Testo evangelico Luca 13,18-21: “Diceva dunque: «A che cosa è simile il regno di Dio, e a che cosa lo rassomiglierò? È simile a un granellino di senapa, che un uomo ha preso e gettato nell'orto; poi è cresciuto e diventato un arbusto, e gli uccelli del cielo si sono posati tra i suoi rami». E ancora: «A che cosa rassomiglierò il regno di Dio? È simile al lievito che una donna ha preso e nascosto in tre staia di farina, finché sia tutta fermentata».

Lectio – CONTESTO. Il brano precedente dice che il Regno c’è già ed è all’opera nel mondo. Ora si dice come. Ha un’apparenza trascurabile e insignificante, quasi invisibile, e ci vuole discernimento per riconoscerlo. Il regno del Padre, aperto ai bambini, agli occhi dei potenti è una realtà piccola e fallimentare: un seme che marcisce! Ma proprio così rivela la sua forza vitale, spontanea e specifica, di diventare pianta. Per accorgersi della sua presenza e della sua azione, bisogna volgere lo sguardo verso ciò che non conta: Dio realizza il suo disegno con ciò che è piccolo, disprezzato e nulla. (1Cor 92 2,4ss). Queste parabole sono criteri di discernimento per vedere il disegno dall’alto, come lo vede Dio: ciò che capitò a Gesù nella sua storia, capita al suo regno nella nostra storia. Sono quindi parabole cristologiche, che tracciano la storia di Gesù, il seme che produce vita attraverso la morte, il lievito che agisce solo nel nascondimento! Diventano parabole della chiesa, delle nostre comunità, di ognuno di noi, chiamati a seguirlo. Diventano parabole utili per comprendere che il seme che muore produce una «moltitudine» che è una forza vitale da accompagnare, guidare e orientare!

Il regno di Dio. Innanzitutto è «di Dio» e non «dell’uomo». Il Regno può essere espresso solo in similitudini, sia perché è inesprimibile direttamente, sia perché tutto ciò che c’è è sua espressione e immagine. Infatti tutto il creato è un riflesso del Figlio, gloria del Padre. Solo in lui vediamo direttamente il nostro volto di figli, di cui avevamo perso memoria. È interessante il fatto che non si dica a che cosa paragonerò il principio del Regno, la sua crescita, il suo compimento. Si afferma invece: il Regno di Dio è simile a un granello di senapa, è simile a un po’ di lievito. Il Regno di Dio è già compiuto nel suo inizio, e in tutta la sua storia. Il Regno di Dio è qui ed ora. Regno di Dio vuol dire: Dio c’è. Dio vive. Dio è presente e agisce nel mondo, nella nostra/nella mia vita. Dio è la realtà più presente e decisiva in ogni atto della mia vita, in ogni momento della storia (J. Ratzinger, Discorso al Convegno dei catechisti, 10 dicembre 2000). Un granellino. Grosso poco più di una capocchia di spillo, Marco lo chiama «il più piccolo di tutti i semi che sono sulla terra» (4,31). Come la Parola (8,4-15), così ora anche il Regno è paragonato al seme. Il seme è una forza vitale invisibile, ma irresistibile, che germina secondo la sua natura, ed esplica proprio morendo tutta la sua potenzialità di vita. La storia del Regno, o del seme, è la stessa di Gesù: «il più piccolo fra tutti» (9,48), consegnato nelle mani degli uomini, fu «preso e gettato» fuori le mura. Il seme cresce solo se muore (Gv 12,24). Questo è il suo mistero: produce la vita oltre la morte. Mentre tutto il resto, morendo, imputridisce per sempre, esso diventa pianta fiore e frutto! Una «moltitudine» appunto! La morte non può vincerla su di lui; lo fa essere ciò che è: vita che vince la morte! È l’albero della croce! Le caratteristiche del Regno sono quelle di Gesù: non è grande ma piccolo; «non prende», ma è preso; non è importante, ma è gettato via; non sta nella città, ma fuori. E muore. Ma così rivela la sua vera natura di seme: morendo dà vita, germina, cresce e diventa albero. In lui il Verbo «pose la sua tenda in mezzo a noi, e noi vedemmo la sua gloria» (Gv 1,14). In lui, seme gettato via e cresciuto nell’albero della croce, ogni uomo trova dimora nella gloria di Dio: ritrova il proprio volto di figlio, che riverbera la luce del Padre. Il lievito non è qualcos’altro dalla farina; ma la rende altra e fa lievitare la pasta. Anch’essa descrive il Regno dei Cieli come una realtà storica in divenire, ossia piccola all’inizio, quasi impercettibile, ma vitale e dinamica, che, attraversando gli avvenimenti storici generazionali, si manifesterà definitivamente nella sua maestosità. Ecco il contrasto: un inizio miserevole ma con una fine grandiosa. Il lievito di cui parla Gesù era un minuto pezzetto di pasta cruda, la quale viene fatta inacidire in maniera naturale. Ma cosa significa far fermentare la pasta? A cosa richiama la figura del lievito? Nell’usare l’immagine plastica del lievito, Gesù ha voluto risaltare non solo la venuta del tempo della salvezza (già evidenziata nella parabola del seme di senape), ma anche la sua azione poderosa e inarrestabile. Un aspetto interessante della parabola del lievito è l’esagerazione di cui Gesù volutamente fa uso: il lavoro fermentatore del lievito è sproporzionato rispetto alla misura della farina (appena tre misure, che corrispondeva a 39 kg di farina). Gesù parla di una grande quantità di farina capace di sfamare centinaia di persone. È certo che nessuna massaia impastava una gran quantità di farina. Ciò che a Gesù interessava era che gli uditori potessero carpire l’importanza del messaggio che sottostava all’immagine della farina: il Regno dei Cieli possiede in sé una straordinaria potenza, sebbene fosse insignificante nel suo manifestarsi nella storia. L’efficacia del Regno non è efficienza mondana, ma continuazione della storia di colui che fu rigettato e nascosto nella grotta del giardino! Chi vuol vedere la gloria, consideri ciò che nella pasta del mondo è spregevole, nascosto, ma lo trasforma. Il lievito non solo è nascosto. È anche disperso e diffuso. Sono la vita per i tre giorni della storia umana: oggi, domani e sempre (vv. 31s). Solo così tutta la pasta del mondo passerà dal lievito dei farisei a quello del Regno: attraverso la pochezza e l’umiltà. Diversamente, nonostante tutta la buona volontà, non si fa che intralciare il lavoro di Dio nella storia.

