Quando sr Gioconda moriva, a 51 anni, Maria Mori di anni ne aveva 25 e si stava laureando a Pisa in Scienze Naturali. Quando invece sr Angiolina andava ad occupare il secondo posto, sr Mori non solo aveva capito in quale vigna il Signore la chiamava a lavorare (così ha dichiarato nella prima e ultima intervista concessa), ma aveva già cominciato a fare carriera, come si direbbe in termini laici, ma per sr Mori si trattava di un nuovo SI’, un’obbedienza, come dicono le suore, che la portava fuori dalla Toscana, ma, peggio, lontana dal mare.

Forse era Casale Monferrato, o Torino. Nebbia, comunque.

Sr Mori, dovunque è andata, da Torino a Roma, trascurando tutte le altre sedi, ha lasciato il segno. Le ex-educande, le Exallieve, le sue consorelle, tutte hanno di lei un ricordo personale, tutte la riconoscono “capitana di avventure pensate con determinazione e coraggio!” Così nel ricordo della sua comunità di Livorno.

Una suora salesiana “tutta d’un pezzo”: semplice, schiva, essenziale (= elbana), appassionata della sua missione di educatrice e di insegnante. Una FMA “imprevedibile” nel cercare e trovare strade impensabili per educare alla bellezza della natura.

Il Porticciolo dove è cresciuta e le Fornacelle, sono stati per lei scuola di bellezza. Il vento e la forza del mare hanno scolpito la sua personalità e definito la sua spiritualità. “Ovunque il guardo giro, immenso Dio, ti vedo!”. E sr Mori lo sguardo lo spingeva sempre oltre, dalla terra, dove raccoglieva ogni essere vivente animale e vegetale (che conservava nel suo discutibile museo personale), alle stelle, che ogni sera alle Fornacelle contemplava, fissando estasiata la stella polare, sempre stupita come se fosse la prima volta che la vedeva e come se a Pisa non le avessero insegnato niente!

È stata ricordata la sua vivida intelligenza, i suo occhi arguti capaci di accorgersi di tutti, specialmente se piccoli e bisognosi. Ma era anche originale, profonda, creativa. Libera, soprattutto LIBERA. La libertà dei figli di Dio. Come quando stupì la gente di Rio Marina per il funerale del fratello più piccolo e amatissimo, Italo. Scesa dalla nave con il carro funebre e la salma, invece di dirigersi verso la chiesa, come logica avrebbe voluto, lei fece deviare il carro verso una direzione diversa. Portò Italo al Porticciolo, davanti al mare, per un ultimo, intimo, momento di grazia. Sr Mori non amava il mare, sr Mori “era” il mare. E chi ha un po’ di familiarità con questo elemento del creato, sa cosa vuol dire.

Del mare ogni giorno si ha una percezione nuova, il mare ogni giorno mostra di sé un aspetto diverso che sempre meraviglia e affascina, il mare cambia colore e umore, nasconde segreti di cui, quando vuole, ci dà piccole anticipazioni, ma solo perché possiamo continuare a credere nelle sue profondità e nel suo mistero. Anche quando è agitato, ci si fida e ci si affida, perché ne riconosciamo la grandezza. Ma sempre, sempre, sul mare aleggia lo Spirito di Dio. Così sr Mori. Grazie, era quello che diceva per ogni piccola attenzione ricevuta, e GRAZIE lo diciamo noi, oggi, a lei.

Un altro aspetto che le consorelle hanno ricordato di sr Mori è la sua capacità di essere assistente salesiana sempre, esempio e sprone per tutte. Durante l’intervista citata, volle così riassumere l’essenza della sua vita: “Vivere per i giovani, stare tanto con loro, spendere la vita per la loro salvezza. Per questo, tra i tanti incarichi che per obbedienza mi sono trovata a ricoprire, quello che più mi è piaciuto è aver fatto l’assistente, vivere accanto alle ragazze giorno e notte”. E le ragazze, che con lei hanno vissuto giorno e notte, possono confermare che non solo si sentivano assistite, ma amate. (Lina Gemelli per TOSCANA Oggi)

 

INTERVISTA A SR MARIA MORI, SUORA SALESIANA – Sr Maria Mori, classe 1927, è una Figlia di Maria Ausiliatrice, con una vita consacrata al carisma salesiano da 64 anni, da quando, impegnandosi per un anno e poi per sempre, promise di restare fedele a quella scelta.

