In realtà ciò che manca veramente agli adolescenti è l’esperienza di ascolto nel corso della vita quotidiana, nei molti momenti “normali” di incontro con adulti: in famiglia, nella scuola, nell’associazionismo.

Ciò che è in gioco, in sostanza, non è tanto la possibilità o meno per gli adulti di conoscere gli adolescenti, conoscere i loro bisogni, desideri, problemi quanto quello di riconoscerli come persone.

Si tratta di accettare l’alterità in quanto tale, di accettare la sfida del porsi di fronte a loro e riconoscerli. Ciò implica mettere in moto un processo di reciprocità, di possibilità di accogliere le diversità dei punti di vista (quello dell’adolescente e quello dell’adulto), di individuazione di spazi per la costruzione di qualcosa in comune

Cosa occorre per poter “ascoltare bene” gli adolescenti?

Possiamo riflettere su tre cose:

  1. Un po’ di emozioni e cioè imparare a sperimentare e vivere il gusto dell’emozionarsi nella relazione;
  2. Un pizzico di fiducia rispetto al fatto che l’adolescente possa dire qualcosa che vale;
  3. Un po’ di attenzione a scoprire il volto dell’altro, personalizzarlo, non considerarlo come tutti gli altri, ma saper entrare in relazione con “quell’adolescente” che mi sta di fronte.

Questi tre “ingredienti” possono già essere una buona miscela per cominciare a vivere buone esperienze di ascolto.

Secondo Claudio Bucciarelli «l’adulto, che vuole entrare in relazione seria con gli adolescenti, deve aprire, dentro di sé, zone di vulnerabilità».

L’autore sostiene che gli adulti spesso pensano che siano gli adolescenti a dover essere vulnerabili nei loro confronti, in realtà è il contrario. Non dobbiamo fare il vuoto dei nostri valori, dei nostri pensieri e idee, ma dobbiamo creare le condizioni perché ci sia posto dentro noi stessi per ciò che l’adolescente ci porta, quindi, creare posto, che è la condizione per creare nuovi spazi di comunicazione. L’autore per “aprire zone vulnerabili” intende:

  1. Far morire, dentro noi adulti, il personaggio;
  2. Far morire, dentro noi adulti, il salvatore;
  3. Far morire, dentro noi adulti, l’insegnate.

Non possiamo costruire una situazione di comunicazione-ascolto con gli adolescenti, se in questa esperienza per noi predomina il ruolo, il salvatore o la volontà dell’insegnante che sa come si deve vivere.

La proposta è quella di una relazione basata sull’autenticità: cioè essere con gli adolescenti così come siamo, con i nostri limiti e le nostre risorse; essere così come siamo accettando la nostra impotenza, accettando di non essere arrivati da nessuna parte con loro, ma di essere ancora in ricerca.