Vi invitiamo alla presentazione del testo con collegamento ZOOM Lunedì prossimo 25 ottobre dalle 18.00 alle 18.20. Saranno presenti alcuni autori. Il link per il collegamento è già stato inviato alle scuole.

Ecco alcuni tralci di invito alla lettura

«In ascolto della bellezza» è nato così, da questa esigenza di ridare alla scuola la dignità di essere il luogo in cui ci si interroga sulla possibilità di incontrare Dio attraverso la letteratura, l’arte, la matematica e il creato; di essere luogo in cui si può realizzare questo incontro, accompagnando gli alunni a comprendere e a sperimentare come l’essere umano, fatto di carne e ossa, intelligenza e visioni, possa entrare in comunione con il Creatore. (Marilisa Miotti – dalla Premessa)

Le parole di papa Francesco sopra citate [Christus Vivit 223] sono più che sufficienti per rendere ragione della fatica fatta per comporre il testo «In ascolto della bellezza» e raccomandarne la lettura. Attraverso una bellezza maggiore il canto di Orfeo ammalia e conquista le sirene, spiazzandole nel loro stesso campo, quello del canto e della bellezza che attira, seduce e appassiona. La strategia – e anche la scommessa – del presente testo, che cerca di rendere sistematica la formidabile intuizione del successore di Pietro, ci invita non a lavorare in forma oppositiva rispetto alla cultura attuale, ma in ottica propositiva rispetto ad essa. È la forza e la debolezza della bellezza, che non ha nulla di costringente e negativo, ma si impegna positivamente a stupire la mente, aprire i sensi, incantare l’esistenza e rallegrare il cuore. (Rossano Sala – dalla Post-fazione)

Ecco allora il nostro problema, in cui si intrecciano costanti dell’umano e tratti culturali del tempo presente: come sostenere le persone nella stagione della loro crescita, sapendo che maturare comporta fatica, impegno e docilità (la disponibilità a lasciarsi istruire) e che d’altra parte la cultura diffusa – e non solo i singoli – non ritiene più che regole, disciplina e obblighi siano qualcosa che concorre alla “realizzazione della propria umanità”? […] La lezione di Taylor non va allora colta come se stesse dicendo che nel contesto della cultura dell’autenticità non c’è più posto per insegnanti, maestri o educatori. Sta piuttosto dicendo che la formazione deve essere un processo di accompagnamento personalizzato e attento alle dinamiche dell’adesione di profondità. Fa dunque parte della formazione e delle “competenze” di insegnanti e educatori la capacità di suscitare persone capaci di muoversi a proprio agio nella dimensione interiore, persone capaci di ascolto e di discernimento, capaci di osservare, di interrogarsi, di cogliere e scegliere autonomamente il bene, persone insomma capaci di sentire profondamente le esigenze della vita e degli altri. (Giovanni Grandi – dall’Introduzione)

Dovrebbe essere chiaro, a questo punto, perché l’antica dottrina cristiana dei sensi spirituali, in quanto insegnamento che presuppone l’esperienza e che la suscita, può essere una grande opportunità di fronte alle sfide educative e pastorali del tempo presente. È chiaro anche, però, che si tratta di una proposta impegnativa, che richiede dedizione, pazienza, passione. […] [Don Bosco ] conosceva inoltre la potenza dell’immaginazione e la necessità di un coinvolgimento integrale dei giovani nel processo educativo. Lo testimoniano le concrete iniziative educative messe in campo in Oratorio prima, nei convitti e nelle scuole poi. […]  Che cosa aggiunge, dunque, la conoscenza della dottrina dei sensi spirituali ad una pratica consolidata ormai da tempo? Credo che possa aggiungere una maggiore consapevolezza del come e del perché queste proposte sono efficaci e che possa aiutare gli educatori ad assumerle con rinnovato slancio, adattarle alle esigenze del tempo e della cultura in cui viviamo e accompagnare i giovani e le giovani che vi sono coinvolti a farne tesoro per la propria vita. (Sr Linda Pocher – dall’intervento fondante: Riscoprire i sensi spirituali. Una sfida per l’educazione)

Entriamo dunque nella nostra classe di piccoli «immemori» eroi. Un primo momento si baserà sull'ascolto, e lo si potrà definire aurale, anche in omaggio a una terminologia che all’analisi della letteratura greca deve molto. Raccontare, affabulare: qui sta la bravura. Dal lato del docente – e perché no, anche di qualche alunno particolarmente intraprendente – il mito potrà valere come educazione alla performance attiva, aiutando cioè ad acquisire una maggiore consapevolezza di sé, oltre che delle potenzialità insite nel modo di raccontare agli altri una storia. […] Dal momento che si insiste molto sull'importanza del teatro come espediente per sondare l'emotività di grandi e piccini, quale modo migliore di farlo che organizzando delle messinscene «mitiche»? L'aula semibuia sarà un antro dentro cui inoltrarsi in compagnia di Ulisse per sorprendere il Ciclope intento a cibarsi. Un intrico di banchi configurerà il labirinto in cui Teseo trionfò sul Minotauro e da cui Dedalo si alzò in volo grazie alle ali da lui fabbricate. (Matteo Marroni – da un intervento della prima area: In ascolto della parola)

