“Il cammino della sinodalità è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio”: con questa affermazione che esprime l’impegno programmatico proposto da Papa Francesco il 17 ottobre 2015 – nel 50.esimo anniversario dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi da parte di Paolo VI – si apre l’Introduzione al documento: “La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa” pubblicato lo scorso 3 maggio. Il testo, 41 pagine, preparato dalla Commissione teologica internazionale e approvato da Francesco, intende offrire un contributo all’approfondimento teologico del significato della sinodalità, alcuni orientamenti pastorali in riferimento alla sua attuazione concreta ai vari livelli, e sui riflessi nel cammino ecumenico e nel servizio della Chiesa al mondo.

Sinodalità, sfida prioritaria per la Chiesa. La sinodalità “è dimensione costitutiva della Chiesa”, aveva sottolineato ancora in quell’occasione il Papa. Per Francesco la sinodalità esprime infatti la figura di Chiesa che scaturisce dal Vangelo di Gesù e che è chiamata a incarnarsi oggi nella storia, in fedeltà creativa alla Tradizione. Il termine ‘sinodalità’ significa ‘camminare insieme’ e indica il cammino del popolo di Dio, ma anche il suo radunarsi in assemblea in ascolto reciproco e dello Spirito Santo o intorno all’Eucaristia. È una parola antica che ha origini greche e latine e che nel corso della storia della Chiesa ha avuto maggiore e minore rilevanza. Una forte esperienza di sinodalità fu, per la prime comunità cristiane il Concilio di Gerusalemme intorno al 48-49 d.C.

Una dimensione al cuore del Vaticano II. “Benché il termine e il concetto di sinodalità non si ritrovino esplicitamente nell’insegnamento del Concilio Vaticano II – si legge ancora nell’Introduzione al documento - si può affermare che l’istanza della sinodalità è al cuore dell’opera di rinnovamento da esso promossa”. Il Concilio sottolinea infatti la comune dignità di tutti i battezzati, coinvolti ciascuno con il proprio dono, carisma, vocazione e servizio, nella vita e nella missione della Chiesa. Ma se il Vaticano II ha fatto molto per promuovere la comunione ecclesiale, molti restano ancora i passi da compiere in questa direzione. “Oggi, anzi, la spinta a realizzare una pertinente figura sinodale di Chiesa – si legge nel documento della Commissione – benché sia ampiamente condivisa e abbia sperimentato positive forme di attuazione, appare bisognosa di principi teologici chiari e di orientamenti pastorali incisivi”. È ciò che il documento intende fare.

Alcune parole che percorrono il documento

Discernimento comunitario, Chiesa come ‘casa e scuola della comunione’, ecclesiologia e spiritualità di comunione, dialogo e ascolto, cultura dell’incontro. Sono tutte espressioni che dicono uno stile ecclesiale a cui Papa Francesco ritorna spesso nei suoi discorsi e che disegnano un volto preciso della Chiesa. L’assunzione di una corretta pratica sinodale è per mons. Piero Coda, membro della Commissione teologica internazionale e tra coloro che ha lavorato al testo, una sfida prioritaria per la Chiesa oggi in fedeltà creativa al magistero del Vaticano II, perché la sinodalità esprime e attualizza la natura e la missione più autentiche della Chiesa nella storia.

Sinodalità nel dialogo ecumenico e con il mondo. Mons. Coda sottolinea inoltre ai nostri microfoni, l'importanza del tema per il cammino ecumenico e nel contesto delle società del nostro tempo che sempre più richiedono una cultura dell'incontro e della cooperazione. Nella difficile realizzazione di tutto questo il processo verso una più matura sinodalità ecclesiale assume, quindi, anche un significato di servizio all'umanità verso la giustizia e la solidarietà sociale.

Mons. Piero Coda, la sinodalità è un’esperienza che è stata vissuta fin dalle origini della Chiesa. Perché allora oggi questo documento sulla sinodalità?

