Non si tratta dunque di una perfezione riservata a pochi, ma di una chiamata destinata a tutti. Qualcosa di infinitamente prezioso e che tuttavia non è raro o estraneo ma fa parte della comune vocazione dei credenti. È la bella proposta che Dio offre a ogni uomo e donna. Non un percorso di falsa spiritualità che allontana dalla pienezza della vita, ma pienezza di umanità, perfezionata dalla Grazia. La “vita in abbondanza”, come promette Gesù. Non caratteristica omologante, banalizzante, irrigidente; ma risposta al soffio sempre nuovo dello Spirito, che crea comunione valorizzando le differenze – poiché è lo Spirito Santo che «sta all’origine dei nobili ideali e delle iniziative di bene dell’umanità in cammino». Non si tratta di un insieme di valori astrattamente sottoscritti e formalisticamente onorati, ma dell’armonia di tutte quelle virtù che incarnano i valori nella vita. Non mera capacità di respingere il male per attaccarsi al bene, ma atteggiamento stabile, pronto e gioioso nel vivere bene il bene. Non una meta che si raggiunge in un istante, ma un cammino progressivo, secondo la pazienza e la benevolenza di Dio, che interpella la libertà e l’impegno personale. Non atteggiamento escludente nei confronti del diverso, bensì fondamentale esperienza del vero, del bene, del giusto e del bello. In definitiva, la santità è la vita secondo le beatitudini, per divenire sale e luce del mondo; cammino di profonda umanizzazione, come è ogni autentica esperienza spirituale”. Strenna 2019 Il cammino delle beatitudini è un cammino filocalico, un cammino che ci porta a contemplare la bellezza, il fascino dell’amore eccessivo di Dio, a trasformare la nostra persona a somiglianza di Cristo, ad affrontare la nostra missione con atteggiamenti rinnovati. Bellezza misteriosa è il Signore perché povera e serva, vergine e orante, obbediente e misericordiosa, ma al cui fascino ogni discepolo è chiamato ad orientare la sua vita. Il Card. Martini ci ricorda che “le beatitudini sono un unguento; per suo mezzo il nome di Cristo si spande per ogni dove. Noi siamo il buon profumo di Cristo, pur nella debolezza umana, in una tensione conformativa a Cristo.” E Sant’Ambrogio afferma: «Di fronte alle nostre difficoltà e perplessità, le beatitudini riaffermano con forza che l’unica cosa importante è cercare Cristo. Noi dobbiamo cercarlo fino alla fine dei tempi e abbracciare i suoi piedi e adorarlo, perché dica anche a noi: non temete i peccati, non temete i flutti delle passioni: io sono la remissione dei peccati: non temete le tenebre: io sono la luce. Non temete la morte: io sono la via. Chiunque viene a me non vedrà la morte, è beato in eterno».

Le beatitudini parlano innanzitutto di Dio stesso. Le esclamazioni di gioia che scaturiscono dal cuore di Gesù non salgono soltanto dal profondo della sua umanità, ma da quel mistero di infinito amore che lo abita, dalla contemplazione del cuore del Padre. Quando Gesù le proclama c’è in lui un tale fremito, una tale pienezza, che tutto il suo essere riconosce la loro sorgente segreta: l’ardente braciere di amore che egli chiama «Abbà». Quando propone le beatitudini alle folle, Gesù svela loro il suo segreto, ciò che ha ricevuto di più prezioso: il cuore stesso di Dio. «L’armonia delle beatitudini» deve dunque unificare tutte le espressioni della vita religiosa, pervaderle di quella gioia mistica che le caratterizza, trasformando tutte le situazioni, tutte le circostanze, tutte le esigenze, anche le più contrastanti, nella sintonia con il cuore di Dio. L’ideale delle beatitudini, vissuto nella sua radicalità, non può quindi essere una norma occasionale, un momento della nostra giornata, un’espressione transeunte del nostro vivere, ma il significato profondo, la sostanza stessa della nostra vita consacrata. Le tre linee maestre delle beatitudini sono: libertà, amore, fedeltà. Ci libera dalla prigione del nostro io che ci chiude negli interessi egoistici, nell’affermazione esagerata di noi stessi; ci libera dalla rivincita aggressiva dei propri diritti dalla sete dell’avere e del potere; ci libera dalle seduzioni e dalle esigenze malsane delle nostre tendenze e delle nostre passioni. Dice Aldo Aluffi: Questa liberazione realizza lo straordinario oracolo di Isaia: «Farò cadere tutte le catene» (Is 45, 2) e spalanca il cuore a Dio, sommo bene, gli fa sentire la sua totale appartenenza a Lui, lo colma di amore e, per istinto di grazia, lo rende disponibile a Dio e ai fratelli, conformandolo pienamente al cuore di Cristo Gesù.

