Testo evangelico Luca 9,22-26 «Il Figlio dell'uomo, disse, deve soffrire molto, essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, esser messo a morte e risorgere il terzo giorno». Poi, a tutti, diceva: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per me, la salverà. Che giova all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi si perde o rovina se stesso? Chi si vergognerà di me e delle mie parole, di lui si vergognerà il Figlio dell'uomo, quando verrà nella gloria sua e del Padre e degli angeli santi.

Lectio

CONTESTO

Siamo al primo annuncio della passione. Gesù comincia ad insegnare che lui è il Messia Servo ed afferma che, come il Messia Servo annunciato da Isaia, presto sarà messo a morte nello svolgimento della sua missione di giustizia. Il Suo sentiero è il «cammino della croce» e della morte, ma anche quello della Sua glorificazione: «Il Figlio dell’uomo deve soffrire molto, (...) venire ucciso e risorgere il terzo giorno». Il nostro sentiero, essenzialmente, non è differente da quello di Gesù, e ci indica qual è il modo di seguirlo: «Se qualcuno vuole venire dietro a me...». La via del Regno è quella della croce, tanto per il Maestro quanto per il discepolo! Il brano è profezia circa il discepolo: egli vive nella propria carne la stessa passione del suo Signore appena predetta. La nostra vita presente e futura porta impressi i lineamenti di Gesù, il Figlio morto e risorto.

Dietro a me ... Il cammino di Gesù, viene sintetizzato in tre parole: sofferenza, morte, risurrezione. Il nostro sentiero, viene anch'esso costituito da tre aspetti (due atteggiamenti e l’essenza della vocazione cristiana): negare noi stessi, prendere ogni giorno la croce e accompagnare Gesù. Andare dietro a lui, per essere «per sempre con il Signore» (1Ts 4,17): è l’atto supremo di volontà e di libertà dell’uomo, che scaturisce dal dono dell’eucaristia.

È la persona di Gesù («dietro a me») che il discepolo cerca. Per questo lo segue ovunque, perché la sua vita è Cristo (Fil 1,21): «non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20), la mia vita è nascosta con Cristo in Dio (Col 3,3). L’amore per lui che per primo ha amato me (cf. Gal 2,20) spinge me verso di lui, perché l’amore ha la propria vita nell’amato. Il cristianesimo si qualifica per questo amore a Gesù, più forte di ogni altro: più di quello del padre, della madre, della moglie, dei figli e della propria vita stessa (14,26). Non si seguono le sue tracce, ma lui stesso, che realmente si accompagna a noi e ci unisce al suo cammino, facendo il nostro stesso passo. Siamo in cordata con lui, che non solo ha aperto la via, ma la sta ripetendo con noi, e ci fa sicurezza con buoni chiodi, capaci di tenere il peso del mondo e di Dio insieme, in un unico corpo. Non seguiamo la croce, ma lui, il Crocifisso per amore nostro. È questa la forza!

Rinneghi ... Se qualcuno non nega sé stesso e non prende la croce, vuole riaffermarsi ed essere sé stesso, vuole «salvare la sua vita», come dice Gesù. Ma, volendo salvarla, la perderà. Invece, chi cerca di non evitare la sofferenza e la croce, per Gesù, salverà la sua vita. È il paradosso di seguire Gesù: «Che giova all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi si perde o rovina se stesso?». «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua». Gesù chiede di essere amato sopra ogni cosa; esige di venir prima di ogni affetto e di ogni affare. O, se si vuole, pretende di essere il primo affetto e il primo affare. Tutto ciò chiede di operare su ciascuno di noi, iniziando appunto dal cuore. Qui è il luogo ove si sceglie a chi affidare la propria vita: se a se stessi, alla propria carriera, a tanti altri idoli, oppure al Signore. È ovvio che ogni taglio, ogni divisione, richiede sforzo e sacrificio; talvolta, una vera e propria lotta. Essa va combattuta da ogni discepolo. Seguire Gesù significa essere disponibili a percorrere il suo cammino, a prendere su di sé il rifiuto del mondo, l'incomprensione e anche la diffamazione. Ma il termine sarà la risurrezione, la pienezza della vita. Gesù lega il discepolo al suo destino personale. E chiude con una frase davvero strana per noi, ma è la sintesi della sua vita: «Colui che vuol salvare la propria vita, la perderà; chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà». Chi "perde" la vita, ossia chi la spende al seguito di Gesù, l'ha davvero salvata. Non l'ha persa dietro cose vane e illusorie.

Dal Testo alla vita

«I mistici, e tutti coloro che hanno gustato l'intimità con Dio, ci ricordano che il contatto con il Mistero sovrano è sempre contatto con l'Altro, con una volontà che talvolta è drammaticamente dissimile dalla nostra. Obbedire a Dio significa infatti entrare in un ordine “altro” di valori, cogliere un senso nuovo e differente della realtà, sperimentare una libertà impensata, giungere alle soglie del mistero: «Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie, oracolo del Signore. Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre, i miei pensieri sovrastano i vostri» (Is 55,8- 9) (Faciem tuam, Domine requiram, 7).