Dal Testo alla vita. In sintesi con le parole di Papa Francesco (14/06/2015) «La seconda parabola utilizza l’immagine del granello di senape. Pur essendo il più piccolo di tutti i semi, è pieno di vita e cresce fino a diventare «più grande di tutte le piante dell’orto» (Mc 4,32). E così è il Regno di Dio: una realtà umanamente piccola e apparentemente irrilevante. Per entrare a farne parte bisogna essere poveri nel cuore; non confidare nelle proprie capacità, ma nella potenza dell’amore di Dio; non agire per essere importanti agli occhi del mondo, ma preziosi agli occhi di Dio, che predilige i semplici e gli umili. Quando viviamo così, attraverso di noi irrompe la forza di Cristo e trasforma ciò che è piccolo e modesto in una realtà che fa fermentare l’intera massa del mondo e della storia. Da queste due parabole ci viene un insegnamento importante: il Regno di Dio richiede la nostra collaborazione, ma è soprattutto iniziativa e dono del Signore. La nostra debole opera, apparentemente piccola di fronte alla complessità dei problemi del mondo, se inserita in quella di Dio non ha paura delle difficoltà. La vittoria del Signore è sicura: il suo amore farà spuntare e farà crescere ogni seme di bene presente sulla terra. Questo ci apre alla fiducia e alla speranza, nonostante i drammi, le ingiustizie, le sofferenze che incontriamo. Il seme del bene e della pace germoglia e si sviluppa, perché lo fa maturare l’amore misericordioso di Dio».

- l regno di Dio è in cammino. E non solo il regno «non è fermo», ma, di più, il regno di Dio «si fa» tutti i giorni.

- Lievito e seme sono in cammino per «fare» qualcosa. E anche «il regno è così». Non si tratta di «un problema di piccolezza», per cui si può pensare: «è piccolo, è poca cosa, o cosa grande». È, piuttosto, «un problema di cammino», e proprio nel cammino «succede la trasformazione».