Sr Mori, cosa ricorda degli anni che precedettero la chiamata ad entrare in noviziato? I miei primi anni li ho vissuti in una famiglia molto religiosa, mia madre e mio padre, quando non navigava, andavano a Messa tutte le mattine. Qualche volta andavo anch’io, a differenza dei miei fratelli; ho frequentato l’asilo, come si diceva a quel tempo, dalle suore salesiane, ma non era una scelta, tutti frequentavamo quella casa a Rio Marina. Poi i miei genitori si trasferirono a Genova, per essere più vicini a mio padre quando sbarcava. Lì ho compiuto il mio corso di studi nelle scuole statali.

E la “chiamata” come e quando è arrivata? Io, come la mia sorella, pensavo di sposarmi, di avere una famiglia. Ma ad un certo punto, ho sentito nel cuore che quella non era la mia strada. Il Signore mi chiamava, ma io non riuscivo a capire dove dovevo seguirlo, in quale vigna voleva che andassi a lavorare.

Mi sta dicendo che il Signore non parlava chiaro? In un certo senso è così. Non ho avuto una suora-tutor che in qualche modo mi abbia seguito e indirizzato. Io sentivo, chiaramente, che volevo fare la volontà di Dio. Forse era bastato l’esempio in famiglia a farmi crescere con il cuore aperto e pronto all’ascolto. Allora mi sono rivolta ai sacerdoti, non ad uno in particolare, non un direttore spirituale. Ho pensato anche che il Signore mi volesse in clausura: quando chiama, si pensa di dargli il massimo. Ma qualcuno di quei sacerdoti mi ha detto che non era quella la vigna.

E come ha trovato, o meglio, ritrovato le salesiane? Sì, ritrovato, in fondo erano le suore del mio paese, quelle della mia infanzia.

Quando la chiamata è stata chiara, come hanno reagito i suoi genitori? La mia mamma piangeva tutti i giorni, tanto che il mio papà arrivò a dirle: “Senti, se non la smetti, non andiamo più in Chiesa!” Non so se voleva essere una punizione o fare un ultimo tentativo, una contrattazione con Gesù!

E poi? Poi tutto è andato per il meglio. I miei genitori erano troppo religiosi per ostacolare l’azione dello Spirito. Sono andata a Livorno, dove ho fatto il noviziato e dove ho preso i voti perpetui. Intanto frequentavo l’università a Pisa. Avrei voluto laurearmi in matematica, ma le superiore mi fecero iscrivere a scienze naturali. In fondo è la stessa cosa.

Una volta suora, dove ha vissuto? Ho cambiato diverse case: Montecatini Terme, Torino, Casale Monferrato, Roma, Livorno ed ora eccomi a Rio Marina. Ho insegnato, fatto l’assistente delle educande, come si chiamavano allora le ragazze che vivevano da interne nei nostri collegi, la direttrice e l’ispettrice.

Una bella carriera! Oggi, guardando indietro, c’è qualcosa che non rifarebbe o farebbe diversamente? Assolutamente niente. Sono contenta della mia vita, sono serena.

Qual è, sr Mori, il segreto per arrivare alla sua età e poter dire quello che ha appena detto? Fare sempre la volontà di Dio.

Anche se, in un certo senso, le Figlie di Maria Ausiliatrice le ha trovate per caso, cosa apprezza di più del carisma salesiano? La sua essenza, vivere per i giovani, stare tanto con loro, spendere la vita per la loro salvezza. Per questo, fra i tanti incarichi che per obbedienza mi sono trovata a ricoprire, quello che più mi è piaciuto è aver fatto l’assistente, vivere accanto alle ragazze giorno e notte.

Pensa che sia ancora attuale il carisma salesiano? Oggi più che mai. I giovani, in fondo, sono sempre gli stessi e chiedono ancora oggi le stesse cose: vogliono essere ascoltati.

