Gesù viene ad abitare in mezzo a noi, vive con noi e mostra una passione infinita per le persone mentre polemizza fortemente contro la mentalità del mondo. Riprendiamo la scena della presentazione di Gesù al tempio e le parole del vecchio Simeone: “Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti, segno di contraddizione”. Questo segno di contraddizione riguardo la mentalità del mondo è la vita religiosa.

La profezia della vita religiosa è mostrare la contraddizione del nostro modo di essere e di fare che è diverso dalla mentalità del mondo. Se viviamo e pensiamo come il mondo perdiamo la nostra profezia. Il nostro esercizio dell’ascolto, della cura, dell’amore verso i più piccoli e i poveri, è l’aspetto della vita di Gesù che noi incarniamo e rendono LUI a noi contemporaneo.

Ognuna di noi, attraverso il proprio carisma rappresenta Gesù. Essere segno di contraddizione vuole dire quindi accettare di essere minoranza, perché andare controcorrente è difficile, è faticoso, ma è normale perché diventa segno di contraddizione rispetto alla mentalità del mondo.

Non dobbiamo prendercela con questa fatica. Guai se siamo come il mondo! Tutti abbiamo paura di questa pandemia, tutti siamo nella stessa barca, ma c’è un modo di vivere questa emergenza che è diverso. Il battezzato vive diversamente il modo di stare nel mondo e noi che professiamo i tre consigli evangelici di povertà, castità e obbedienza mettiamo in discussione la logica del mondo.

Non dobbiamo relegare i voti alla disciplina perché così non c’è profezia, tanto meno se li leggiamo in chiave moralistica. Sono queste le due derive attraverso cui possiamo tradire la logica del vangelo: la norma e il moralismo.

Ricuperiamo quindi la profezia che è nascosta nei voti.

Povertà. Quale logica del vangelo è nascosta nel voto di povertà? La povertà non riguarda la materia (avere più o meno cose), ma la relazione che io ho con le cose. Se cerco di riempire il “vuoto” che è in me con le cose, non vivo la profezia. Siamo infatti chiamati a portare una differenza: vivere in modo sano la relazione con le cose, costruire una relazione sana con la materia, con il creato. Gesù al Giordano riceve la dichiarazione del Padre: “Tu sei il mio figlio prediletto”, poi lo Spirito lo porta nel deserto per la tentazione. È lo Spirito che ci porta nelle situazioni di prova per vedere se sono davvero figlio, oppure schiavo. Gesù si dichiara Figlio là nel deserto. Le prove a cui siamo sottoposti nascondono una profonda esperienza spirituale perché ci obbligano a tirare fuori il carisma oppure a distruggere quello che è contrario. La prova ci aiuta a diventare più autentici, a smascherare quello che non va. È saggezza imparare a leggere i momenti difficili come provvidenza. Gesù viene tentato quando è più fragile: ha fame. “Di’ a queste pietre e di diventare pane”. Gesù risponde: “Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”. Qui è nascosta una chiave di lettura. Ciò che conta non ce lo danno le cose: è la Parola che parla anche nella mia mancanza. Viviamo la mancanza di vocazioni? Impariamo a leggere: non di sole vocazioni vive la nostra Famiglia religiosa, ma della parola di Dio. Siamo chiamate e mostrare al mondo una relazione diversa con le cose; il vangelo ci interpella. Non ci dice la soluzione. Gesù invita, ma non obbliga. Il primato di Dio sulle cose!

Castità. Abbiamo purtroppo un’idea riduttiva riguardo il voto di castità perché ci fermiamo all’aspetto affettivo/sessuale. Invece la castità è instaurare relazioni nuove con le persone. Come ragiona il mondo? Usa un atteggiamento predatorio: piegare l’altro a me, uso l’altro per coprire il mio vuoto esistenziale: è del mondo la logica possessiva. La castità è la profezia della relazione. Il dono di sé. I poveri sanno donare, sanno condividere, anche quello che non hanno. Noi possiamo avere ferite, come tutti, ma questo non può essere una scusa per non donarsi. Guai a mettere la fissazione su queste ferite! Donare la vita ci guarisce! Nella vita comunitaria manchiamo di castità quando viviamo la logica delle pretese. Questa persona mi è antipatica? Allora sono chiamata ad amarla, a mettere lei al primo posto. Questa è la profezia della castità. Questa è la vittoria della castità in termini relazionali. Chiediamoci: qual è la qualità delle nostre relazioni? Non c’è gioia più grande che donare la propria vita. Questa cosa è visibile ed è profezia nel mondo di oggi dove la famiglia è in crisi proprio perché sono in crisi le relazioni. Dare la vita ti fa crescere.

