Mentre le Luminarie illuminano le strade delle nostre città e i frontoni altezzosi dei nuovi templi che sono i centri commerciali, la liturgia ci richiama all’essenziale.

La Parola di Dio ci scuote da ogni possibile stordimento per renderci massimamente vigilanti. L’immagine del «germoglio» (Ger 33,15) evocata da Geremia è proprio come parlare di fiori, di frutti, di profumi in pieno inverno quando tutto e bloccato dal gelo e ognuno sembra costretto a rifugiarsi nella propria casa.

Se il germoglio è una promessa, è pure una responsabilità che esige il rispetto delle leggi della natura e l'impegno a collaborare con cura. ll germoglio evoca una promessa mantenuta che pero è tutta da mantenere, proprio perchè sia degno dell’aggettivo con cui il profeta caratterizza il germoglio: «giusto»!

Mentre muoviamo i primissimi passi di questo tempo di rinnovato Avvento siamo chiamati a chinarci amorevolmente su ogni fragile inizio di vita come è quello di un germoglio. Se ce ne prendiamo amorevolmente cura sarà allora capace di fiorire fino a dare frutti di giustizia.

L’apostolo Paolo non fa che confermare e, in certo modo, rincarare, la dose del profeta Geremia. Con la sua ardente esortazione non solo ci porta all’essenziale della vita ma anche del cammino di fede. Questo cammino dev'essere tutto intessuto di un amore che fa crescere, progredire, in una parola migliorare.

Le parole dell’Apostolo sono accorate: «Il Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nell’amore fra voi e verso tutti, come sovrabbonda il nostro per voi» (1Ts 3,12).

Il germoglio di cui parla il Profeta rivela la sua vocazione radicale attraverso le parole dell’Apostolo. L’Avvento si presenta dunque come un tempo di grande laboriosità con la complicità propria della grazia di ogni nuovo inizio che, in realtà, non è mai ripetere le cose di sempre. Si tratta di cominciare in modo nuovo senza dimenticare ciò che la vita e, in particolare, la sofferenza ci hanno permesso di imparare fino a dilatare la nostra interiore Sapienza.

Dopo il Profeta e l’Apostolo, è lo stesso Signore Gesù a prendersi cura del germoglio di speranza che germoglia nel nostro cuore. Il Vangelo di questa domenica per farci capire cosa sia importante all’inizio di ogni slancio spirituale, ci porta spiritualmente ai tempi della fine. In tal modo viene messo a nudo tutto il dramma del nostro vivere nel tempo: un continuo alternarsi e, più precisamente, altalenarsi tra speranza e angoscia: «Gli uomini moriranno per la paura... risollevatevi e alzate il capo perchè la vostra liberazione è vicina» (Lc 21,26.28).

Tempo di attesa quello dell’Avvento, ma, forse ancora di più, scuola dell’attesa come stile di vita: e cosa c’è di più bello e di più difficile, di più esaltante e di più. angosciante che aspettare? Cosa c'è di più umano che vegliare nell'attesa di qualcuno o di qualcosa?

Potremmo dire che accanto all'homo sapiens, all‘homo faber... l’uomo possa essere caratterizzato come homo vigilans: «Vegliate in ogni momento pregando» (Lc 21,36) invita il Signore Gesù del Vangelo.

Ma cosa può mantenere accesa la lampada della vigilanza se non il desiderio? Ed ecco che dentro ciascuno di noi respira e spera un homo desiderans.

Sembra proprio che il Signore abbia scelto questa componente specifica dell'umano per farne la cifra e il luogo privilegiato della sua relazione con gli uomini: il desiderio, l’attesa che ci rende, per natura, protesi, slanciati e non legati al laccio di quelle «dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita» (Lc 21,34).

Questi lacci ci rendono pesanti e statici costringendoci a vivere allo stretto e senza grandi orizzonti. Al contrario, come esseri viventi in crescita verso la pienezza della propria umanità siamo continuamente chiamati a vivere protesi verso Colui che viene a rivelarci la verità di noi stessi.

Per cogliere e accogliere questo dono di pienezza, il primo passo è quello della consapevolezza: siamo poveri in quanto non abbiamo già quello che desideriamo, ma sempre e solo lo aspettiamo.

| testi della preghiera che accompagnano le liturgie di questo tempo di Avvento, ci ricordano la vocazione a essere beati accettando di far parte dell’innumerevole schiera di «poveri in attesa», di pellegrini in cammino, di persone in divenire e sempre protese oltre se stesse.

L’augurio dell’Apostolo ci tocca profondamente: «Il Signore vi faccia crescere» (1Ts 3,12). Certo crescere nell’amore per «rendere saldi i vostri cuori e irreprensibili nella santità” (3,13).

Questo cammino di santità non significa altro che crescere e dilatare in noi il desiderio che, come dice Gregorio Magno, «cresce con il protrarsi».

Allora non ci resta che seguire l’esempio dei poveri di tutti i tempi e di tutte le contrade della terra e, preso il bastone del pellegrino, metterci in viaggio. Di certo siamo consapevoli dei rischi, ma consci pure delle opportunità di ogni viaggio dell’anima. I momenti difficili e persino catastrofici possono trasformarsi in una componente dell’ordinaria crescita insita nel mistero della vita. Tutto ciò richiede una dignità e un’audacia senza pari: stare in piedi e non lasciarsi piegare.

Come ricordava Simone Weil parlando della perseveranza, questa virtù «designa un uomo che attende senza muoversi, a dispetto di tutti i colpi con cui si cerca di smuoverlo». Per vedere le stelle, bisogna osare abbandonare la città e le luci della ribalta, assumersi il rischio di una certa solitudine: scopriremo allora che l’oscurità è popolata e potremo perfino scorgervi degli «angeli», dei volti radiosi senza orchestra e senza piume. Per scorgere tutto questo non possiamo certo dormire sonni tranquilli tra i cuscini piumosi della nostra superficialità.

Fratel MichaelDavide Semeraro – Dalla rivista: “La vita in Cristo e nella Chiesa” 10-2018