Questa citazione può essere una buona chiave di lettura del Vangelo, che ci ha consegnato in pochi versetti le parole chiare di Gesù per la sequela. Una sequela che richiede, ancora una volta, la rinuncia di sé e l’accettazione della via della Croce. In un certo senso questa è la via eucaristica che ci permette di affrontare le piccole o grandi prove che incontriamo nella nostra vita e che contribuiscono a trasformarci in Cristo e a fare sì che la nostra vita sia «cristificata». Sappiamo che Cristo si è davvero spogliato di tutto per la nostra salvezza. Noi, che partecipiamo all’eucaristia e abbiamo scelto si seguirlo come Signore della nostra vita, non possiamo sottrarci a questo mistero di annientamento in cui egli si è inabissato. Seguirlo per rivestirci di lui e arrivare a dire come Paolo: «Non vivo più io, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20).

Anche in questo caso «seguirlo», non significa obbedire a questo invito per essere umanamente più al sicuro, ma per inserirsi nella grande corrente di grazia e di verità che fluisce da Dio e ritorna a lui. È importante sottolineare questo «mi segua» che è l’invito all’intimità con Lui per poter far fronte a tutte le imprese della vita. È la strada per crescere nella fortezza interiore.

Di conseguenza, il progresso nella preghiera, nell’intimità con lui determina un progresso nell’obbedienza e nella fortezza. E la pienezza dell’obbedienza è in se stessa la pienezza dell’amore. In altre parole, quando ami la preghiera e trovi in essa il tuo equilibrio spirituale, entri in comunione spirituale con Cristo. Nella preghiera, dunque, cominci con l’incontrare Cristo, poi lo ami ed entri in comunione con lui, infine partecipi realmente alla sua vita e alla sua croce. Questo fidarsi e affidarsi diventa il «vero vantaggio e guadagno dell’uomo».

Obbedienza è gioia e consapevolezza di essere figli e per questo la consegna a Lui, attraverso il voto di obbedienza, diventa la pienezza di questa felicità, non solo un «prestito», ma completezza, maturità, fortezza, totalità di gioia. In questa consegna, ovviamente, non si devono fare calcoli nel dono di sé, è necessario essere davvero pronti per un impegno radicale, perché con il Signore non ci possono essere mezze misure. Seguire Lui è una sequela radicale, è una «consegna unita a quella di Cristo nella Eucaristia». Per questo l’Eucaristia è il momento più alto, profondo e completo di obbedienza.

Ha scritto il cardinale Anastasio Ballestrero, maestro di vita consacrata: «Di Cristo siamo, di Cristo vogliamo essere e di Cristo dobbiamo diventare ogni giorno di più: Cristo è il mio Signore. Siamo di Cristo, siamo spazio per la sua presenza nel mondo. Siamo spazio per la sua grazia in mezzo agli uomini. Deve diventare vero che siamo di Cristo e non nostri e che nessuno è il nostro Signore se non lui. Appartenere a Cristo, essere di Cristo dovrebbe colmare tutta la nostra vita. La sua presenza di Signore con me consacra continuamente tutta la mia vita. Dobbiamo abbandonarci al Signore, seguirlo, ascoltarlo, imitarlo, averlo sempre davanti agli occhi e nel profondo del nostro cuore, essere sempre più disponibili ad essere meno perché lui sia di più. Nella preghiera e nella vita io devo fare poco: devo lasciar fare, e devo diventare arrendevole, devo diventare disponibile perché lui mi prenda, perché lui faccia di me ciò che vuole. Dobbiamo allenarci alla disponibilità, ad una radicale docilità per cui siamo davanti a Dio come creature arrese, creature vinte perché sopraffatte, perché questo è l’unico modo di offrirci al Signore. C’è bisogno di una dedizione a Dio senza limiti. Noi in fondo dobbiamo solo ascoltare e dire «Fiat» come Maria che non sa altro che dire «sì», consegnando la nostra vita al Signore». (Parlare di cose verissime)

Per avviare il confronto comunitario

  1. Rileggi con calma il testo del vangelo. Chiediti cosa significa per la tua vita che il Suo sentiero è il «cammino della croce» e della morte.
  2. Andare «dietro a Lui» significa avere un amore a Gesù, più forte di ogni altro. Valuta la tua chiamata a partire da questo rimanere «dietro a Lui». Cosa potenziare e cosa eliminare?
  3. Gesù pretende di essere il primo affetto e il primo affare. Rinnegare tutto significa spendere tutto per Lui? Quindi? Puoi dire che il tuo «amore per Lui» è totale?
  4. Obbedire a Dio significa entrare in un ordine “altro” di valori. L’obbedienza a Lui è la nostra forza. Nel servizio educativo sentiamo e sfruttiamo questa forza interiore?

Per la Preghiera

Vergine Maria, Madre di Cristo e della Chiesa, volgi lo sguardo sugli uomini e sulle donne che il tuo Figlio ha chiamato a seguirlo nella totale consacrazione al suo amore: si lascino sempre guidare dallo Spirito, siano instancabili nel dono di sé e nel servire il Signore, così da essere fedeli testimoni della gioia che sgorga dal Vangelo e annunciatori della Verità che guida l’uomo alle sorgenti della Vita immortale. Amen! San Giovanni Paolo II