“La afflizione è la percezione della pace che ha luogo nella quiete contemplativa, è la delizia di una speranza gioiosa che zampilla nel cuore dal di dentro del lutto.” I discepoli non vengono piegati, amareggiati, distrutti dalla sofferenza, ma la portano con speranza e fiducia, non la esorcizzano. Il discepolo non cerca arbitrariamente il dolore ma lo sopporta per amore di Gesù Cristo quando gli viene imposto dalla vita. Colui che fu crocifisso è la sua consolazione.

L’afflizione del discepolo è evangelica se a causa della tirannia del proprio io sente la propria povertà davanti al mistero di Dio e attende da lui consolazione. Sente l’oscurità del silenzio di Dio. Sente l’afflizione per la propria lontananza dalle attese del suo Signore. Enrico Susone nel suo libro “Il piccolo libro dell’eterna Sapienza” insegna come servirci delle sofferenze senza cercarle. Narra di aver udito l’Amore eterno dirgli queste parole: “Non posso sopportare che l’anima si rivolga con gioia e piacere ad altri che a me: perciò chiudo tutte queste strade con spine; blocco ogni varco con ostacoli, e, perché non mi sfugga, cospargo il suo cammino di tribolazioni.” All’origine dunque dell’afflizione evangelica sta l’assenza dello Sposo. Mt 9,14-15. “Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto mentre lo sposo è con loro? Verranno però i giorni in cui lo sposo sarà loro tolto, e allora digiuneranno”. Anche l’Amata del Cantico ha sofferto l’afflizione per l’assenza dell’Amato: Sul mio letto lungo la notte ho cercato il mio diletto, ma non l’ho trovato. Cc 3,1-3. È questa l’afflizione del mistico.

L’afflizione e la missione. Paolo parla dell’accettazione della croce di Cristo che incontra per essere evangelizzatore e testimone. “Quanto a me invece non ci sia altro vanto che nella croce di Cristo, il Signore, per mezzo del quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo”. Gal 6,12-14. “E questo perché io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la partecipazione alle sue sofferenze, diventandogli conforme nella morte”. Fil 3,10ss. Così si arriva al capovolgimento delle logiche e alla accettazione dell’esistenza paradossale del discepolo di Cristo. Il discepolo del Crocifisso sa che la sua missione non può prescindere dalla croce e dalla persecuzione, dalla tentazione e dalle incomprensioni, dai fallimenti. Perché nessuno si lasci turbare in queste tribolazioni. Voi sapete che a questo siamo destinati. 1Tess 3,3.

L’afflizione nella psiche. Coloro che seguono il Signore sentiranno nella loro carne il peso della sofferenza e dell’afflizione spirituale e psichica. È il momento della “prova” in cui si fanno presenti: insuccessi, paure, tristezze, incomprensioni, solitudini, perdita di significato della propria scelta, apatie… Allora è assolutamente necessario con pazienza e fiducia ricuperare i valori centrali per i quali abbiamo accolto la chiamata alla sequela di Cristo, non ripiegarci sul proprio io, evitare di accartocciarci in noi stessi, nei nostri calcoli e ragionamenti. Ricordiamoci inoltre che gran parte di queste afflizioni psichiche sono dovute ad assenze strutturali o formative: alla non curanza del raccoglimento, alla mancanza di riflessione personale, di conoscenza di se stessi e a quella cura minima di igiene mentale necessaria per il nostro equilibrio psichico. Spesso a queste cause si aggiunge la povertà di espressioni contemplative e di profonda amicizia con il Signore. Ci sono poi le afflizioni nella nostra quotidianità causate da forme di comunicazione superficiali e inadeguate, da silenzi prolungati e indecifrabili, da discussioni astratte, che non toccano veramente la sostanza dei problemi della comunità. Non mancano talvolta a generare afflizione le reazioni frequenti di aggressività, sotto forma di accuse, critiche, attacchi personali, la mancanza di fiducia reciproca, la mancanza di riservatezza, l’impossibilità, da parte di un membro della comunità, di avere accesso alle informazioni che lo riguardano. Uno stile di vita dei membri della comunità caratterizzato da marcato individualismo, gelosia, invidia e da formazione di sottogruppi chiusi in se stessi, da istituzionalizzazione dei rapporti interpersonali e formalismo dove ci si limita a una correttezza formale nel trattarsi vicendevolmente, diventano cause di sofferenza psico-spirituale. Non mancano, nel generare nelle persone forme di sofferenza e di scontentezza, le caratteristiche di personalità del soggetto stesso: forme accentuate di timidezza, immagine negativa di sé, atteggiamenti di invidia e gelosia, attese di tipo infantile nei confronti della comunità. A tutto questo si può aggiungere uno stile di guida che non presta attenzione ai bisogni delle persone, non le responsabilizza, le fa sentire come semplici forze-lavoro da utilizzare a seconda delle necessità, con forme di favoritismo. Oppure l’organizzazione della vita comunitaria, che non valorizza i talenti delle persone e propone attività non significative per i membri. L’esperienza della vita non manca di metterci davanti alla perdita di un ruolo vissuto come significativo e importante da parte della persona, la situazione di progressivo invecchiamento con l’eventuale progressiva emarginazione rispetto alle iniziative e alle scelte dell’Istituto. Beati noi se sapremo fare di queste afflizioni una occasione preziosa per la nostra crescita e maturazione nella fede e nella vita spirituale.

