Perché la “nonviolenza” diventi uno stile di vita è indispensabile cominciare dal cuore umano da cui scaturiscono aggressività e prepotenza. Ecco perché gli educatori che sono impegnati a costruire una cultura ecologica non possono dimenticare questo aspetto. Un percorso educativo alla “nonviolenza” in chiave ecologica richiede prima di tutto l’acquisizione di competenze centrate sulla persona e di quelle orientate all’attenzione all’altro, al gruppo e all’organizzazione sociale. La “nonviolenza” è strettamente connessa alla cultura della cura che si esprime come amore sociale, chiave del vero sviluppo. A livello politico, sociale, economico, culturale, la cura sostiene il desiderio di costruire un mondo migliore. Ogni azione in questa direzione, per quanto modesta, contribuisce a costruire un mondo libero dalla violenza, passo concreto verso la giustizia e la pace.

La “nonviolenza” come cura del creato si fonda sull’etica dei principi e della responsabilità. Pertanto si riferisce ai valori, ai principi e alle convinzioni, ma tocca anche le conseguenze pratiche dell’agire. Come la cultura della cura, l’etica della responsabilità si esprime nella vita sociale e corrisponde all’atteggiamento di colui che si impegna a realizzare il bene comune e di conseguenza nel suo agire è attento all’impatto che avrà su di esso. Il senso di responsabilità spinge a considerare le conseguenze del proprio agire e orienta a scegliere in funzione di quelle ritenute migliori o quelle con minori conseguenze negative rispetto alla realizzazione del bene comune. La consapevolezza del creato come dono da custodire deve tradursi in atteggiamenti e azioni concrete; tale convinzione porta la persona a impostare una relazione con il mondo improntata alla “nonviolenza”, alla cura, alla sobrietà, alla reciprocità e armonia, alla cittadinanza attiva e creativa. Principi questi da tradurre in veri e propri itinerari educativi.

Se la persona non valorizza le proprie peculiarità di conoscenza, volontà, libertà e responsabilità per entrare in relazione con le altre creature in modo giusto, si verifica il rischio della rottura che porta al conflitto e alla violenza. L’aggettivo giusto rimanda alla necessità di agire in modo giusto per vivere relazioni giuste. Vivere le relazioni in questo modo implica un modo di agire prettamente umano: occorre in definitiva la capacità di trasformare la cultura della violenza in cultura dell’incontro per arrivare a costruire un umanesimo solidale.

Educare le nuove generazioni alla “nonviolenza” è restituire la speranza che è possibile realizzare una società solidale e risolvere i conflitti non con la forza delle armi, ma con quella dell’amore reciproco.

La “nonviolenza”, intesa come forza positiva della giustizia e della responsabilità, si manifesta anche attraverso il rifiuto della passività e dell’indifferenza, dello sfruttamento intensivo della terra, dell’inquinamento e dello spreco, in particolare della guerra che ha un impatto ambientale devastante. In questo senso la “nonviolenza” va sempre coltivata per una reale sostenibilità. Il modello di sviluppo attuale risulta insostenibile dal punto di vista sociale, ambientale ed economico. Serve qualcosa di diverso dove l’innovazione e la tecnica siano chiamate a perseguire il benessere sociale; il cambiamento è chiamato ad essere produttivo, a generare profitti equi, tendere al rispetto dello spazio e delle risorse naturali, a garantire un livello di vita adeguato a tutta la popolazione.

Ti consiglio di leggere: B. Bignami, Un'arca per la società liquida. La moralità nel cambiamento d'epoca, EDB, Bologna 2016.