“Con la bocca molto grande e le orecchie molto piccole”. È una delle immagini sintetiche della Chiesa che ci viene restituita da un giovane partecipante all’Assemblea sinodale. Sembrerebbe una caricatura, ma purtroppo tante volte si è rivelata la realtà dei fatti. Ricordo con chiarezza uno degli interventi più “criticati” al Sinodo (cioè che hanno avuto una chiara levata di cori negativi da parte dei giovani presenti nell’aula sinodale), che più o meno diceva così: “Certo, oggi nella Chiesa abbiamo bisogno di fare silenzio, soprattutto i giovani devono fare silenzio. Così noi Vescovi possiamo parlare, possiamo insegnare, possiamo istruire”. Come a dire che l’ascolto va a senso unico, cioè ha come soggetti i giovani e non gli altri membri della comunità ecclesiale, soprattutto non chi ha autorità in essa.

Invece con grande onestà, il 3 ottobre 2018 papa Francesco aveva anticipato tutti. Nel primo giorno dell’Assemblea sinodale incominciava mettendo al centro la necessità di ascoltare i giovani. La Chiesa tutta - Papa, Vescovi, sacerdoti, consacrati, laici – nasce dall’ascolto della Parola e si rigenera ascoltando dove essa si trova, quindi anche nei giovani, riconosciuti come un “luogo teologico” (cfr. Documento finale, n. 64). In quel discorso iniziale la parola “ascolto” è citata per ben 21 volte, tanto che potremmo dire che è l’invito più forte che ci è venuto dal percorso di preparazione sinodale. Tra i vari passaggi, eccone uno di grande rilievo: Siamo segno di una Chiesa in ascolto e in cammino. L’atteggiamento di ascolto non può limitarsi alle parole che ci scambieremo nei lavori sinodali. Il cammino di preparazione a questo momento ha evidenziato una Chiesa “in debito di ascolto” anche nei confronti dei giovani, che spesso dalla Chiesa si sentono non compresi nella loro originalità e quindi non accolti per quello che sono veramente, e talvolta persino respinti. Questo Sinodo ha l’opportunità, il compito e il dovere di essere segno della Chiesa che si mette davvero in ascolto, che si lascia interpellare dalle istanze di coloro che incontra, che non ha sempre una risposta preconfezionata già pronta. Una Chiesa che non ascolta si mostra chiusa alla novità, chiusa alle sorprese di Dio, e non potrà risultare credibile, in particolare per i giovani, che inevitabilmente si allontaneranno anziché avvicinarsi.

Ascoltare evidentemente significa essere aperti alla parola e all’esperienza di altri, che evidentemente posso “alterarmi” nelle mie convinzioni e nel mio equilibrio personale. È molto più facile parlare, esprimendo i propri punti di vista e argomentando le proprie convinzioni. Nel parlare non mi metto in discussione, mentre nell’ascoltare potrei sentire ciò che non mi aggrada, magari qualcosa che mi mette in crisi, forse parole che mi provocano una (sana) inquietudine. Per questo ascoltare è prima di tutto un esercizio di umiltà e di apertura alle novità dello Spirito, che non sempre (o forse quasi mai) corrispondono al nostro punto di vista.

Già l’Instrumentum laboris era stato abbastanza severo su questo tema dell’ascolto, perché portava impresse le denunce dei giovani. Tutto il capitolo V della prima parte è una sintesi molto stringata dell’ascolto della voce dei giovani, che si sono espressi in vario modo nel cammino di preparazione al Sinodo (nn. 64-72). Il numero 65 è significativamente intitolato “La fatica di ascoltare” e così si esprime: Come ben sintetizza un giovane, “nel mondo contemporaneo il tempo dedicato all’ascolto non è mai tempo perso” (Questionario on line) e nei lavori della Riunione presinodale è emerso che l’ascolto è la prima forma di linguaggio vero e audace che i giovani chiedono a gran voce alla Chiesa. Va però registrata anche la fatica della Chiesa ad ascoltare realmente tutti i giovani, nessuno escluso. Molti avvertono che la loro voce non è ritenuta interessante e utile dal mondo degli adulti, in ambito sia sociale sia ecclesiale. Una Conferenza Episcopale afferma che i giovani percepiscono che “la Chiesa non ascolta attivamente le situazioni vissute dai giovani” e che “le loro opinioni non sono considerate seriamente”. È chiaro, invece, che i giovani, secondo un’altra Conferenza Episcopale, “domandano alla Chiesa di avvicinarsi a loro con il desiderio di ascoltarli e accoglierli, offrendo dialogo e ospitalità”. Gli stessi giovani affermano che “in alcune parti del mondo, i giovani stanno lasciando la Chiesa in gran numero. Capire i motivi di questo fenomeno è cruciale per poter andare avanti” (Riunione presinodale 7). Certamente tra questi troviamo l’indifferenza e la mancanza di ascolto, oltre al fatto che “molte volte la Chiesa appare come troppo severa ed è spesso associata a un eccessivo moralismo” (Riunione presinodale 1).

