Come può Gesù permettere che un suo amico si ammali, soffra e muoia? Questo interrogativo, sorto certamente nel cuore dei suoi amici, tocca anche noi quando la comunione con il Signore sembra smentita dalla minaccia della morte… Ma Gesù esclama: «Questa malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio, perché per essa il Figlio di Dio sia glorificato», ovvero è un’occasione perché si manifesti il peso che Dio ha nella storia e così si manifesti la gloria del Figlio.

Dopo essersi trattenuto due giorni dove si trova, Gesù decide di andare in Giudea. I discepoli lo mettono in guardia, ricordandogli che là poco prima i suoi avversari cercavano di lapidarlo (cf. Gv 10,31), ma Gesù replica che nel breve tempo prima dell’ora delle tenebre deve operare ciò che il Padre gli ha chiesto, per rivelare al mondo la sua luce. E aggiunge: «Lazzaro s’è addormentato, ma io vado a svegliarlo»; poi, vista l’incomprensione dei discepoli, dichiara apertamente: «Lazzaro è morto e sono contento per voi di non essere stato là, perché voi crediate. Andiamo da lui!». Quando Gesù giunge a Betania, il suo amico è già morto da quattro giorni. Marta gli va incontro dicendogli: «Signore, se tu fossi stato qui mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualsiasi cosa chiederai a Dio, te la concederà». Essa crede in Gesù e, sollecitata da lui, confessa la propria fede nella resurrezione finale della carne. Ma Gesù la invita a compiere un passo ulteriore, facendole la rivelazione decisiva: «Io sono la resurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore vivrà; chi vive e crede in me, non morrà in eterno», cui Marta risponde prontamente: «Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio veniente nel mondo».

Anche Maria corre incontro a Gesù e, gettandosi ai suoi piedi, esclama a sua volta tra le lacrime: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». Vedendo piangere lei e quanti l’accompagnano, Gesù freme di commozione per l’ingiustizia della morte, si turba per la morte di colui che ama e scoppia in pianto. Gesù, uomo come noi, ha realmente provato questi sentimenti: più volte si è sentito turbato dal male che sfigurava gli uomini e qui, in particolare, soffre per la morte di un caro amico. Il suo dolore è segno del suo amore intenso per Lazzaro, come capiscono anche i presenti: «Vedi come lo amava!».

Ancora profondamente commosso, Gesù va al sepolcro e là, lui che è la vita (cf. Gv 14,6), ingaggia un duello con la morte: chiede di togliere la pietra dalla tomba, alza gli occhi al cielo e dice: «Padre, ti ringrazio perché mi hai ascoltato, io sapevo che tu mi ascolti sempre». Gesù prega affinché quanti si trovano intorno a lui comprendano che egli è l’Inviato di Dio: Gesù non è autoreferenziale, non accentra l’attenzione su di sé, ma agisce perché attraverso di lui gli uomini possano risalire a Dio! E la risposta di Dio giunge immediata, percepibile nella parola efficace di Gesù, che compie ciò che dice: «Lazzaro, vieni fuori!». Gesù aveva annunciato «l’ora in cui coloro che sono nei sepolcri udranno la voce del Figlio di Dio e ne usciranno» (cf. Gv 5,28); ecco un’anticipazione di quell’ora: Lazzaro, morto e sepolto come accadrà a Gesù, esce dalla tomba ancora avvolto dalle bende, e con la sua resurrezione profetizza la resurrezione di Gesù.

Sì, Gesù strappa le sue pecore alla morte, non permette che nessuna di esse venga rapita dalla sua mano (cf. Gv 10,27-28). Questa è la sua gloria, gloria dell’amore, anche se all’apparenza egli sembra sconfitto: in cambio di questo gesto riceve infatti una sentenza di morte dalle autorità religiose (cf. Gv 11,46-53); ma chi ha l’intelligenza della fede riconosce che l’amore di Gesù vince anche la morte. Ecco la consapevolezza con cui camminiamo verso la Pasqua: noi non siamo soli, siamo gli amici di Gesù, e anche nella morte egli sarà accanto a noi per richiamarci alla vita con il suo amore.

Da https://alzogliocchiversoilcielo.blogspot.com/2020/03/enzo-bianchi-commento-vangelo-29-marzo.html#more