Obbedienza. Questo voto rischia di essere frainteso se considero l’obbedienza come una “strategia di guerra” nel senso di obbedire solo perché i superiori lo dicono. Questa non è obbedienza. Attenzione perché qui c’è il pericolo di manovrare le coscienze. L’obbedienza evangelica è come quella di Gesù: “Io dono la vita da me stesso; nessuno me la toglie”. Gesù va sulla croce non per “obbedire” ciecamente a un comando del Padre, ma perché accetta e dona la vita spontaneamente. Gesù va alla croce da Figlio, da uomo libero. Io mi devo prendere la responsabilità di quello che mi viene chiesto. Vivere l’obbedienza non è questione solo esecutiva. Scelgo ciò che magari non ho scelto. Decido di obbedire e faccio quello che mi viene chiesto. Vivere liberamente ciò che mi viene chiesto e questo implica una relazione nuova con noi stessi. Non siamo chiamati a mostrare al mondo il sacrificio, ma la gioia, la libertà, non semplice esecuzione di un comando. “Chi ci separerà dall’amore di Cristo?” dice san Paolo. L’amore di Dio è l’unica cosa che ci dà vita. Tutto il resto ci può essere tolto. È per amore di Cristo che decidiamo di essere povere, caste, obbedienti e anche solo il desiderio di voler vivere così è già testimonianza.

Al termine della relazione vengo presentate a don Luigi alcune domande le cui risposte possiamo così sintetizzare:

- Suggerimento per “cambiare la mentalità” acquisita. L’inizio di tutto è il desiderio. Partire dal desiderio di cambiare e coltivare questo desiderio. Ogni riforma può verificarsi perché la persona decide di camminare nelle vie di Dio.

- Quale formazione? La dimensione spirituale raccoglie tutta la personalità, quindi occorre trovare cammini formativi che maturano anche l’umano. La vita comunitaria è il luogo dove ognuno di noi può fare discernimento sulla propria santità: accogliere la correzione come strumento privilegiato. Lo stare insieme è strumento privilegiato per aiutarci a camminare nella santità. La vita fraterna ci salva

- Il nostro servizio di superiore può aiutare? L’unico modo per aiutare altri a camminare verso la santità è viverla noi. Il potere è servizio, ma ci vuole molta umiltà e soprattutto saper incassare lo stress. Alcuni suggerimenti: accogliere senza turbarsi; non prendersela; saper sorridere; avere buonumore; accettare di non poter fare tutto; ammettere di essere fragili e capaci di sbagliare; avere qualcuno con cui poter parlare liberamente. Siamo persone penultime l’ultima parola è di Dio!

- I simboli. Sì, abbiamo demolito l’apparato simbolico. Il cuore della persona funziona davanti a una esperienza, non davanti a un pensiero.

- L’immagine di Dio. Quello che è da rivedere è l’immagine di Dio abbiamo. Nella parabola di Luca 15, tutti e due i figli hanno idee sbagliate sul Padre. Noi viviamo male i voti per l’immagine distorta di Dio: quando pensiamo “devo meritarmi il suo amore” penso a Dio come “un padrone da compiacere”. Il moralismo è un modo di pensare distorto. Bisogna continuamente distruggere l’immagine di Dio che mi creo per riprendere quella che ci presenta Gesù.

- Come presentare lai giovani la vocazione religiosa? Le persone si accorgono se sono felice oppure no. La bellezza della vita consacrata non si può fingere. Siamo felici? Si vede davvero che siamo felici?

- La logica del vangelo. La logica del vangelo è la GIOIA. Occorre mostrare la radicalità dell’amore non il sacrificio (esempio di una mamma che si dona totalmente ai figli ammalati). Non presentarci come “buon esempio”, ma come testimonianza. Il testimone non nasconde la fatica che fa. È umano.

- Devozionismo. Nella vita spirituale c’è bisogno di essere accompagnati. Abbiamo bisogno della Chiesa. La vita spirituale è quella che fa lo Spirito Santo dentro di noi. Se la mia spiritualità produce disprezzo dell’altro non ho vita spirituale (ricordare la parabola del fariseo e il pubblicano). Non confondere la pratica con la vita spirituale.

- Frutto di studio o di esperienza? Frutto di tutti e due. Ho studiato e pregato.

