Risulta quindi evidente che l’educazione si ha solo nel momento in cui qualcuno accompagna qualcun altro nel difficile compito del discernimento dei saperi e dei valori: «ciò che educa è l’atteggiamento in cui un insegnante dimostra la sua “modalità vivente in rapporto con il reale» (Giussani, Realtà e giovinezza, 177).

Queste osservazioni vorrebbero essere una importante occasione di ripensamento del valore e dell’importanza che ha l’educazione oggi per i giovani, i quali, sono sempre più esposti alla solitudine e peggio ancora all’estraniazione da se stessi, dalla società e dal mondo. Quindi occorre essere ben consapevoli della condizione in cui versa oggi il giovane e la società, per poter comprendere meglio quali proposte e linee educative siano più pertinenti per rispondere ai bisogni di oggi. Questo è necessario se gli educatori voglio crescere umanamente e professionalmente per poter essere veri e autentici compagni di viaggio per chi è loro affidato.

Tre attenzioni per educare

È urgente coltivare uno sguardo desideroso di capire, di conoscere, di mettere in evidenza ciò che contraddistingue l’era contemporanea, con lo scopo di custodirla e rigenerarla verso una più autentica umanizzazione. È ancora più urgente abilitarsi a individuare percorsi dove altri vedono solo muri, è il saper riconoscere possibilità dove altri vedono solo pericoli (cf Christus vivit n. 67).

La capacità di accompagnare i giovani offrendo loro percorsi corrispondenti alle loro attese più vere, ha il significato di saper «accompagnare i giovani nel loro discernimento vocazionale. Quando abbiamo l’occasione di aiutare un altro a discernere la strada della sua vita, la prima cosa è ascoltare. Questo ascolto presuppone tre sensibilità, attenzioni distinte e complementari» (Ibid, n. 291). Queste sensibilità possono incarnarsi in tre indicazioni, necessarie all’azione educativa contemporanea: «la prima sensibilità è attenzione alla persona. Si tratta di ascoltare l’altro che si sta offrendo a noi con le sue parole. Il segno di questo ascolto è il tempo che dedico all’altro» (Ibid, n. 292); «la seconda sensibilità o attenzione consiste nel discernere. Si tratta di cogliere il punto giusto in cui si discerne la grazia dalla tentazione», e per farlo «bisogna avere il coraggio, l’affetto e la delicatezza necessari per aiutare l’altro a riconoscere la verità e gli inganni o i pretesti» (Ibid, n. 293). «La terza sensibilità o attenzione consiste nell’ascoltare gli impulsi che l’altro sperimenta “in avanti”. È l’ascolto profondo di “dove vuole andare veramente l’altro” [… è attenzione] all’intenzione ultima, che è quella che alla fine decide la vita, perché esiste» (Ibid, n. 294).

Questi punti sono trasversali a qualsiasi tipo di educazione, sia essa laica o religiosa; ogni insegnante educatore dovrebbe porli al di sopra di ogni cosa, al di sopra della sua stessa materia d’insegnamento.

Altro elemento decisivo è riscoprire il ruolo della tradizione, della memoria, del passato. Occorre farsi carico anche delle radici, perché dalle radici viene la forza che farà crescere, fiorire e fruttificare (Cf ibid, n. 186). È evidente che un albero fruttifica solo se è ben ancorato ad un terreno buono. Ma fruttifica, se sa trarre gli elementi che lo vivificano, se sa di cosa ha bisogno: nel nostro contesto se il giovane è stato educato al pensiero critico, in modo da trarre le risorse necessarie per la sua crescita.

Le «radici non sono ancore che ci legano ad altre epoche e ci impediscono di incarnarci nel mondo attuale per far nascere qualcosa di nuovo. Sono, al contrario, un punto di radicamento che ci consente di crescere e di rispondere alle nuove sfide» (Ibid, n.200).