti il corso di un fiume. Non è l’apologetica della religione, il punto. È l’apologetica del sapere, del pensare, del lavoro della mente e del coinvolgimento delle passioni dello spirito che ti cambia la vita. I ragazzi lo sanno, infallibilmente, per istinto. Gli adulti ci credono poco. E al fatto che possa accadere ai ragazzi, non credono per niente. Questo li indebolisce: la parte pavida e parassita dell’adolescenza è incoraggiata a prendere il sopravvento. I ragazzi, aizzati dagli adulti all’opportunismo più redditizio possibile, cedono ad essa. Ma ci disprezzano per questo» (P. SEQUERI, Intorno a Dio. Intervista di Isabella Guanzini, La Scuola, Brescia 2010, 26-27).

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