Libertà e amore sono la misteriosa sorgente della gioia proclamata da Gesù. Carattere specifico delle beatitudini è l’interiorità. Si radicano in un atteggiamento dello spirito che dà significato e valore alle situazioni, alle circostanze, ai fatti, non alla luce della pura ragione, ma a quella della fede, che trasfigura ogni nostra azione, scelta e sacrificio ponendoli sul piano di Dio. In tal senso le beatitudini diventano «l’alternativa» al mondo dell’apparenza. Dietro la beatitudine c’è il profilo di Cristo che ci invita ad essere come Lui. Sant’Agostino ha lanciato un appello che a distanza di tanti secoli conserva intatta la sua attualità: “Rientra in te stesso. Nell’uomo interiore abita la verità”. In un discorso al popolo, con insistenza ancora maggiore, esorta: “Rientrate nel vostro cuore! Dove volete andare lontano da voi? Andando lontano vi perderete. Perché vi mettete su strade deserte? Rientrate dal vostro vagabondaggio che vi ha portato fuori strada; ritornate al Signore. Egli è pronto. Prima rientra nel tuo cuore, tu che sei diventato estraneo a te stesso, a forza di vagabondare fuori: non conosci te stesso, e cerchi colui che ti ha creato! Torna, torna al cuore, distaccati dal corpo... Rientra nel cuore: lì esamina quel che forse percepisci di Dio, perché lì si trova l’immagine di Dio; nell’interiorità dell’uomo abita Cristo, nella tua interiorità tu vieni rinnovato secondo l’immagine di Dio”. Il suo essere, la sua vita, il suo messaggio, l’incontro con Lui, la trasformazione in Lui: ecco la «chiave» di comprensione, la finalità, il significato essenziale delle beatitudini. Le beatitudini sono Lui. Egli è «l’Uomo delle beatitudini», non tanto perché le ha proclamate, quanto perché le ha vissute; incarnandole nel modo più alto e perfetto proclama che esse sono l’ideale autentico della vita consacrata, il tracciato ideale per camminare sulla via della santità, il cammino della carità evangelica, il modo di testimoniare a Cristo il proprio amore, di incontrarsi con Lui, di conformarsi a Lui. Santo è colui che è vissuto nello spirito delle beatitudini e che ancor oggi ne è un segno vivente.

Il discorso di Gesù è proclamato sul monte. Istintivamente andiamo ad un altro monte: il Sinai, sul quale Mosè sali alla presenza di Dio e ricevette le dieci «parole». Le beatitudini sono il parametro della vita cristiana, il metro della sua autenticità. Quando si cerca di cogliere il nucleo essenziale della vita consacrata, o meglio, i parametri seguendo i quali si realizza la sequela di Cristo, di solito si afferma che il consacrato vive l’esperienza della sua donazione a Dio nella castità, povertà e obbedienza. È vero che, secondo la teologia della vita religiosa, i voti sono il linguaggio che esprime la totalità della persona che accoglie Cristo e il suo vangelo fino alle estreme conseguenze, ma l’uomo dei nostri giorni, soprattutto chi costruisce la propria storia attraverso la meditazione assidua della Sacra Scrittura, può incontrare difficoltà nel considerare la propria consacrazione fondata unicamente sulla castità, povertà e obbedienza. Al di là delle questioni attuali intorno a questo argomento, è importante sottolineare che il senso profondo della vita consacrata è un modo particolare di vivere le beatitudini. Nel rinnovamento conciliare ci viene indicato come il fondamento della vita religiosa sia costituito dalle beatitudini; i tre voti sono una specificazione dell’assoluta radicalità dì esse. Quindi, se vogliamo veramente costruire un autentico cammino di santificazione personale e comunitaria, dobbiamo continuamente far riferimento alle beatitudini: da esse dobbiamo essere stimolati, in esse troviamo i modelli esistenziali.