- Web. Vita reale e vita virtuale. Può passare del bene anche attraverso il web. Non demonizzare nulla, ma non confondere. La lampada va collocata in alto, dice Gesù. Il bene che facciamo può essere messo in alto, ma la guida spirituale non può essere via internet.

La biblista Rosalba Manes inizia la sua relazione con la lettura del brano biblico di Ezechiele al capitolo 37 (la visione profetica delle ossa aride) e invita ad accogliere il soffio dello Spirito che dischiude davanti a noi orizzonti nuovi. Questo scenario ci aiuta a riflettere sulla situazione che ci troviamo a vivere: la pandemia con il suo strascico di morte, di incertezze, di difficoltà. Ci accorgiamo che la nostra fede è affaticata. Eppure la vita consacrata porta in sé la profezia perché siamo chiamate ad essere annunciatrici di vita dove regna la morte.

Anche il profeta aveva davanti a sé una visione di morte, ossa aride, desolazione, sfiducia, eppure Dio vuole che il suo profeta annunci la vita; vuole che i suoi consacrati siano portatori di vita là dove c’è la morte. Possiamo meditare il brano biblico riflettendo su queste parole:

1) “Mi disse” – la grazia della parola profetica

2) “Mi portò fuori” – la grazia del deserto

3) “Potranno rivivere” – il precursore: Dio non agisce da solo

4) “Profetizza” – Dio sceglie i suoi profeti

5) “Rivivrete” – vedere la vita dalla prospettiva futura.

1) “Mi disse”. La grazia della parola profetica. Accogliere la Parola è accogliere un supplemento di anima. Diceva già san Giustino: i cristiani sono nel mondo quello che è l’anima nel corpo. La Parola ci illumina. La Parola rischiara il cammino. La Parola ci rende capaci di profezia. La Parola di Dio proietta il popolo verso un futuro pieno di speranza. Anche per la vita consacrata è così perché la vera Profezia nasce dall’ascolto della Parola. Il profeta accoglie la Parola e proclama la vita. La Parola di Dio tocca, colpisce, lavora il profeta e gli fa vedere che cosa sta già operando, ma il profeta deve sintonizzare i suoi sentimenti con il sentimento di Dio: la compassione. Il profeta si contraddistingue per la compassione. Non tollera l’ingiustizia. Ha coscienza di essere espropriato, deve lasciarsi lavorare dalla Parola per poter camminare nella visione. Così la Vita Consacrata, deve lasciarsi plasmare dalla Parola per diventare luce, ma non brilla di luce propria, deve solo diventare trasparente della luce che porta dentro. La lettera di Papa Francesco ai consacrati invita a “svegliare il mondo” con la profezia, a interpretare gli eventi come la sentinella del mattino. Compito più che mai attuale perché noi corriamo il rischio di addormentarci. Lasciamoci svegliare dalla Parola perché il mondo ha bisogno dei profeti che sono come gli occhi dell’umanità. Senza occhi il popolo non sa muoversi. Non ci sono profeti tra noi allora spostiamoci nel deserto.

2) “Mi portò fuori”. La grazia del deserto. Il profeta è portato fuori perché solo nel deserto si ascolta la Parola di Dio senza impedimento. Il deserto parla di morte, di bestie selvatiche, di terra solitaria. Lì si ascolta la Parola. Nel deserto ci troviamo davanti alle difficoltà primordiali e possiamo toccare con mano la nostra profondità interiore. Il deserto è spoglio, è apprendistato della Provvidenza per capire che non si vive di solo pane ma di ogni Parola che esce dalla bocca di Dio. Il deserto è il percorso della gestazione del cuore per passare dalla schiavitù al servizio. È tirocinio. È la condizione teologica dove la Chiesa matura nel silenzio parole e stili significativi per dialogare con il mondo. Il deserto è matrice dove nasce l’uomo nuovo. Anche Gesù sceglie questo luogo per essere tutto dedicato al Padre. Nel deserto trova spazio la parola profetica del precursore.