- Qual è l’atteggiamento che il Signore chiede da noi, perché il regno di Dio cresca e sia pane per tutti e abitazione, anche, per tutti? La risposta è chiara: «la docilità». Infatti il regno di Dio, cresce con la docilità alla forza dello Spirito Santo.

Questa realtà del regno di Dio, si rivela presente e decisiva nella morte. Come per il seme, come per il lievito. Come per Gesù. Il Regno è laddove tutto scappa dalle mani e non si può più controllare; laddove non si comprende nulla di quanto sta accadendo, al limite esatto oltre il quale ci attendono la disperazione, l’esaurimento, la resa. Il Regno di Dio è Cristo stesso adagiato su quel limite, il suo sepolcro che si fa terra e farina, ciò che sono, oggi, le nostre esistenze. Il chicco caduto in terra infatti, se non muore resta solo. Il Signore gettato in questo mondo come un banalissimo chicco di Vita, abbandonato in un giardino, giustiziato su una croce, sepolto in una grotta, ha salvato una moltitudine immensa, e tra questa anche noi. È Lui che fa della nostra vita il suo Regno, proprio laddove essa ci viene strappata. Gesù ci attende oggi al capolinea dei sogni e dei progetti, dell’amore e degli affetti, degli ideali e delle filosofie, della politica e della finanza; Egli ci attende per riscattarci, per colmarci di Lui, della Sua vita piena ed eterna. Non è morte, è vita! Non è sepolcro, è Regno di Dio! «La solitudine insuperabile dell’uomo è stata superata dal momento che Egli si è trovato in essa. Nella sua profondità l’uomo non vive di pane, ma nell’autenticità del suo essere egli vive per il fatto che è amato e gli è permesso di amare» (J. Ratzinger, Omelia per il Sabato Santo). Il granello di senapa, il lievito, l’umana e carnale insignificanza, costituiscono l’autenticità del nostro essere; spogliati di ogni maschera sperimentiamo che non viviamo di pane e che siamo nati per divenire pane; laddove tutto ci è tolto si erge, vittorioso, l’amore di Cristo, quale unica fonte e ragione di vita. Gettati nella storia come un granello di senapa, impastati nei giorni come lievito, siamo chiamati ad essere, in Cristo, cittadini del Regno di Dio: esso è in noi e con noi visita la storia, i luoghi della nostra vicenda umana, per divenire un albero capace di accogliere – tra le nostre braccia crocifisse – gli uccelli del cielo, immagine biblica dei popoli pagani. La nostra insignificanza redenta fermenta i mille non senso che atterriscono gli uomini, schiudendo loro le porte del Regno. Così, il martirio silenzioso di ogni giorno che ci attende, incruento e quindi neppure eroico, rivela l’autenticità e il valore della nostra vita.

Per avviare il confronto comunitario

  1. Rileggi con calma il testo del vangelo. Chiediti cosa significa per la tua vita essere ed entrare nella logica del «seme» e del «lievito».
  2. Il Regno di Dio è qui ed ora. Dio c’è. Di conseguenza convertirsi significa «volgersi a Lui». Passa in rassegna la tua giornata e verifica tutte le azioni piccole o grandi che siano, se sono realmente vissute nella consapevolezza che Dio c’è, che il suo Regno «si fa», che è «cammino».
  3. Quale itinerario per migliorare e rafforzare la «logica delle piccole cose» che il Vangelo ci propone?
  4. Confrontatevi comunitariamente sul tema della «moltitudine» e il «Regno di Dio» applicate alla vostra realtà.

Per la Preghiera: MANDACI, O DIO, DEI FOLLI. Mandaci, o Dio, dei folli, quelli che si impegnano a fondo, che amano sinceramente, non a parole, e che veramente sanno sacrificarsi sino alla fine. Abbiamo bisogno di folli che accettino di perdersi per servire Cristo. Amanti di una vita semplice, alieni da ogni compromesso, decisi a non tradire, pronti a una abnegazione totale, capaci di accettare qualsiasi compito, liberi e sottomessi al tempo stesso, spontanei e tenaci, dolci e forti. Madeleine Delbrel