Oggi don Bosco come si comporterebbe? Passerebbe molto tempo con loro. Bisogna instaurare con i ragazzi una relazione in continua evoluzione, se loro cambiano, gli adulti devono cambiare con loro. Fra loro ci deve essere un rapporto di reciproco rispetto e condivisione.

Ora, sr Mori, cosa farà? Alla mia età posso fare poco, non ho un compito preciso da svolgere, ma vado all’oratorio e sto con i ragazzi, come posso, ma cerco di continuare a fare quello che fa una suora salesiana: mi siedo in cortile e sto lì mentre giocano a pallone, “Amate le cose che amano i giovani!” diceva don Bosco. (Lina Gemelli-Exallieva di Montecatini)

 

LA TOMBA DI SUOR GIOCONDA (di sr Angiolina e di sr Mori) – Era l’ottobre inoltrato del 1954. In una stanza, all’interno del cimitero, erano depositate, da un lato, alcune casse contenenti i marmi per la tomba monumentale di sr Gioconda, deceduta a Livorno nell’aprile del 1952. Nel lato opposto della stanza, in attesa della tumulazione definitiva, la salma della suora salesiana, tanto cara ai riesi, era provvisoriamente tumulata a terra. Mancava solo di prendere l’iniziativa e realizzare la costruzione della tomba.

Unanime era stato il desiderio dei cittadini, alla notizia della scomparsa di sr Gioconda, di darle sepoltura nel cimitero di Rio Marina e unanime era stata la volontà di realizzare per lei una tomba monumentale, come si era fatto per i due sacerdoti, Don Salvi e Don Andrea.

Si era intanto di ottobre e la tomba non era stata ancora costruita. Il ritardo era dovuto, purtroppo, al cattivo stato di salute di chi aveva preso l’incarico per la realizzazione dell’opera. Un tardo pomeriggio di quell’ottobre inoltrato, ci trovammo quindi in un gruppo di amici: Leone, Luigino di Barbara, i tre fratelli Ornani, Mario, Manlio e Millo, Paolo Paoli ed altri. Venne lanciata la proposta: “Andiamo a costruire la tomba di Suor Gioconda al cimitero?”. La risposta di tutti non poteva che essere affermativa. Facemmo subito un sopralluogo, ci venne indicato il terreno assegnato da tempo, aprimmo le casse che contenevano la bella statua di Maria Ausiliatrice e le varie lastre di marmo del basamento. “Cominciamo subito” si disse, “per il 2 novembre la tomba deve essere a posto”. Forse l’entusiasmo e la non poca faciloneria, ci impedirono di valutare appieno le difficoltà del lavoro, l’imperizia di molti di noi, lo scarso tempo a disposizione. Tuttavia l’impegno era preso e non potevamo tornare indietro. Dato che alcuni di noi di giorno lavoravano, per realizzare quell’opera non restava che la sera, dopo cena. Il primo appuntamento fu fissato per la stessa sera, alle nove. I primi momenti furono difficili. Non tutti, o meglio pochi, si sentivano a proprio agio in quel camposanto. C’erano pochissimi punti luce, l’acqua per gli impasti della calce doveva essere attinta molto lontano. Si andava in due. Il lavoro andò avanti per molte serate e questa fu l’ennesima dimostrazione di quanto le nostre suore erano amate nel nostro paese.

Via via, al primo nucleo di lavoratori notturni altri se ne aggiunsero e non mancò, in verità, la consulenza di amici esperti, addetti all’ufficio tecnico delle miniere, che ogni tanto facevano una visita ai lavori in corso, prodighi di consigli e di suggerimenti. Alla data prestabilita la bella tomba monumentale fu completata e così la mattina del 2 novembre 1954 le spoglie di sr Gioconda, collocate al suo interno, furono benedette.

Alla cerimonia c’era tutta Rio Marina. Fu una dimostrazione di affetto e di gratitudine che commosse il fratello di sr Gioconda e gli altri suoi familiari, invitati per la circostanza. (Da C. CARLETTI, “Racconti riesi, Riesità”, La Collana dell’Arcipelago, Portoferraio, 2001, pp.70-71)