3) “Potranno rivivere”. Nel deserto Dio prepara il suo precursore. Dio non agisce da solo, coinvolge le sue creature. Il precursore è chiamato a preparare la via di Dio perché nel deserto trova il suo habitat la Parola. Giovanni Battista si allontana da una religiosità ossessiva e va nel deserto. Si lascia “scavare l’orecchio” per poter indirizzare una parola allo sfiduciato, per avere una lingua da iniziati. La parola di Dio scende nel deserto su Giovanni. Già prima l’angelo Gabriele aveva detto: “Sarà grande davanti al Signore, sarà colmato di Spirito Santo, ricondurrà molti figli d’Israele al Signore”. È un uomo messo da parte da Dio per Dio. Preparerà un popolo ben disposto. Giovanni visse in luoghi deserti: la maturazione avviene nel silenzio. L’inviato di Dio deve portare il popolo alla conversione. Anche Gesù riconosce il tratto profetico del Battista: “È più di un profeta, è l’Elia che deve venire”. Il precursore indica che Gesù è presente. Ecco la profezia della vita consacrata: indicare il Messia presente nella storia. Aiutare il popolo ad andare oltre le apparenze. Giovanni indica il Messia: “Eccolo è Lui” mostrando uno di cui si conosce l’origine: “Non è il figlio di Giuseppe?”. “In mezzo a voi c’è uno che non conoscete”. Giovanni inaugura il tempo della Chiesa: rivelare la presenza nascosta di Cristo nel mondo. Come la profetessa Anna che indica in Gesù il Redentore. Giovanni accoglie la Parola che lo spinge a rivelare il Signore, ma anche a denunciare il male: “Non estorcete denaro, non maltrattate, non rubate più”. Grida e vuole svegliare i dormienti che vanno verso il Giordano perché le incrostazioni dei loro peccati vengano rimosse. La vita consacrata attrae chi cerca ristoro. Anche scribi e farisei vanno ma non si coinvolgono. Is 43. Voce di uno che grida nel deserto. Gesù è la Parola, Giovanni è la voce e quando c’è la Parola la voce non conta più. “Io devo diminuire lui deve crescere”. Il nostro ruolo nella Chiesa è quello di rivelare la presenza di Dio nel mondo, manifestare la sua tenerezza.

4) “Profetizza”. Il mondo ha bisogno dei profeti. C’è ancora chi profetizza. La Chiesa è fondata sugli apostoli e sui profeti. Dalla pentecoste a tutti i battezzati è dato il dono della profezia. I profeti incoraggiano e rafforzano nella fede. La profezia edifica, conforta ed esorta. Il Concilio ha ricuperato il carisma profetico che richiede una profonda esperienza di Dio, discernimento, familiarità con la Scrittura. La vita consacrata abilita alla vita. Ci permette di contrastare ciò che nel mondo divide e separa per vedere il filo rosso che unisce le cose del cielo e quelle della terra.

5) “Rivivrete”. Vedere la vita dalla prospettiva futura. Profezia è scoprire le orme di Dio nella storia perché il Signore agisce qui, adesso. Dal traguardo si coglie il senso della vita. Con il battesimo siamo vivi tornati dai morti, partecipi della liturgia celeste. Se mi vedo già risorto posso vivere meglio la mia vita qui sulla terra perché già adesso sono partecipe della liturgia celeste. Siamo chiamate a mostrare che la vita consacrata è la nuova tenda dell’incontro tra Dio e il popolo. “Vidi un cielo nuovo e una terra nuova. Vidi la città santa scendere da Dio come una sposa pronta per lo sposo e udii una voce: ecco la tenda di Dio tra gli uomini”. Il potere del male viene vinto perché il mondo è saturo della presenza di Dio. Dio ha posto la sua tenda in mezzo a noi. La città è un agglomerato di mura rigide. La tenda è flessibile. Custodire la Parola. Impregnarci della Parola del Risorto perché chi custodisce la Parola diventa erede, vive da Figlio e insegna a vivere da Figlio di Dio. È infatti possibile arrivare al trono della grazia non da servi, ma da figli. La vita filiale dispiega la vita fraterna e la vita evangelica manifesta la maternità di una Chiesa che sa compatire, amare, curare. Accoglienza, prossimità, vicinanza sono le caratteristiche della vita consacrata che è “la vera tenda di Dio tra gli uomini” e questo amore ci porta al di là di ogni limite e di ogni paura.

La relatrice infine risponde alle domande sottolineando l’importanza di vivere in questo tempo così “nebuloso” e incerto con Speranza e Amore curando le relazioni fraterne in comunità proprio adesso, tempo favorevole, perché la vita non è attiva come prima della pandemia. Vivere la fede, la speranza, la carità, curare la vita interiore e le relazioni, testimoniare la gioia di appartenere a Cristo: questo fa della vita consacrata la PROFEZIA che è necessaria oggi.