Il cammino di Avvento è come un viaggio interiore verso una rinnovata e più sensibile esperienza di un Dio che sposa la nostra vita fino a farsi ospite della nostra storia. Questo viaggio vuole assomigliare più a un corteo nuziale che alla processione di un funerale.

Colui che attendiamo è il nostro redentore non nella forma di un salvatore anonimo e distaccato per quanto efficace e benevolo, ma come sposo che vuole abitare la nostra umana intimità per portala al suo massimo splendore con il dono di se stesso,

Come canta il salmista, il Verbo è «come sposo che esce dalla stanza nuziale» risplendente di quella gioia che è propria della pienezza dell’amore. Il «sorriso» e la «gioia» evocati dal salmo responsoriale sono il segno di una ritrovata e rinnovata capacità di «sognare» (Sal 125,1-2) per imparare sempre più e sempre meglio a sperare... e a farlo insieme. La ragione è semplice e allo stesso tempo magnifica: «Dio ricondurrà Israele con gioia alla luce della sua gloria, con la misericordia e la giustizia che vengono da lui» (Bar 5,9).

Se è sempre il Signore a fare il primo passo della danza della vita, è lui stesso – come il cavaliere e il principe delle nostre più belle favole – a invitarci a ballare l’amore ritrovato. Nondimeno rimane pur vero che senza il nostro consenso la danza si trasformerebbe in un tafferuglio. In questo tempo di Avvento e di Natale la «carne» del Verbo è oggetto di amorevole e stupita contemplazione.

La liturgia di questa domenica ci ricorda che l'incarnazione non è solo da leggere nella linea dell’umiliazione. È da accogliere nella logica della sponsalità che crea un legame indissolubile di intimità tra la nostra umana realtà e la presenza di Dio.

Questa presenza possiamo sperimentarla non solo tra noi, ma dentro ciascuno di noi. Così il mistero dell’incarnazione del Verbo diventa il «diadema» che fa della nostra storia una storia di «salvezza» (Lc 3,6). Il testo del Vangelo ci aiuta a contestualizzare il dono di questo amore nella concretezza della storia: «Nell'anno quindicesimo...» (3,1-2).

La storia diventa il luogo di rivelazione per eccellenza della risposta del Signore al desiderio e al bisogno di ciascuno: «Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio» (3,6). Nel frattempo, tocca a noi di vivere quel «pieno discernimento» (Fil 1,9) di cui ci parla l’Apostolo Paolo. In questo modo il «mentre» (Lc 3,1), talora così anonimo e sbiadito della storia, si trasformerà nell’indimenticabile momento delle nostre nozze interiori. Verso questa meta interiore siamo spinti dalla parola e dall’esempio del Battista che ci aiuta a fare della nostra esistenza una vera vigilia del giorno e del momento più bello della vita: «Preparate la via del Signore» (3,4).

Il modo di preparare «la via del Signore» (Lc 3,4), proprio del Precursore, non è altro che un accettare fino in fondo di fare deserto, di fare piazza pulita di tutte le nostre precomprensioni e persino di tutte le nostre preparazioni, al fine di lasciare a Dio di farsi una strada dentro di noi.

Ce lo ricorda, con accenti poetici, il profeta Baruc che, in certo modo dice, dal punto di vista inverso, ciò che di Isaia riporta l’evangelista Luca: «Poichè Dio ha deciso di spianare ogni alta montagna e le rupi perenni, di colmare le valli livellando il terreno, perchè Israele proceda sicuro sotto la gloria di Dio» (Bar 5,7). Il deserto in cui Giovanni accoglie la Parola che «venne» su di lui diventa cifra dello spazio interiore che ciascuno di noi è chiamato a creare per farne un seno di accoglienza per la Parola.

Questa Parola che ci abita fino a ricrearci vuole farsi ancora carne, storia, evento assumendo il nostro volto e la nostra storia. La Parola di Dio che si insemina dentro di noi accetta, nell’infinita condiscendenza della misericordia di Dio, di sposare la nostra realtà creaturale assumendo tutti i nostri limiti e le nostre resistenze.

Tutto questo per manifestarsi al mondo nel «modo» proprio di Dio, creatore e salvatore, che viene precisato dal profeta Baruc in questi termini: «con gioia alla luce della sua gloria, con la misericordia e la giustizia che vengono da lui» (Bar 5,9).

Queste sembrano proprio essere le caratteristiche del «baldacchino» (Ct 3,9) sotto cui il Verbo viene incontro all'umanità attraverso il deserto.

Il luogo della fatica ritorna a essere così il luogo del fidanzamento e della gloria del vero «Salomone nel giorno delle sue nozze» (Ct 3,11). Le caratteristiche elencate dal profeta vengono riprese dallo stesso Apostolo che,a sua volta, parla di «gioia» (Fil 1,4) come pure di «quel frutto di giustizia che si ottiene per mezzo di Gesù Cristo» (Fil 1,11). Così pure nel cuore dell’Apostolo, che ammira il cammino della comunità di Filippi nella via del Vangelo, vi è una profonda e radicata certezza: «Sono persuaso che colui il quale ha iniziato in voi quest’opera buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù» (1,6).

Con questi sentimenti e animati proprio da questi sentimenti possiamo e dobbiamo accogliere ancora una volta l’invito del Precursore come «Voce di uno che grida nel deserto».

Così il deserto diventerà un vero giardino: «Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri» (Lc 3,4).

Non ci resta dunque che entrare a nostra volta nel mistero del deserto per conoscere, per esperienza, la gioia di una rinnovata possibilità di sperare e di avanzare. Questo lavoro si fa proprio alla cerniera tra la crisi della speranza e l'insorgere del desiderio, tra il vuoto del deserto e il sogno dell’amore.

La cascata di nomi e di luoghi famosi e ufficiali, elencati dall’evangelista Luca con la precisione di un chirurgo e l’esattezza di uno storico, non servono ad altro che a preparare il colpo d’ala della speranza: «La parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto» (3,2).

Un uomo sconosciuto ai più, che vive nel luogo meno appropriato a fare notizia, ma che pure rappresenta la possibilità per tutti di ricominciare. A noi dunque di lasciarci interrogare e trasportare in un rinnovato desiderio di sognare non solo per noi, ma per tutti.

Fratel MichaelDavide Semeraro – Dalla rivista: “La vita in Cristo e nella Chiesa” 10-2018