Piuttosto qualcosa di molto serio da riconoscere: il messaggio del Papa è molto bello nel suo richiamare il legame dell’atto di alzarsi con un verbo di risurrezione. Nei suoi diversi passaggi è straordinario per come conduce i giovani a riconoscere che è già risurrezione uno sguardo che vede il dolore e la morte e nello stesso sguardo di condivisione la possibilità generativa di incontri e relazioni. È commovente il suo invito alla compassione, alla pietà «fino alle viscere» del dolore altrui. È forte il richiamo che attraverso l’impegno dell’autentico amore umano si può rendere presente il tocco Divino di Gesù che fa risorgere: essere generativi come Gesù è il condensato ogni vocazione cristiana. Insomma il messaggio è un cammino di realizzazione dell’umanesimo cristiano.

Mettersi in moto. Nello stesso tempo i richiami al contesto di vita nel quale i giovani si trovano immersi (facilmente riscontrabili da chiunque, basta guardarsi attorno) dicono quanto possa essere difficile alzarsi e rimettersi in movimento. Nella primavera di due anni fa si svolse a Roma l’incontro presinodale di trecento giovani da tutto il mondo. Insieme al grande fermento ed entusiasmo di quei giorni di lavoro, ricordo un pensiero che mi attraversò quando i giovani stessi produssero il documento finale. Erano molto schiette le affermazioni su cosa i giovani chiedessero alla Chiesa, agli adulti e al mondo. Rivelavano una decisa coscienza di se stessi, tendevano a manifestare la consapevolezza di voler essere riconosciuti, non risparmiavano agli adulti appunti e critiche. Ne ero felice: mi sembrava stesse “montando” un’energia che avrebbe potuto fare bene alla Chiesa e al mondo. Nello stesso tempo, però, non si leggeva nessuna dichiarazione di impegno: il documento era una lunga lista di richieste alla Chiesa degli adulti, ma non si scorgevano disponibilità a forme particolari di responsabilità. Verso i propri coetanei, verso le fragilità e le solitudini che i coetanei manifestano in mille modi (o subiscono); non si era ancora manifestata la sensibilità giovanile verso la questione ecologica. Perché il ricordo di questo passaggio? Perché mi sembra riveli con chiarezza la ragione per cui bisogna riconoscere in questo messaggio del Papa una certa tendenza ad essere sferzante. I giovani non vanno solo accarezzati, blanditi come fossero una specie in via di estinzione. Hanno bisogno di sfide, altrimenti la vita apparirà ai loro occhi come una passeggiata insignificante. Alzarsi proprio mentre tutti, attorno a te, ti dicono di stare fermo. È la sfida che il Papa chiede di vivere come «svolta culturale»: una svolta che gli stessi adulti fanno fatica ad accettare dentro e fuori la Chiesa, ma che potrebbe avere un sussulto significativo se cominciasse a muoversi nel cuore dei giovani.

Infiammare il cuore degli educatori. La stessa sfida va fatta propria da chi assume il compito di educarli, accompagnandoli in quel grande attraversamento che dall’adolescenza li porta alla maturità. È una sfida che ancora spaventa: i ripiegamenti sono rassicuranti, ma come potrà arrivare ai giovani una sfida del genere se nello stesso tempo non infiamma il cuore degli educatori? Dal Concilio in avanti un’istanza è stata messa al cuore dell’esperienza pastorale: sentire l’affanno, il respiro del mondo attorno a sé; il soffio dello Spirito. Ci vuole una certa e coltivata attenzione, una cura attenta e sensibile agli incontri per tenere vivo l’anelito dell’aperto contro il rischio del soffocamento. Nell’invito del Papa ad alzarsi, c’è fiducia nei sogni e negli slanci di chi è giovane perché il suo alzarsi sia provocazione per tutti: «Vi ripeto nella mia lingua materna: hagan lìo! Fatevi sentire!».

Una provocazione anche per gli adulti. Un messaggio così accorato chiede di trasformarsi in una invocazione e provocazione per gli adulti, altrimenti essi saranno come sabbia negli ingranaggi, favorendo quel clima culturale che sembra blandire i giovani, ma in realtà non offre loro provocazioni responsabilizzanti, spazi di messa alla prova di sé, terreni di sfida dove potersi esprimere. Una svolta culturale non chiede qualche evento spot. Chiede possibilità di progettare, di trovare spazi di lavoro, di essere nella condizione di costruire stabilmente legami per potersi aprire ai vicini e al mondo. Di nuovo: è un cammino da fare insieme. Tenendo conto che non è difficile contare sull’entusiasmo di ogni giovinezza. Più difficile è contare sull’appoggio di chi, di fronte alla vita, non staccherà mai il corpo dalla propria sedia perché prigioniero delle proprie disillusioni e comodità. Non scherziamo: a stare comodi, di questi tempi, non sono certo i più giovani.

Da https://giovani.chiesacattolica.it/la-sfida-ad-alzarsi-nel-messaggio-per-la-gmg/?fbclid=IwAR3H72K-qJWsuOYwOtXxV118w0HnTjVRuI_F1G5VJJJKp0Cx-_ukXLBeei8