La funzione purificatrice dell’afflizione. Nel la esperienza cristiana-religiosa, la beatitudine della afflizione ha una funzione purificatrice: libera la persona e la rende più capace di aprirsi all’esperienza di Dio. L’afflizione costruisce l’uomo dal di dentro, togliendo tanti disordini interiori, temprando tante fiacchezze, allenando alla virtù, al dominio di sé, alla docilità alla volontà di Dio. Tullo Goffi, grande maestro di spiritualità, afferma: Quando la nostra natura è pienamente assecondata nelle sue sensibilità, nelle sue istintività, si fa ottusa, pesante, opaca. Si perde la scioltezza, l’elasticità dello spirito. Invece la difficoltà, la fatica, la prova, maturano, mettono l’uomo in condizioni di maggior prontezza e di maggiore disponibilità delle proprie energie. Si direbbe che nella necessità la natura esprime meglio le sue potenzialità. Oggi è piuttosto diffusa l’idea che la vita cristiana vada spogliata da tutta questa ascesi faticosa.

Se vogliamo davvero raggiungere la libertà spirituale, la trasparenza interiore, dobbiamo passare per la lotta e l’ascesi. Questa va intesa non soltanto come accettazione nella nostra vita religiosa di cose che ci possano far soffrire, ma come un atteggiamento fondamentale della vita cristiana: liberazione! Se siamo pigri, rassegnati qualunquisti, rituali…il nostro indice di permeabilità da parte di Dio è povero e a volte persino nullo. Il nostro itinerario verso Dio non è concepibile senza un impegno costante e sereno di una ascesi che libera il cuore ed eleva la mente fino, a volte, a godere l’estasi dell’abbandono e della contemplazione.

Tra le afflizioni sono da annoverare le prove della vita spirituale. La vita spirituale conosce difficoltà e prove di vari tipi. Incontriamo la tentazione, l’aridità o l’impotenza nel pregare e nel credere, la distrazione, la lotta interiore, il dubbio... A volte le prove passano come raffiche di burrasca. Ma a volte diventano come costanti della vita e magari coprono lunghi periodi. Possono essere frutto della nostra non-corrispondenza alla grazia, della nostra pigrizia. Ma possono essere anche frutto di un misterioso disegno di Dio, specialmente quando si tratta di quelle purificazioni spirituali che il Signore intraprende di sua iniziativa e mediante le quali scava nella vita di una creatura ad una profondità che lui solo può raggiungere: perché nessuno come Dio può entrare tanto profondamente nella vita di una persona. È questo il caso della afflizione della fede! È qui che accade qualche cosa di misterioso. Al buio la superbia si ridimensiona, la sicurezza di sé ci abbandona e il bisogno di Dio diventa un grido. Il Signore stritola tutta la presunzione, tutta la sapienza, tutta la dottrina, tutta la cultura di un’anima credente e l’abbandona ad un buio inesorabile, dove non ci sono argomenti che valgano né ricordi che riescano ad emergere. È il deserto inesorabile di una fede ridotta a nudità e ad impotenza. Eppure, se una fede non passa per queste strade non cresce. Rimane epidermica, incapace di diventare l’unica luce e l’unica certezza della vita. Vive grama, nel compromesso, con tutte le altre certezze umane, con tutte le altre saggezze puramente terrene. Da questa notte tenebrosa si esce con lo spirito semplificato e con una gioia serena e tranquilla di conoscere il Signore, che è principio di vera beatitudine. Non mancano neppure le afflizioni della preghiera. Alle volte la nostra preghiera conosce molte afflizioni perché noi siamo distratti, superficiali. Ma altre volte è il Signore che si fa muto, che si fa assente, che si fa lontano, che sembra rifiutare l’anima, che sembra non rispondere, che fa paura quando l’anima è macerata da queste afflizioni. L’incontro con Dio è beatitudine, e per arrivare a questa beatitudine bisogna passare per l’afflizione di spirito. Santa Teresa d’Avila, ha passato diciotto anni nell’impotenza più nera. Diciotto anni nella incapacità di pregare e nella tenace fedeltà a perseverare nella preghiera. Lei stessa confessa: “Molti giorni non so quale grave penitenza avrei volentieri subita, piuttosto di raccogliermi a fare orazione. Era così violenta la forza che il demonio e le mie perverse abitudini mi facevano per allontanarmi dall’orazione, ed era tanta la tristezza di cui mi sentivo inondare appena entravo in oratorio, che per vincermi avevo bisogno di fare appello a tutte le mie energie, e infine il Signore mi aiutava» (Libro della mia vita, VIII, 7). Quello della Santa non è un esempio straordinario. Specialmente per chi segue la vita spirituale con impegno. A questo proposito, ci lascia una bella similitudine. L’anima è come un cristallo purissimo, capace di diventare una cosa sola con la luce di Dio, che è il sole. Però, l’anima è un cristallo purissimo sommerso nel bitume più nero e vischioso. Perché l’incontro della luce con il cristallo si compia, bisogna che questo cristallo si liberi dalla pece e acquisti il suo splendore. Allora, riflettendo il sole, sarà quasi una cosa sola con il sole. Sarà un miracolo di luce dove l’anima conoscerà la beatitudine, perché conoscerà e incontrerà il Signore (Castello Int. 2). È l’esperienza della preghiera. Anche la carità fraterna normalmente è un itinerario di afflizione. Un po’ perché siamo cattivi noi, un po’ perché sono poco buoni quelli che stanno intorno a noi. E questo diventa motivo di difficoltà, che vengono superate con fatica. Occorre l’umiltà, la pazienza, la capacità di dedizione, l’impegno a dimenticare se stessi, l’annientamento del proprio orgoglio, della vanità, della superbia, dei risentimenti, della sensibilità... Per cui evidentemente lo stare insieme e il vivere il comandamento del Signore è perfetta letizia, ma si raggiunge soltanto attraverso la coraggiosa accettazione dell’afflizione.