Bisogna però andare in profondità, cogliendo che la radice della mancanza di ascolto dei giovani si può ritrovare nella mancanza di dare spazio all’ascolto di Dio e al suo Spirito che continuamente parlano e agiscono nella storia. E questo evidentemente riguarda anche i giovani, non solo gli adulti e la Chiesa in quanto tale. È frutto di quella superficialità spirituale di una Chiesa che parla troppo e quindi impara poco. Per questo, sempre nell’Instrumentum laboris, la questione dell’ascolto è ripresa nell’ambito della spiritualità, della preghiera e della contemplazione (n. 183): Molte Conferenze Episcopali, presentando le loro “buone pratiche”, hanno privilegiato l’ascolto e il dialogo con Dio: giornate di ritiro, esercizi spirituali, momenti di stacco dalla routine quotidiana, pellegrinaggi nazionali e diocesani, esperienze condivise di preghiera. Santuari, centri di spiritualità e case di Esercizi spirituali dove vi sia una sensibilità per l’accoglienza e l’accompagnamento dei giovani hanno grande attrattiva in varie parti del mondo. Una Conferenza Episcopale afferma: “Sappiamo che il successo non viene da noi stessi ma da Dio e per questo cerchiamo di mostrare ai giovani che la preghiera è una leva che cambia il mondo”. In un tempo di confusione molti giovani si rendono conto che solo la preghiera, il silenzio e la contemplazione offrono il giusto “orizzonte di trascendenza” entro cui poter maturare scelte autentiche. Percepiscono che solo al cospetto di Dio si può prendere posizione con verità e affermano che “il silenzio è il luogo dove possiamo ascoltare la voce di Dio e discernere la sua volontà su di noi” (Riunione presinodale 15).

Nell’Assemblea sinodale del mese di ottobre 2018 il tema dell’ascolto empatico dei giovani è emerso con interventi commoventi e trascinanti, che ci hanno fatto assaporare la passione dei pastori per i giovani e quella dei giovani per la Chiesa. Non per nulla questo tema dell’ascolto è il primo ad essere affrontato nel Documento finale (nn. 6-9), esattamente in consonanza con l’icona biblica scelta, quella dei discepoli di Emmaus, dove «Gesù cammina, ascolta, condivide» (Documento finale, n. 5). Passaggi molto forti, che conviene risentire, perché solo una Chiesa che imita Dio fino in fondo fa riferimento all’ascolto vero della realtà e delle persone: L’ascolto è un incontro di libertà, che richiede umiltà, pazienza, disponibilità a comprendere, impegno a elaborare in modo nuovo le risposte. L’ascolto trasforma il cuore di coloro che lo vivono, soprattutto quando ci si pone in un atteggiamento interiore di sintonia e docilità allo Spirito. Non è quindi solo una raccolta di informazioni, né una strategia per raggiungere un obiettivo, ma è la forma in cui Dio stesso si rapporta al suo popolo. Dio infatti vede la miseria del suo popolo e ne ascolta il lamento, si lascia toccare nell’intimo e scende per liberarlo (cfr. Es 3,7-8). La Chiesa quindi, attraverso l’ascolto, entra nel movimento di Dio che, nel Figlio, viene incontro a ogni essere umano (Documento finale, n. 6).

