Un sentimento che farà trasalire il cuore dei Magi dopo il loro lungo cammino il cui ultimo tratto – quello che va da Gerusalemme a Betlemme – sarà il più costoso. Nonostante tutta la fatica del cammino alla fine persino il cuore dei Magi si aprirà a una «gioia grandissima» (Mt 2,10). In una sua meditazione, Giovanni Paolo II così commentava il mistero di questa domenica Gaudete: «Sapere che Dio non è lontano, ma vicino, non indifferente, ma compassionevole, non estraneo, ma Padre misericordioso che ci segue amorevolmente nel rispetto della nostra libertà: tutto questo è motivo di una gioia profonda che le alterne vicende quotidiane non possono scalfire. Caratteristica inconfondibile della gioia cristiana è che essa può convivere con la sofferenza, perchè è tutta basata sull’amore. In effetti, il Signore che ci è “vicino” al punto da farsi uomo, viene ad infonderci la sua gioia, la gioia di amare».

L’Apostolo Paolo ci aiuta a comprendere quale sia il segno di una gioia radicata e ben fondata quando esorta i cristiani di Filippi a rendere nota la loro «amabilità» (Fil 4,5). Questa «amabilità» è il frutto di una certezza che abita il profondo del cuore e ne muove le scelte: «Il Signore è vicino!».

La consapevolezza della vicinanza del Signore, che non è solo di ordine temporale ma esistenziale, ha come frutto la «pace di Dio, che supera ogni intelligenza» la quale «custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù» (4,7).

Il profeta Sofonia sembra persino rincarare la dose perchè, oltre a esortare alla gioia, ce ne rivela il fondamento più sicuro e remoto: «Gioirà per te, ti rinnoverà con il suo amore, esulterà per te con grida di gioia» (Sof 3,17).

Forse il più grande annuncio del Natale è questa gioia di Dio per noi che diventa il fondamento della nostra gioia tra di noi. Quell’armonia che si era incrinata nel giardino dell’Eden, quando l’uomo si nascose al suo Creatore vinto dalla paura, è come se si sciogliesse interamente in questa gioia folle di Dio di ritrovarsi in mezzo a noi tanto da essere totalmente per noi. Questo ci permette di invertire radicalmente la storia facendo nostre le parole del profeta Isaia: «non avrò fiducia, non avrò timore» (Is 12,2).

In questo contesto di esultanza profetica, le risposte che Giovanni Battista da ai suoi interlocutori che gli chiedono indicazioni per la salvezza, sono in realtà un’esortazione a vivere la propria condizione con fiducia, con pace e in una reciproca attenzione di amore. Questo modo di portare e sentire la vita genera la gioia vera e fa spazio a Colui che viene per «pulire» (Lc 3,17) l’aia del nostro cuore da tutto ciò che rende meno facile l’armonia e la pace.

In una parola siamo chiamati a essere partecipi della stessa gioia di Dio che si rivela in Cristo Gesù come «qualcosa di primordiale, di fondamentale e di immutabile: la gioia è il riposo e la piena realizzazione della nostra umanità nella verità, l’amore e l’armonia».

La gioia è sempre espressione di una grande fiducia e questo ci permette di accedere alla condivisione come respiro abituale della vita senza più la paura di perdere, ma nella letizia di dare e di essere con gli altri fino a essere per gli altri.

Il Battista non richiede ai suoi ascoltatori niente di straordinario ma esorta semplicemente: «Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha» (Lc 3,11). Il Precursore esorta perfino i pubblicani con parole misurate: «Non esigete nulla di più» (Lc 3,13). Ai soldati dice «accontentatevi» (Lc 3,14).

Dopo aver ascoltato queste risposte del Battista potremmo cercare di aprire interiormente l’orecchio del nostro cuore per intuire – a partire dalla nostra situazione personale – quale tipo di segno può esprimere nella nostra vita la vicinanza del Regno di Dio. Possiamo chiederci quale tipo di nota particolare può assumere l’«amabilità» di cui parla l’apostolo nel tessuto concreto della nostra vita. Dalla dinamica che ritroviamo nel testo evangelico sembra risultare chiaro che l’amabilità può essere solo il frutto della serena accoglienza di una parola minima di conversione.

Così minima da essere realmente possibile e veramente praticabile da ciascuno a partire dalla propria struttura e situazione concreta di vita.

Eppure, questo minimo si inserisce nell’orizzonte più ampio e – indubbiamente più esigente – della manifestazione del Messia.

Proprio il Messia come assicura Giovanni: «vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile» (Lc 3,16-17).

Tutto questo fuoco ci può spaventare solo se arrivassimo impreparati e – per certi aspetti – se non fossimo passati da quella prima fase che potremmo definire la preparazione dell'amabilità. Questo sentimento squisitamente umano ci permette di aprirci a esigenze sempre più forti che, inevitabilmente, l’incontro con il Signore e Cristo porta con sè. In ogni modo si comincia sempre con il poco! Le grandi cose devono sempre prendere avvio con il minimo che permette una fiducia e un’apertura crescenti e capaci di condurre, gradualmente, ben oltre il semplice «accontentatevi». Per esporsi al giudizio, al discernimento che esige ogni incontro autentico con il Signore Gesù e le esigenze del suo Vangelo è necessario sentire, prima di tutto e fondamentalmente, l’annuncio del profeta: «Il Signore ha revocato la tua condanna» (Sof 3,15) e ancora «non lasciarti cadere le braccia» (3,16) e tutto questo perchè egli «ti rinnoverà con il suo amore» (3,17). Solo un simile fuoco d'’more può permettere di passare attraverso il crogiuolo del battesimo di fuoco che è la conversione della vita.

La modalità «preparatoria» di Giovanni il Precursore è un grande insegnamento per ciascuno di noi nella sua responsabilità di farsi a sua volta precursore e battistrada di Cristo. Egli viene nel cuore della storia a partire dal cuore dei nostri fratelli. L’accoglienza di questa venuta va vissuta con «amabilità» e senza angustiarsi «per nulla» (Fil 4,6).

Tutto ciò esige un crescente spirito di preghiera e di ringraziamento per sperimentare e far sperimentare come e quanto il Signore, pur nell’umiltà della sua incarnazione, «è un Salvatore potente» (Sof 3,17).

Fratel MichaelDavide Semeraro – Dalla rivista: “La vita in Cristo e nella Chiesa” 10-2018