Gesù parla di Dio, soprattutto, nelle parabole, narrando vicende umane, mostrando come il Regno di Dio sia buona notizia per gli uomini e le donne, buona notizia nelle loro vite quotidiane, reali. Attraverso la sua vita umanissima, da vero uomo, l’autentico Adam voluto da Dio (cf. Col 1,15-16), Gesù racconta e annuncia Dio; mostra come Dio regna su di Lui e, regnando, combatte e vince la malattia, il male, la sofferenza, la morte. È per averlo visto vivere in questo modo che Giovanni scrive alla fine del prologo del Quarto Vangelo: «Dio nessuno l’ha mai visto, ma proprio lui, Gesù, ce ne ha fatto il racconto» (Gv 1,18). Gesù, parola e volto di Dio, mostra l’uomo autentico, chiamato a essere a sua immagine e somiglianza. Con la sua umanità piena e non segnata dal peccato – che è sempre amore egoistico di sé –, Gesù è riuscito a raggiungere l’intimo dell’uomo e a generarlo alla fede in un Dio che ama per primo (cf. 1Gv 4,10-19), un Dio il cui amore ci precede sempre. Ciò che Gesù desta in chi incontra, è nient’altro che la possibilità di credere all’amore. Ecco il fulcro della fede cristiana: credere all’amore attraverso il volto e la voce di questo amore, cioè attraverso Gesù Cristo.

Gesù fonte di relazioni umane autentiche. Le Linee Orientative della Missione Educativa al capitolo quarto in riferimento a Gesù, fonte di relazioni umane autentiche, orientano a misurarsi con Lui. L’umanità di Gesù è il riferimento di ogni relazione interpersonale. In Lui, infatti, risplendono relazioni ricche di interiorità, reciprocità e prossimità che attingono alle sorgenti della sua figliolanza divina. La persona umana, creata a immagine di Dio, cresce e matura in tutte le dimensioni attraverso l’esperienza relazionale. Questa l’aiuta ad unificare, attorno a valori importanti, i propri dinamismi cognitivi, affettivi, motivazionali e sociali.

Ognuno può ricercare attraverso diverse strade il mistero del suo essere, riceverà risposte valide dalle diverse scienze, ma par parziali, solo Gesù, il Figlio di Dio fatto uomo, possiede il segreto ultimo del nostro esistere. Solo alla sua scuola ci è dato di penetrare quel mistero di cui siamo parte, che proietta l’esistenza umana sul piano della comunione eterna d’amore con Dio Trinità. La presentazione di Gesù testimone di relazioni autentiche è la chiave dell’attuale modello pastorale e ne costituisce la pertinenza nella situazione socioculturale in cui ci troviamo.

Il compito prioritario. Educare alla fede è per la Chiesa, per noi, il compito primario. Nel tentativo di riuscirvi possiamo imboccare molte strade, alcune decisamente sbagliate, altre poco efficaci. Tutto dipende dalla nostra capacità di assumere la stessa pedagogia vissuta da Gesù nell’incontrare gli uomini, le donne, i giovani. Anche oggi la fede può essere generata, destata, fatta emergere da chi, come Gesù, sa incontrare gli uomini in modo umanissimo; sa essere una persona affidabile, la cui umanità è credibile; sa essere presente all’altro, sa fare il dono della propria vicinanza; sa, in un decentramento di sé, fare segno a Gesù e, attraverso di lui, indicare Dio, il Dio che è amore. I nostri contemporanei sono sensibili all’avere fede o al non avere fede nell’amore, al credere o non credere all’amore, perché da questo dipende il senso della vita. Ancora oggi molti ci chiedono: «Vogliamo vedere Gesù!» (Gv 12,21), perché sentono che la sua umanità li riguarda, li intriga, li interroga. Ma noi comunità educanti, noi Chiesa, noi FMA sappiamo rispondere a questa domanda, a questo anelito profondo? Forse noi per primi non sappiamo vedere Gesù, oppure lo conosciamo poco.

Domande impertinenti o pertinenti? Sappiamo noi cristiani che tutto quello che possiamo conoscere di Dio ce lo ha narrato Gesù Cristo? Sappiamo che nessuno ormai può andare a Dio se non attraverso di lui (cf. Gv 14,6)? Se verifichiamo tanta sterilità nel nostro educare gli altri alla fede, perché non ci impegniamo noi per primi a essere ri-educati alla fede, attraverso l’incontro con Gesù? «Ciò che Gesù aveva di eccezionale non era di ordine religioso, ma umano» (Joseph Moingt): egli, la vera «immagine del Dio invisibile» (Col 1,15), a somiglianza del quale siamo stati creati e diventiamo uomini e donne, ci ha insegnato a vivere in questo mondo (cf. Tt 2,12), ci ha lasciato delle tracce umanissime sulle quali camminare per essere suoi fratelli, sorelle e figli di Dio. Dobbiamo soltanto credere all’amore che Gesù, ha vissuto «fino alla fine», fino all’estremo (cf. Gv 13,1). Questa è la nostra fede cristiana. Ci crediamo?