Accogliere le beatitudini in tutta la loro radicalità. Esse richiedono un atteggiamento di profondo e sincero ascolto; non sono da interpretare, ma da accogliere in tutta la loro forza di interpellanza. Le beatitudini trasformano la vita solo se il cristiano, nell’apertura e semplicità assoluta del suo spirito, lascia parlare Dio come vuole, con i contenuti che più gli aggradano. La conseguenza di questo atteggiamento si rivela in una conversione veramente inesauribile. Noi abbiamo creato una dicotomia nella nostra sequela di Gesù: vogliamo seguirlo, ma non siamo disposti a condividere la sua storia, abbiamo scelto un Gesù iperuranico e abbiamo dimenticato il Gesù di Nazareth. Se noi entrassimo veramente in questa sapienza evangelica, la nostra vita sarebbe radicalmente diversa e le esigenze delle beatitudini sarebbero luoghi di alta spiritualità. Le beatitudini sono la proclamazione di una sapienza e celebrazione della speranza messianica. L’uomo che vive le beatitudini diviene una celebrazione vivente della speranza messianica, ossia testimonia la speranza dei tempi nuovi ed è veramente segno che nella storia Dio sta costruendo un mondo nuovo. Entrare nello spirito delle beatitudini vuol dire vivere gioiosamente un altro mondo nel nostro mondo; ma per noi, purtroppo, esiste una tremenda dicotomia tra il mondo di Dio e il nostro mondo. Se ci poniamo davanti alle situazioni concrete della quotidianità, ci troviamo in condizioni, spesse volte, diametralmente opposte a Cristo. Chi vuole vivere le beatitudini, deve veramente porsi in questo atteggiamento: chiamato a vivere di eternità, deve porre nella storia i linguaggi dell’eternità, ossia il mistero di Cristo. Le beatitudini non diventano più, allora, un atteggiamento morale, un discorso ascetico o dei criteri oggettivi esterni rispetto alla nostra vita, ma sono l’esperienza dell’anima contemplativa che immedesimandosi nel mistero di Dio fattosi storia, si ritrova povera, mite, affamata. Chi segue Cristo fino in fondo, non ha bisogno di chiedersi che cosa voglia dire essere povero, ma si ritrova povero, afflitto e affamato... perché il momento contemplativo genera il momento operativo. Le beatitudini, allora, sono proprio il modo d’essere di colui che è attento al mondo di Dio ed entra sempre più in esso, per esserne il volto storico. In questo modo, noi consacrati siamo chiamati ad essere celebrazione della speranza messianica e principio risolutivo delle problematiche storiche, evidenziando, davanti all’umanità, che l’uomo come tale non è principio di novità di vita. Il mondo nuovo è veramente il riflesso di qualcuno che ha accettato un altro tipo di sensibilità: quella delle beatitudini, per essere il volto di Dio nella realtà umana.

L’uomo delle beatitudini è il profeta rifiutato. Il destino dell’uomo delle beatitudini è quello di proclamare, davanti ai fratelli, una soluzione di vita che essi rifiutano. Poiché annuncia una sapienza eterna, divenuta storia, deve sconvolgerli e portarli ad essere in stato di crisi, per poter recepire l’annuncio della salvezza. Da questo punto di vista, nasce nella nostra esperienza un tremendo esame di coscienza: se il nostro stile di vita non mette in stato di conversione o di problematicità i nostri fratelli, vuol dire che non viviamo le beatitudini. Se noi vogliamo essere testimoni, dobbiamo annunciare questo messaggio in modo vero, con la gioia che nasce dall’aver fatto sintesi tra eternità e storia e dal sentirsi effettivamente realizzati. Ma è inevitabile che l’uomo delle beatitudini sia un po’ come il profeta Geremia, rifiutato da tutti. Geremia, dovendo comunicare la parola di Dio che chiama a conversione, è disprezzato dai contemporanei e soffre anche della solitudine di Dio. Il consacrato che vive le beatitudini è come il Geremia dei nostri tempi: diventa l’annuncio anche se rifiutato, della verità autenticamente evangelica. Ed è segno di speranza, perché, mettendo in crisi, pone le premesse per sperare e per far sperare.

Le beatitudini sono il linguaggio della vita comunitaria. Le beatitudini sono la legge della vita fraterna. Questa parola interpella i fratelli, li fa agire, si ritraduce in azione. Una comunità diventa veramente fraternità nelle beatitudini, perché esse sono il canto dello Spirito Santo nella vita di coloro che hanno scelto il mistero di Cristo. Non si tratta più di uno sforzo ascetico, ma di un agire imitando il Cristo e cantando la liberazione che lo Spirito Santo sta operando in ogni fratello. Se ogni persona, nell’ambito della comunità, vive lo spirito della beatitudine, allora questa comunità cresce, opera, diventa proclamazione della liberazione di Cristo. Potremmo applicare ad essa quello che un autore applica alla vita della Chiesa: «La Chiesa nasce dalle beatitudini per essere la proclamazione delle beatitudini», la vita comunitaria nasce dall’ascolto delle beatitudini per essere una proclamazione dello spirito delle beatitudini.

Concludendo, cerchiamo di chiederci che senso e valore hanno le beatitudini nella nostra vita personale e comunitaria, confrontandoci anche con l’esempio di Maria; scoprendo il senso globale delle beatitudini, possiamo ritrovare il significato vero della nostra vita consacrata.