L’ascolto è lo stile di Dio! Ha quindi una valenza teologica, prima che pedagogica e pastorale! Molti interventi hanno ribadito che siamo chiamati a riguadagnare, attraverso l’ascolto, quella capacità empatica in grado di abbandonare il proprio punto di vita per entrare letteralmente nel punto di vista dell’altro, vedendo e sentendo le cose a partire dal cuore dell’altro. Effettivamente, continua il Documento finale al n. 8, prevale talora la tendenza a fornire risposte preconfezionate e ricette pronte, senza lasciar emergere le domande giovanili nella loro novità e coglierne la provocazione. L’ascolto rende possibile uno scambio di doni, in un contesto di empatia. Esso consente ai giovani di donare alla comunità il proprio apporto, aiutandola a cogliere sensibilità nuove e a porsi domande inedite. Allo stesso tempo pone le condizioni per un annuncio del Vangelo che raggiunga veramente il cuore, in modo incisivo e fecondo.

Il n. 9 dello stesso Documento finale è ancora più forte perché ci invita «a credere al valore teologico e pastorale dell’ascolto», e per questo propone che «il carisma dell’ascolto che lo Spirito Santo fa sorgere nelle comunità potrebbe anche ricevere una forma di riconoscimento istituzionale per il servizio ecclesiale».

Solo da questi brevi passaggi, posti come incipit del Documento finale, si comprende molto bene che il tema dell’ascolto è davvero rilevante e strategico non solo nella pastorale giovanile, ma soprattutto in una nuova figura di Chiesa che davvero desideriamo rinnovata negli stili e nei metodi prima ancora che nei contenuti. A partire da qui tante cose si sono dette. È chiaro, per esempio, che la mancanza di ascolto sta alla base di ogni tipo di abuso, come ben afferma il n. 30 del Documento finale: Il clericalismo, in particolare, “nasce da una visione élitaria ed escludente della vocazione, che interpreta il ministero ricevuto come un potere da esercitare piuttosto che come un servizio gratuito e generoso da offrire; e ciò conduce a ritenere di appartenere a un gruppo che possiede tutte le risposte e non ha più bisogno di ascoltare e di imparare nulla, o fa finta di ascoltare” (FRANCESCO, Discorso alla I Congregazione Generale della XV Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi, 3 ottobre 2018).

L’accompagnamento spirituale, di cui è molto parlato al Sinodo, ha come piattaforma proprio la disponibilità ad ascoltare con empatia e lasciarsi toccare dall’altro: dalla sua storia personale, dalle sue ferite, dai suoi doni. Un ascolto, davvero più che necessario, non solo come punto di accesso, ma come atteggiamento permanente di apertura al mistero che ogni persona è: L’accompagnamento spirituale è un processo che intende aiutare la persona a integrare progressivamente le diverse dimensioni della vita per seguire il Signore Gesù. In questo processo si articolano tre istanze: l’ascolto della vita, l’incontro con Gesù e il dialogo misterioso tra la libertà di Dio e quella della persona. Chi accompagna accoglie con pazienza, suscita le domande più vere e riconosce i segni dello Spirito nella risposta dei giovani. Nell’accompagnamento spirituale personale si impara a riconoscere, interpretare e scegliere nella prospettiva della fede, in ascolto di quanto lo Spirito suggerisce all’interno della vita di ogni giorno (cfr. FRANCESCO, Evangelii gaudium, n. 169-173) (Documento finale, n. 97).

Proprio la figura dell’accompagnatore spirituale non può che essere un grande e paziente ascoltatore, un uomo o una donna con un cuore profondo capace di fare spazio all’altro, oltre che aver percepito con attenzione le proprie fatiche e le proprie ferite: «Il buon accompagnatore è una persona equilibrata, di ascolto, di fede e di preghiera, che si è misurata con le proprie debolezze e fragilità» (Documento finale, n. 102).

Tutto ciò vale ancora e molto di più nel lavoro condiviso, dove si parla esattamente dell’ascolto come di una vera e propria “disciplina” da curare con attenzione e lungimiranza: Va infine ricordato che tratti caratterizzanti del nostro essere Chiesa che raccolgono un grande apprezzamento dei giovani sono la disponibilità e la capacità di lavorare in équipe: in tal modo si è maggiormente significativi, efficaci e incisivi nella formazione dei giovani. Tale competenza nel lavoro comunitario richiede la maturazione di virtù relazionali specifiche: la disciplina dell’ascolto e la capacità di fare spazio all’altro, la prontezza nel perdono e la disponibilità a mettersi in gioco secondo una vera e propria spiritualità di comunione.