Si rendeva oggi opportuno, direi financo necessario, un documento sulla sinodalità perché Papa Francesco, riprendendo lo slancio di rinnovamento iniziato dal Vaticano II e portato avanti dai suoi predecessori ha sottolineato che ciò che Dio chiede alla Chiesa nel terzo millennio è appunto riassunto nella parola “sinodo”. Allora, era opportuno che la commissione teologica internazionale approfondisse questo concetto e ne sviscerasse il significato.

Dare dignità ai laici, al popolo di Dio, è stata una delle grandi sollecitazioni del Vaticano II. Ma ora si tratta, mi pare, di andare oltre, di sperimentare nuovi modi di discernimento e di decisionalità. È così?

La questione fondamentale che il processo sinodale mette in atto nella vita della Chiesa è proprio questa: coinvolgere tutte le componenti del popolo di Dio, sotto l’autorità di coloro che lo Spirito Santo prepone come pastori della Chiesa, in modo tale che tutti possano sentirsi corresponsabili nella vita e nella missione della Chiesa. Il passo in avanti, la soglia di novità che il tema della sinodalità invita a compiere è proprio questo: mettere a servizio gli uni degli altri i rispettivi doni e carismi di cui tutti siamo investiti. Evidentemente i pastori nel loro modo; coloro che esercitano un carisma particolare in un altro; i laici, che sono esperti nelle varie dimensioni della vita civile, culturale e sociale, nel loro specifico modo; e direi, in modo anche particolare, dare spazio al carisma delle donne, alla loro capacità di leggere i segni dei tempi e di generare strade nuove per portare il Vangelo a tutti.

Le cito alcune parole contenute nel documento che sentiamo sempre più spesso da Papa Francesco: discernimento comunitario, ecclesiologia e spiritualità di comunione, dialogo e ascolto, cultura dell’incontro. Che cosa ci dicono queste parole, che volto di Chiesa descrivono?

Tutte queste parole in fondo descrivono un volto di Chiesa e della sua presenza nella vita sociale del nostro tempo sotto il segno della fraternità. Questo significa all’interno della Chiesa passare da una concezione tendenzialmente clericale e gerarcocentrica a una visione più comunionale, in cui i rispettivi ministeri non solo non vengono depotenziati ma, proprio in una logica di reciprocità di relazionalità, vengono messi al loro giusto posto. E nella presenza della vita della Chiesa nel mondo ciò significa immettere il sale, il lievito del dialogo, dell’incontro per costruire quella che anche Papa Francesco ha chiamato non un’alleanza semplicemente tra le civiltà, che già è un gran cosa ed è estremamente difficile, ma per realizzare una “civiltà dell’alleanza”. Una civiltà cioè in cui il principio della reciprocità dello scambio dei doni, del rispetto delle diversità, della convergenza nel camminare insieme, sia il timbro di una epoca nuova e feconda della storia umana.

Una maggiore sinodalità può portare anche passi nuovi in ambito ecumenico?

Assolutamente sì, il tema della sinodalità negli ultimi decenni è stata al centro del dialogo ecumenico. Penso in modo particolare al dialogo tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa e anche tra la Chiesa cattolica e le Chiese nate dalla riforma: il Consiglio ecumenico delle Chiese ha messo al centro del cammino questo tema.

Come fare perché la sinodalità cresca nella Chiesa?

Occorre, come ci invita sempre Papa Francesco, una conversione, occorre cioè per tutti acquisire e interiorizzare i principi di una spiritualità non individuale ma comunitaria, occorre imparare ad ascoltarci, a discernere comunitariamente il significato di una situazione. Ma occorre anche una conversione pastorale il che vuol dire che siano approntate, vissute con serietà e responsabilità quelle strutture, quegli eventi di comunione e di sinodalità che per il vero sono già in gran parte previsti anche alla luce del Vaticano II: i vari consigli, le varie assemblee. È un salto di maturità nella vita della Chiesa che interpella ciascuno.

Adriana Masotti – Città del Vaticano