Nei comportamenti professionali degli insegnanti solitamente si parte dall’analisi dei bisogni per costruire un curricolo per gli alunni, per elaborare un progetto, o per predisporre un piano di aggiornamento. Raramente si parte dall’ascolto e dall’analisi dei desideri.

Il risultato è la diffusa demotivazione, lo scarso investimento di energia vitale nell’apprendimento. Si determina il sentimento dell’obbligatorietà piuttosto che dell’opportunità. Sembra esserci il timore di “scommettere sulla persona” di chi apprende e di chi insegna.

La formazione rileva il deficit e tende a portare ciò che manca alle persone anziché studiare gli apprendimenti che comunque sono già presenti per ottimizzarli, moltiplicarli, accelerarli, rielaborarli, rimuovere gli eventuali ostacoli, puntare alla massima espressione ed utilizzazione delle energie e delle risorse già presenti in bambini, preadolescenti e adolescenti.

La cultura del desiderio è soggettivamente molto variabile e produce una moltiplicazione delle proposte, delle possibilità, delle opportunità che può portare a momenti di crisi per sovrabbondanza, ma rappresenta anche un’importante risorsa per potenziare la cultura della scelta individuale e collettiva e dell’assunzione di responsabilità.

Gli insegnanti hanno accumulato tanto know-how sui bisogni e sul malessere. Occorre oggi costruire know-how personale sul desiderio e sul benessere. Si tratta di sviluppare la “competenza del desiderio” e ciò vale anche per gli alunni (Cf Papavero 2019).

La scuola può accettare la sfida di trasformare i bisogni in desideri investendo il capitale di energia, intelligenza, creatività, già disponibile per allargare l’offerta formativa qualificando il “curricolo essenziale” e offrendo una pluralità di occasioni e di proposte culturali, formative interessanti e motivanti che prevedano anche la libertà di scelta diversificata. Lo stato soggettivo del desiderare apre il pensiero alle sensazioni positive che si provano nel suo soddisfacimento. Il desiderio spinge verso le cose, verso gli altri, verso il mondo, motiva alla conoscenza e all’apprendimento, sollecita la curiosità, spinge alla ricerca.

Occorre evitare il rischio che la cultura del desiderio rimanga prigioniera di una logica quantitativa orientata quindi ad avere sempre di più, ad accumulare, a consumare beni materiali piuttosto che orientarsi sulla produzione-fruizione di beni immateriali e intangibili. Si tratta di apprendere a godere della cultura scientifica, di quella artistica, filosofica, sociale, religiosa, del patrimonio naturale, ecc. e contribuire al loro sviluppo potenziando le funzioni più specificamente umane quali il riflettere, il pensare, il costruire, il generare, il rappresentare, il ricercare ecc.

Permettere a bambini e ragazzi di poter fruire dei patrimoni migliori dell’umanità può diventare un’utopia realizzabile che aiuta a compiere più velocemente il cammino verso la qualità della vita possibile. La scuola è per il presente che si proietta nel futuro.

Lo stato di bisogno impedisce sia l’anticipazione sia la proiezione, che sono invece i tratti propri del desidero. La scuola, l’istruzione, la formazione rappresentano la risorsa base per permettere l’accesso ai beni intangibili prodotti dall’umanità. Le culture del desiderio e della scelta, se coltivate intelligentemente all’interno della scuola, non possono che favorire la qualità della vita.

Detto in altro modo, lo sviluppo qualitativo della scuola e la facilitazione del percorso verso la qualità della vita esige lo sbilanciamento su nuovi valori e modelli culturali. Occorrono sempre più scuole e docenti che valorizzino la ricerca del benessere qualitativo; scuole e docenti che sappiano aprire possibilità e opportunità diverse tra cui scegliere responsabilmente, che permettano di esprimere e sappiano ascoltare i desideri, ma che sappiano anche creare desideri e insieme costruire le condizioni per soddisfarli.

C’è lo spazio per una scuola desiderabile, desiderante e in ricerca. Occorre assumere l’impegno di sconfiggere quella “strategia dell’indifferenza” che troppo spesso gli studenti assumono nei confronti di qualsiasi proposta culturale e formativa. Occorre accettare la sfida di “fidanzare”, il desiderio dei bambini, dei ragazzi, dei giovani, con i saperi, di farli “innamorare” del sapere. La scuola crea oggetti d’amore infiniti e la scuola che non permette l’innamoramento non insegna niente (Spaltro E. 1997, p.12).