Sarà Goethe a mettere in dubbio la visione di Newton: egli ritiene che i colori siano un’esperienza emotiva profondamente legata all’occhio e all’anima dell’uomo che li osserva. Dunque, secondo il poeta romantico, il colore non può essere spiegato solo in modo meccanico e oggettivo ma occorre necessariamente studiarlo tenendo in considerazione i sensi e le emozioni. […] Il pittore russo Vasilij Kandinskij, considerato il padre dell’astrattismo, ha lavorato sul colore per tutta la vita. Per l’artista ogni colore ha un odore, un sapore, un suono, vibra dentro di noi, ci tocca l’anima e ci fa emozionare. Proprio a partire da queste considerazioni l’artista lo descrive sulla base delle sensazioni e delle emozioni che suscita sullo spettatore, quasi come fosse uno strumento musicale che crea una melodia che tocca in profondità chi l’ascolta. Ne «Lo spirituale nell’arte» attribuisce un significato ad ogni colore, associando a questo uno strumento musicale. […] Si procede presentando brani musicali suonati con strumenti diversi e, dopo qualche istante di puro ascolto, si chiederà ai partecipanti di dare forma, attraverso il colore, alla musica. Saranno liberi di creare, seguendo il loro istinto e gli stimoli derivati dall’ascolto dei suoni. (Simona Castelli da un articolo della seconda area: Lo sguardo sull’arte di ieri e di oggi)

Contemplare il cielo, specie quello notturno, ha condotto gli uomini a un «senso spirituale» della vita, in qualche modo a prendere consapevolezza di un oltre sé che circonda, precede e supera. Il cielo è da sempre questo simbolo dell’oltre che fa sentire al centro l’uomo, ma gli ricorda anche la sua caducità in confronto all’eternità e l’ordine di cui è visibilmente portatore. Questo profondo «fascino», che il cielo trasuda specie la notte, ha fatto nascere, in ogni latitudine ed epoca, una grande quantità di miti e di riti. […] Le prime stelle compaiono nell’universo 200-500 milioni di anni dopo il big bang. In questo periodo di tempo l’universo ha conosciuto varie transizioni che he hanno cambiato la connotazione: da un universo di energia a un universo dominato dalla materia (apparentemente!). L’universo «raffreddandosi» ed espandendosi si è via via organizzato prima in «proto stelle» (stelle molto più massicce delle attuali) e poi con la formazione delle prime galassie. Qui, almeno in uno di questi agglomerati di stelle, è nata la vita (come noi la conosciamo), con tutti gli elementi chimici necessari a sostenerla, fabbricati proprio all’interno delle stelle. […] La precarietà dell’universo è simbolo della precarietà della nostra vita che non è custodita principalmente da noi stessi ma da un Altro che l’ha iniziata e la porta a compimento. In questa precarietà troviamo, in realtà, la nostra più originale qualità: quella di essere delle creature amate, senza alcun merito, senza altre finalità se non quella dell’amore. In questa nostra apparente insignificanza troviamo la cura di un Dio che ci ha preparato e offerto un giardino da coltivare e custodire e nel quale è possibile passeggiare con Lui e condividerne l’amicizia. La gloria di Dio non sta semplicemente nella bella creazione ma nel fare della più piccola cosa un gioiello irripetibile da rispettare e amare: questo è l’uomo! (Luca Corona – da un intervento della terza area: Toccare il creato)

L’Amore è un’esperienza di bellezza, è un anelito che pervade tutta l’esistenza. Abita ogni interstizio della nostra storia. Siamo fatti per amare e per essere amati. Quando questo manca la vita vorrebbe abdicare al suo ruolo e fuggire. È magnifico l’amore anche in quei momenti in cui il dolore sembra essere l’unico suo volto. È lancinante l’abbandono, la perdita, la delusione, il tradimento, lo sfruttamento. È esaltante, invece, l’abbraccio, lo sguardo di cura, la carezza della misericordia, l’essere attesi e cercati. Il possesso è il deserto in cui l’amore muore. La libertà il grembo che lo genera continuamente. Amare è un’arte che richiede cura, custodia, dedizione. È un dipinto che rimanda a qualcosa di eterno. Qui solo qualche pennellata, alcuni squarci nella speranza di rinvigorire gli aneliti dell’amore che gemono in noi per poterne custodire e donare la bellezza. (Igino Biffi – da un intervento della quarta area: Il gusto dell’incontro)

Ogni persona partecipa alla bellezza universale e fa parte della stessa bellezza. All’insegnante è chiesto di diventare artigiano di bellezza, saper capacitare i propri studenti per poter abbracciare l’intra-scuola e l’extra-scuola in un unico contesto di sviluppo umano.

Il nostro percorso di accompagnamento degli studenti e delle loro famiglie si concluderà per tutti, universalmente, allo stesso modo: «alla fine ci incontreremo faccia a faccia con l’infinita bellezza di Dio (cfr. 1 Cor 13,12) e potremo leggere con gioiosa ammirazione il mistero dell’universo, che parteciperà insieme a noi della pienezza senza fine» (Laudato Sì 243). (Oscar Tiozzo Brasiola – da un intervento dell’ultima parte: Alcune riflessioni conclusive