A fianco degli ultimi credendo nell’amore. Nel Ceará, uno degli Stati più poveri del Brasile e tra i più violenti Suor Erbania de Sousa, responsabile della Caritas diocesana di Crateús lavora a fianco degli ultimi animata da una fede incrollabile nel Vangelo e nella capacità umana di riscattarsi. Tenace e combattiva, da quando a 17 anni ha lasciato la sua casa per farsi religiosa, ha sempre lavorato per i diritti degli ultimi a cominciare proprio dalle donne: le prostitute e le vittime di abusi, le catadores che vivono raccogliendo rifiuti, le abitanti delle favelas, le contadine senza terra e senza mezzi, le pescatrici prive di prospettive economiche e riconoscimenti professionali. Suor Erbania, si è formata alla scuola del pedagogista Paulo Freire e della teologia della liberazione, attraverso la Caritas promuove una teologia incarnata in cui la dimensione spirituale resta inseparabile dall’azione concreta: “La preghiera è per noi un’esigenza quotidiana, in chiave contemplativa. Pregare significa contemplare la vita di ogni giorno cercando di leggerla alla luce del Vangelo”, spiega Suor Erbania. “Il nostro modo di considerarci figlie e figli di Dio ci porta spesso a unirci alla popolazione nell’occupazione delle terre rurali e urbane lasciate in abbandono, o prese indebitamente da imprese minerarie o fazenderos. Iniziative che sono spesso costate aggressioni e intimidazioni”. La Caritas nello Stato del Ceará, di cui è responsabile Suor Erbania è organizzata in 800 comunità ecclesiali di base che condividono la lettura critica della realtà volta a emancipare la persona attraverso un’educazione contestualizzata, cioè adatta al contesto in cui vive. “Nel nostro territorio – afferma Suor Erbania – i figli e le figlie delle famiglie contadine sono tradizionalmente i più esclusi dall’istruzione. Perciò una quindicina di anni fa abbiamo occupato un terreno per fondarvi una scuola, così da poter offrire loro una formazione di qualità sulle tecniche agroecologiche, alla luce delle specificità ambientali e sociali del territorio semiarido brasiliano. La scuola accoglie 100 ragazzi e ragazze che, secondo la pedagogia dell’alternanza, per 15 giorni al mese seguono le lezioni teoriche e pratiche, mentre negli altri 15 giorni vanno a casa ad applicare negli orti familiari ciò che hanno appreso. I giovani che escono dalla scuola di agroecologia sono aiutati a trovare un impiego e in seguito, sempre in una logica di alternanza a frequentare l’università. In questi anni le scuole della Caritas di Crateús sono diventate 126 e hanno formato 17.000 studenti che hanno potuto “imparare” il rispetto della terra e la produzione di cibi sani, senza fare ricorso ai pesticidi o a pratiche tradizionali di incendio dei terreni, e impiegando tecnologie idonee per l’immagazzinamento dell’acqua”. Tutto questo nella filosofia del Bem vivir. Il Bem vivir si prende cura della terra e dei suoi ritmi: “Proteggo, coltivo e mi prendo cura di un ambiente dove la vita ha le sue leggi e il proprio tempo”. Esiste un forte legame tra il Bem vivir di ciascuno e quello di tutti, in una prospettiva di promozione della libertà che si muove insieme su un piano concreto e utopico, e si riconnette alle parole di Gesù: “Sono venuto perché abbiano la vita e la vita in abbondanza” (Gv 10, 1-21). “Stare bene – spiega Suor Erbania – non può essere un fatto solo personale: non è possibile stare bene senza la dimensione comunitaria e senza un legame con la terra, senza che stiano bene la natura e chi la abita. È qualcosa che a Crateús cerchiamo di realizzare anche simbolicamente attraverso la ciranda, una danza che si fa tutti insieme, in cerchio, cercando ognuno di rispettare i passi dell’altro e lasciando il giusto spazio per ciascuno. Il nostro sogno è espandere questo girotondo, per allargare il cerchio delle possibilità a sempre più persone e costruire una diversa realtà”. Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.