Il grande spreco – La riflessione sul tema dello spreco alimentare, fenomeno tipico dei paesi occidentali, ma non solo, porta a evidenziare un paradosso: abitiamo un pianeta dove ogni anno muoiono per cause legate alla malnutrizione quasi tre milioni di bambini sotto i cinque anni, e nel contempo si sprecano circa 1,3 miliardi di tonnellate di cibo e la quantità di acqua equivalente all’intero lago di Ginevra. Dove a volte si spende più per dimagrire che per mangiare. E un sistema economico che spreca ingenti quantità di cibo e risorse, ma non sa sfamare chi muore di fame, non è un sistema giusto, né un sistema che porta sviluppo, se il vero sviluppo è sviluppo di ogni persona, di tutta la persona. Ma quanto di questo sistema è fatto di persone, di comportamenti dei singoli, di relazioni? Va ripensato il sistema, o il modo di stare nel sistema?

La temperanza potrebbe aiutarci in questo ripensamento. Essa, intesa come una virtù che consiste nel moderare con saggezza ed equilibrio il soddisfacimento dei propri bisogni, è stata considerata una virtù economica nel passato. La temperanza, infatti, limitando il soddisfacimento immediato dei bisogni, ha orientato i consumi, ma ha soprattutto attivato i risparmi. Il limitare il mio consumo oggi, significa infatti poter mettere da parte denaro che servirà in futuro. La temperanza ha aiutato anche ad educare alla sobrietà: chi viveva la temperanza, pur potendosi permettere ulteriori consumi, si limitava, educandosi al giusto uso dei beni. Il risparmio generato dalla temperanza, in particolare nei primi del Novecento e nel mondo contadino, in Italia e poi in Europa è confluito nelle casse rurali, di sovente fondate da sacerdoti come forme di mutuo aiuto tra i contadini. La cultura economica attuale, invece, basata su un’idea di crescita che ben si alimenta attraverso il debito, ha fatto dell’intemperanza una virtù. Da diversi anni si è diffuso, in particolare nel mondo occidentale l’uso del credito al consumo. Mentre un tempo si risparmiava per potersi permettere di acquistare in seguito un bene, oggi si acquista il bene con un finanziamento e poi si pagano i debiti spalmandoli nel corso di anni o decenni. Le prime forme di acquisti a rate si sono avute con beni durevoli, come una casa o un’automobile, per arrivare poi a tutti i tipi di beni di consumo. Senz’altro questa innovazione ha permesso a molti di poter accedere a beni prima impensabili. Nello stesso tempo il fatto che un acquisto di un bene importante non sia preceduto da un sacrificio, fa sminuire anche l’importanza di quell’acquisto, e, soprattutto fa aumentare i consumi in maniera spropositata, esponendo al fenomeno del sovraindebitamento e dell’usura. Come in un circolo vizioso, l’aumento dei consumi ha portato a deteriorare quelle forme di capitali che oggi stanno diventando più scarse, come l’ambiente, l’acqua, le relazioni sociali. E siccome viviamo in un mondo globalizzato, dove non è facile associare le mie azioni alle ripercussioni che gli altri possono avere, allora un’educazione al senso del limite e quindi alla virtù della temperanza è quanto mai necessaria. Non è tanto facile, infatti, rendersi conto personalmente che il mio uso di aria condizionata contribuisce ad aumentare la temperatura del pianeta, che il cibo che io getto via va a far parte dei miliardi di tonnellate di spreco alimentare. La sola razionalità economica tipicamente strumentale non aiuta in questa presa di coscienza, perché c’è bisogno del registro logico della virtù che ci porta a fare un’azione perché ne abbiamo interiorizzato il suo valore intrinseco.

La temperanza poi, come leggiamo nel Catechismo della Chiesa cattolica al n. 1809 “mantiene i desideri nei limiti dell’onestà”. L’esercizio di questa virtù ci aiuta a non approfittare del cliente, del consumatore del fornitore, del lavoratore. Il mio desiderio di guadagnare di più, di avere più profitti, non può valicare il limite dell’onestà in quello che faccio. E agire così anche quando non ci sono controlli.

Durante la crisi finanziaria del 2008 uno studio ha dimostrato che le società guidate da donne hanno retto meglio di altre e i fallimenti subiti sono stati in proporzione molto minori. E questo anche per una minore propensione a scelte d’investimento dei prodotti finanziari più rischiosi, rilevata dagli studi sulle differenze di genere nei comportamenti economici. In genere le donne rischiano meno. Per paura? Per prudenza? Mi piace leggerlo come un esercizio di temperanza di fronte alla possibilità di ottenere soldi in modo molto facile assumendosi dei rischi. La capacità di dire no. La capacità di farlo perché limitarsi oggi significa offrire un futuro più sicuro a chi viene dopo di noi e all’intera comunità.

Alessandra Smerilli, delle Figlie di Maria Ausiliatrice (FMA), docente di Economia Politica alla Pontificia Facoltà “Auxilium” di Roma

Da http://www.osservatoreromano.va/it/supplement/la-virtu-del-resistere