Mi piace intendere il termine “disciplina” almeno in due sensi. Prima di tutto come disciplina specifica da imparare: come dire che ascoltatori non si nasce, ma si diventa attraverso l’esercizio continuo di ascolto che crea in noi un habitus ricettivo permanente e naturale. Ma poi anche collego questo termine al discepolato, cioè alla sequela di Gesù, che è resa possibile – almeno nel suo spazio iniziale – solamente quando ci mettiamo seduti, liberi da incombenze pratiche e in autentico ascolto del Maestro di Nazareth, nella logica di Maria piuttosto che in quella di Marta: Mentre erano in cammino, entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò. Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi. Allora si fece avanti e disse: “Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti”. Ma il Signore le rispose: “Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta” (Lc 10,38-42).

La “parte migliore” è resa possibile dalla disponibilità e dall’atteggiamento di ascolto: solo adottando la disciplina dell’ascolto si può diventare discepoli del Signore, non altrimenti. Solo ascoltando la sua parola si può crescere come uomini nuovi. Solo riservandoci spazi di silenzio e di contemplazione possiamo avere accesso al cuore di Dio. Un Dio, tutto sommato, a cui piace parlare al nostro cuore. Certo, perché le disposizioni del cuore sono centrali per ogni tipo di discernimento, e in particolare per quello vocazionale, in quanto aprirsi all’ascolto della voce dello Spirito richiede precise disposizioni interiori: la prima è l’attenzione del cuore, favorita da un silenzio e da uno svuotamento che richiede un’ascesi. Altrettanto fondamentali sono la consapevolezza, l’accettazione di sé e il pentimento, uniti alla disponibilità di mettere ordine nella propria vita, abbandonando quello che dovesse rivelarsi di ostacolo, e riacquistare la libertà interiore necessaria per fare scelte guidate soltanto dallo Spirito Santo. Un buon discernimento richiede anche attenzione ai movimenti del proprio cuore, crescendo nella capacità di riconoscerli e dar loro un nome. Infine, il discernimento richiede il coraggio di impegnarsi nella lotta spirituale, poiché non mancheranno di manifestarsi tentazioni e ostacoli che il Maligno pone sul nostro cammino (Documento finale, n. 111).

Tale dinamica, nel momento in cui entra nella vita personale di ognuno fa scaturire, a livello comunitario, una Chiesa dell’ascolto che assume naturalmente una forma sinodale, caratterizzata da un autentico, fecondo e fruttuoso scambio dei doni. Effettivamente è nelle relazioni – con Cristo, con gli altri, nella comunità – che si trasmette la fede. Anche in vista della missione, la Chiesa è chiamata ad assumere un volto relazionale che pone al centro l’ascolto, l’accoglienza, il dialogo, il discernimento comune in un percorso che trasforma la vita di chi vi partecipa. «Una Chiesa sinodale è una Chiesa dell’ascolto, nella consapevolezza che ascoltare “è più che sentire”. È un ascolto reciproco in cui ciascuno ha qualcosa da imparare. Popolo fedele, Collegio episcopale, Vescovo di Roma: l’uno in ascolto degli altri; e tutti in ascolto dello Spirito Santo, lo “Spirito della verità” (Gv 14,17), per conoscere ciò che Egli “dice alle Chiese” (Ap 2,7)» (FRANCESCO, Discorso per la Commemorazione del 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi, 17 ottobre 2015). In questo modo la Chiesa si presenta “tenda del convegno” in cui è conservata l’arca dell’Alleanza (cfr. Es 25): una Chiesa dinamica e in movimento, che accompagna camminando, rafforzata da tanti carismi e ministeri. Così Dio si fa presente in questo mondo (Documento finale, n. 122).

