La sola evocazione del nome di «Betlemme» (Mi 5, 1) risveglia in noi l’odore dei pastori e il dolce belare delle pecore... da Abele, a Giacobbe, a Mosè, a Davide... a Gesù, ai cherubini» invocati ed evocati dal salmo si incarnano nelle ali che la gioia dell’evangelizzazione ricevuta da Gabriele sembra mettere ai piedi della giovane Maria la quale «andò in fretta verso la regione montuosa» (Lc 1,59).

Nel momento in cui Maria si scopre madre non può che assumere il carattere e lo stile di quel figlio che porta in grembo e non il contrario come avviene secondo la natura. Questa conformazione della madre al carattere del figlio non è solo per se stessa, ma per la gioia di tutti... e allora non può che mettersi in viaggio. La parola del Verbo eterno: «Ecco, io vengo...» (Eb 10,9) diventa il dinamismo proprio della vita della madre la quale acconsente alla vita di Dio in lei. Davanti a questo mistero di inabitazione non si può fare altro se non lasciare che la vita di Dio non solo prenda forma ma informi il suo passo, il tono della sua voce, le emozioni più genuine e forti del suo cuore. La bellezza e la verità di ciò che Maria sta vivendo come grazia sono inconfondibili e impossibili a nascondersi: «Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo» (Lc 1,41).

Ben diverso è il tono del saluto di Maria da quello dell’arcangelo. La «grazia», agitata come un vessillo da Gabriele, si sta ormai facendo «un Corpo» (Eb 10,5) tanto da assumere il tono di una grazia più percepibile e per nulla temibile di una voce amica.

A Elisabetta non è necessario dire ciò che fu detto a Zaccaria prima e a Maria dopo: «Non temere»! Non c’è ormai più nulla da temere. Il modo in cui Dio visita la nostra vita non suscita più paura, ma solo l’esultanza dello stupore più puro e gioioso.

La parola del profeta «e tu Betlemme, così piccola» (Mi 5,1) si può riferire certamente a Maria, la serva in cui Dio ha compiuto cose magnifiche, ma si riferisce pure a ciascuno di noi. Su ciascuno questa parola profetica viene amabilmente pronunciata: «E tu, così piccolo»! Betlemme, la «così piccola» rappresenta la cifra della preferenza di Dio per la piccolezza, l’inermità, la mitezza.

Per questo lo stesso Verbo che si lascia fasciare di carne nel grembo di Maria per rivelarsi al mondo come dolce riflesso della gloria del Padre dice: «Tu non hai voluto e non hai gradito nè sacrifici, nè offerte» (Eb 10,8) che si offrono nel tempio a Gerusalemme.

Al posto dei sacrifici da offrire nel tempio, nel grembo di Maria il Verbo si riveste di un corpo da condividere come pane. Ed è proprio su questo corpo che il Vangelo attira la nostra attenzione. Maria, vergine ormai madre, non appena è abitata dalla presenza del Verbo fatto carne si mette in viaggio, si mette in cammino per andare a gioire con Elisabetta. Costei si ritrova davanti la sua giovane cugina conosciuta da sempre come servizievole e amorevolmente attenta, uguale e totalmente diversa tanto da riconoscere in lei, con intuito squisitamente femminile affinato dallo stato di gravidanza, nientemeno che la «madre del mio Signore» (Lc 1,43). Non è Gabriele a chiamare Maria come «madre», ma Elisabetta che sta sperimentando la stessa miracolosa gioia di tramettere la vita.

Nel momento della visitazione la corporeità stessa di Maria sembra trasformata, così come la luce può radicalmente trasformare – con il suo insorgere – un panorama o un volto: tutto come prima e nulla più come prima.

Il semplice saluto di Maria fa trasalire la maternità di Elisabetta. Si tratta di un piccolo grande intimo terremoto che indica, come già avvenne alle falde del Sinai (Es 19) e sulla soglia del Tempio (Is 6) l’incontenibile eppure circoscritta Presenza di Dio.

Maria diventa per noi guida verso e nel mistero dolcissimo dell’Incarnazione del Verbo: lei che si era chiesta «che senso avesse un saluto» come quello di Gabriele (Lc 1,19) dopo le parole dell'angelo, ora non fa altro che «salutare» a sua volta. Nelle lingue neolatine in questa parola vi è un sottile gioco tra saluto e salvezza. Anche noi in Gesù, Verbo fatto carne, possiamo dire «un corpo invece mi hai preparato» e dobbiamo aggiungere in Lui: «Ecco, io vengo per fare la tua volontà», Ma la domanda si fa pressante: «Come fare la volontà del Padre». Vivendo fino in fondo il nostro corpo che ci permette di metterci «in viaggio» non tanto verso la montagna ma «verso altro» appunto per incontrarlo, per salutarlo, per visitarlo. Il mistero del Natale, ormai vicino, ci chiede di fare di ogni nostra piccola casa una Betlemme ove vi si spezza il pane dell’incontro dopo aver acceso il fuoco dell’accoglienza reciproca.

Il seno di Maria, come l’antica Arca, contiene il Santo dei Santi ma nella forma della più assoluta umiltà. Tutto sta nell’accettare l’umiltà di Dio che si fa così vicino da essere portato in modo così discreto e ciò esige di acconsentire alle vie dell’umiltà. Le salite della carità e dell’evangelizzazione sono ormai alate e leggere. La presenza nascosta e infuocata del Verbo permette ed esige uno sguardo sulle cose di sempre, sulle persone di sempre, su noi stessi di sempre... assolutamente nuovi: «A che cosa devo che la madre del mio Signore venga a me? (Lc 1,43). Il grido di Elisabetta fa il colore di questa domenica che si affaccia già sul Natale ormai imminente e trova nel mistero della visitazione una qualità che si rinnoverà con la visita dei pastori, dei magi.

Come spiegava Renè Voillaume: «Maria ha dato inizio a una serie innumerevole di visitazioni» che non finirà fino a quando ci saranno uomini e donne sulla terra».

Ciascuno di noi è chiamato a gestire e a partecipare le terre sconosciute della maternità del cuore le cui acque nutrici permettono le comunicazioni più segrete, le più belle, le più indimenticabili. Proprio questa esperienza, che oggi chiameremmo prenatale, permetterà ai due bambini esultanti nel grembo delle loro madri, di riconoscersi con la discrezione propria di uomini adulti e di profeti abitati dal fuoco.

Possiamo intuire perchè si sentissero così «sicuri» nel grembo delle loro madri!

Fratel MichaelDavide Semeraro – Dalla rivista: “La vita in Cristo e nella Chiesa” 10-2018