Anche nell’Esortazione Apostolica postsinodale Christus vivit emerge il tema dell’ascolto come prioritario per una Chiesa che desidera essere significativa per le giovani generazioni. Riprendendo alcuni passaggi del cammino sinodale, si è arrivati a riconoscere che purtroppo i fedeli della Chiesa non sempre hanno l’atteggiamento di Gesù. Invece di disporci ad ascoltarli a fondo, “prevale talora la tendenza a fornire risposte preconfezionate e ricette pronte, senza lasciar emergere le domande giovanili nella loro novità e coglierne la provocazione”. D’altra parte, quando la Chiesa abbandona gli schemi rigidi e si apre ad un ascolto disponibile e attento dei giovani, questa empatia la arricchisce (n. 65).

Soprattutto, nelle battute finali, vi è un lungo e significativo passaggio sul tema dell’ascolto e dell’accompagnamento (Christus vivit, nn. 291-297), dove si chiarisce che «quando ci capita di aiutare un altro a discernere la strada della sua vita, la prima cosa è ascoltare. Questo ascolto presuppone tre sensibilità o attenzioni distinte e complementari» (n. 291). La prima va alla persona: dedicare tempo all’ascolto di una storia singolare, di un’esistenza unica, senza cedere alla tentazione dell’omologazione. Ogni esistenza è un romanzo d’amore unico e irripetibile, che ha bisogno di ascolto attento e disinteressato. La seconda sta nel discernere: è il lavoro delicato e prezioso di chi sa distinguere la grazia dalla tentazione, le ispirazioni di Dio dalle aspirazioni del Maligno. Ci vuole davvero tanta attenzione, perché il male si presenta sempre sotto la forma di un bene, così come i lupi si travestono da agnelli per ingannare le pecore. La terza va agli impulsi: cioè all’inclinazione del cuore, all’intenzione ultima, all’appello di Dio che passa attraverso la coscienza della persona che si sta accompagnando. Qui l’altro va aiutato a riconoscere la domanda che Dio è nel suo cuore, a far fronte all’appello profondo della sua esistenza.

* * *

A partire da queste considerazioni sull’ascolto diventa interessante affrontare il tema della musica, che appunto prima di tutto va ascoltata e percepita nella nostra interiorità, nel nostro cuore. Troviamo tante indicazioni circa il tema della musica lungo tutto il cammino sinodale.

Il Documento preparatorio ne parla come di «un linguaggio espressivo privilegiato che accompagna il cammino di crescita dei giovani» (III,4).

Nell’Instrumentum laboris – che cita il termine ben 25 volte e gli dedica 5 numeri – se ne parla in vari momenti, ma in particolare nei numeri 36-38 e 162-163. In maniera specifica si dice che «la musica è un linguaggio fondamentale per i giovani: costituisce la colonna sonora della loro vita, in cui sono costantemente immersi, e contribuisce al cammino di formazione dell’identità in una maniera che, pur nella consapevolezza quasi generalizzata della sua importanza, di rado la Chiesa approfondisce» (Instrumentum laboris, n. 36). Qui si chiarisce il valore del Dossier che segue, in quanto si tratta esattamente di un tentativo di approfondire il vissuto musicale dei giovani in ottica educativa ed evangelizzatrice.

Da un punto di vista costruttivo e propositivo è utile notare che «il linguaggio musicale rappresenta anche una risorsa pastorale, che interpella in particolare la liturgia e il suo rinnovamento» (Documento finale, n. 47). Finalmente Christus vivit, riprendendo alcune indicazioni dal cammino sinodale, chiude il nostro piccolo quadro introduttivo invitandoci a cantare e camminare insieme: Del tutto peculiare è l’importanza della musica, che rappresenta un vero e proprio ambiente in cui i giovani sono costantemente immersi, come pure una cultura e un linguaggio capaci di suscitare emozioni e di plasmare l’identità. Il linguaggio musicale rappresenta anche una risorsa pastorale, che interpella in particolare la liturgia e il suo rinnovamento. Il canto può essere un grande stimolo per il percorso dei giovani. Diceva Sant’Agostino: «Canta, ma cammina; allevia con il canto il tuo lavoro, non amare la pigrizia: canta e cammina. [...] Tu, se avanzi, cammini; però avanza nel bene, nella retta fede, nelle buone opere: canta e cammina» (Christus vivit, n. 226).